Dossier: Gli anni Ottanta. Alcuni fanno risalire ad allora la deregolamentazione nel campo della legislazione urbanistica in Lombardia. I PRG erano visti come un limite alla “libera iniziativa”. La crisi di oggi del mercato edilizio.
Il
sistema della sua legge urbanistica fondamentale di Regione Lombardia - la n. 51 del 1975 - prevedeva una serie di Piani “a cascata”. Ogni livello di governo ne aveva uno: i Piani territoriali regionali (PTR) per la Regione; i Piani territoriali comprensoriali (PTC) per le aree vaste e sovracomunali; i Piani regolatori (PRG) per i Comuni.
I Piani Regolatori venivano attuati tramite tre strumenti: i Piani particolareggiati (PP), redatti a cura del Comune, i Piani di lottizzazione (PL) dei privati e i Piani per edilizia popolare (PEEP). A ciascuno di questi facevano seguito poi le singole licenze edilizie, per poter edificare sui singoli lotti.
Questo sistema, venne completato prevedendo anche Programmi pluriennali di attuazione (PPA), con durata triennale: si trattava in pratica di strumenti che stabilivano “dove, come e quando costruire”. La gerarchia era quindi: Piani territoriali, Piani regolatori generali comunali, Programmi pluriennali e singoli Piani attuativi (pubblici e privati), con previsioni di lungo, medio e breve periodo. Vi è da notare che ogni Piano doveva rispettare, recepire e attuare le previsioni di quello sovraordinato.
La deregulation - Ma a metà degli anni ottanta venne approvata in Lombardia la legge n. 22 del 1986, finalizzata al recupero del patrimonio edilizio esistente, tema già presente a livello nazionale (legge 457 del '78).
I Programmi integrati di recupero (PIR) della Lombardia avevano però una prerogativa: qualora gli interventi previsti non fossero risultati conformi alle previsioni urbanistiche-edilizie, l’approvazione regionale costituiva “specifica variante dei regolamenti edilizi, dei regolamenti di igiene e degli strumenti urbanistici generali ed attuativi, vigenti ed adottati,” e ad essi non si applicavano le limitazioni previste dall’art. 22 della LR n. 51 del ’75, cioè quelle relative agli standard urbanistici, le quantità di aree da destinare e cedere per servizi pubblici nei Piani attuativi (es. verde, scuole, parcheggi, ecc.).
La legge 22/86 prevedeva infatti che gli interventi previsti nei PIR approvati dalla Regione venissero “attuati senza necessità di strumenti urbanistici attuativi, in forma di concessioni o di autorizzazioni edilizie” e non fossero subordinati ai PPA.
Fu questo un fatto grave che sarà ripreso, sia pur in forme diverse, anche nella successiva produzione legislativa regionale lombarda, aprendo la strada agli strumenti attuativi che andavano in variante ai Piani regolatori generali. Basti ricordare i Programmi integrati di intervento (Pii) previsti dalla LR n. 9 del ’99, poi travasati nella LR n. 12 del 2005, l’attuale legge urbanistica fondamentale della Lombardia.
Libera iniziativa - In definitiva, una tendenza degli anni ottanta, fu quella di vedere gli strumenti urbanistici generali (PRG) come un limite alla cosiddetta “libera iniziativa”. Questo modo di legiferare, scaturiva dalla logica “più mercato e meno stato” e dall’intenzione di voler “togliere lacci e lacciuoli” alle iniziative immobiliari.
Ma questo sistema portò a casi in cui chi doveva controllare gli interventi era di fatto controllato dagli stessi soggetti su cui avrebbe dovuto vigilare. In poche parole: “il controllato controllava il controllore” (in modo più o meno lecito).
L’idea che un libero mercato edilizio deregolamentato possa funzionare meglio di quello con maggiori regole è anche oggi tutta da dimostrare. Anzi, soprattutto ora, sta accadendo esattamente il contrario, soprattutto in campo finanziario, il quale molto spesso ha stretti legami con le rendite urbane (speculazioni sulle aree) e con il mercato edilizio (mutui).
Corruzione e sovrapproduzione - Senza contare i fenomeni degenerati in corruzione, più o meno diretta, che ogni tanto esplodono riportando alla luce la necessità di regole certe e chiare per tutti e non modificabili in base alle convenienze economiche del momento e/o a quelle di alcuni soggetti più o meno introdotti politicamente. La crisi economica di oggi nasce anche dalla logica “liberista” che ha poi portato allo scoppio di bolle speculative immobiliari che hanno travolto l’economia d’interi Stati (es. USA e Spagna), deprimendo ulteriormente la già malridotta economia industriale.
Inoltre, la deregulation edilizia porta nel tempo a una crisi di sovrapproduzione, a una riduzione generalizzata del valore degli immobili, a un eccessivo consumo di suolo libero e al fallimento delle stesse imprese del settore. Si ottiene così, come risultato finale, una città meno appetibile e meno vivibile per i suoi stessi abitanti.
Gli interventi del governo - Molto più opportuna sarebbe la scelta di dare un limite invalicabile alle edificazioni, impedendo ulteriore consumo di suolo libero, accompagnandola da un ponderato calcolo dei fabbisogni che tenga conto delle edilizie sfitte e non occupate (alloggi, uffici e capannoni) ed evitando l’uso distorto degli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente dei Comuni.
Il Disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 14 settembre scorso, contiene alcuni elementi che sembrano fortunatamente andare, a nostro parere, in quella direzione.