L'assessore al territorio di Monza, Claudio Colombo, interviene nel dibattito su Cultura nel Parco della Villa Reale puntualizzando i principi del PGT a riguardo
Riceviamo e pubblichiamo
Gentile Direttore,
causa impegno concomitante, nel quale ho rappresentato l’amministrazione, non ho potuto essere presente al Seminario “Parco e Villa all’aperto uno scenario naturale per la cultura” del 5 marzo scorso e non ho potuto, pertanto, illustrare ai partecipanti la logica che ha ispirato la proposta di PGT che si appresta ad affrontare l’aula consiliare.
Una delle prime questioni che ho dovuto affrontare, nel 2012, al momento della mia nomina ad assessore è stata quella del distributore che la precedente Amministrazione aveva incredibilmente consentito all’interno del Parco.
In quell’occasione dovetti constatare, con un certo sconcerto, che questo intervento era stato autorizzato, senza neppure attivare le procedure di deroga, in quanto non presentava evidente contrasto con lo strumento urbanistico vigente.
Per la verità aprimmo un procedimento di autotutela, per l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire, in quanto, a nostro avviso, era stata dimenticata una norma nascosta nella componente geologica. Poi, fortunatamente, l’intervento non venne attuato e si arrivò alla dichiarazione di decadenza del permesso.
L’episodio, sconcertante, ha messo in luce, tuttavia, la debolezza complessiva dell’impianto del PGT, nonostante le numerose affermazioni di principio sulla rilevanza storica, artistica, culturale ed ambientale del Parco e della Villa.
Debolezza dovuta, principalmente, al fatto che la disciplina urbanistica del complesso monumentale è distribuita, piuttosto macchinosamente, in diverse parti: nel documento di piano (che vi dedica ben 3 ambiti di trasformazione), nel piano delle regole (che lo include nel centro storico), e nel piano dei servizi (il quale, dal suo canto, ne nega l’unitarietà). Infatti lo ripartisce tra i parchi urbani e territoriali (zona F3) e le attrezzature urbane e territoriali (F4), scelta, quest’ultima, particolarmente infelice, perché vi ammette, in linea di principio, strutture (impianti tecnologici, carceri, strutture militari, piattaforme di distribuzione delle merci…) davvero poco consone all’importanza del luogo.
Ai fini della revisione della disciplina si è, in primo luogo, escluso che il Parco possa essere interessato da ambiti di trasformazione del documento di piano, visto che gli interventi che si addicono ad un complesso monumentale, costituente bene culturale e paesaggistico, sono quelli di restauro, manutenzione e recupero sia degli edifici che degli spazi aperti e della relativa orditura.
Né risulta convincente l’inclusione nel piano delle regole, sia pur assimilandolo al centro storico (zona A): infatti una cosa sono i tessuti storici, i nuclei urbani di antica formazione, la cui valenza non dipende dalla qualità del singolo edificio ma dell’aggregato urbano.
Il complesso monumentale del Parco di Monza non è un semplice aggregato urbano: la sua valenza, anche sotto il profilo storico, è assicurata dal più elevato grado di riconoscimento, costituito dalla natura di bene culturale in base alla legge dello Stato Italiano.
La sua collocazione naturale è nel piano dei servizi attraverso una disciplina organica: si tratta, infatti, di un “bene comune” il cui carattere principale è quello della fruizione da parte della collettività, in modo compatibile con le esigenze di tutela e conservazione.
Ad esclusione della Villa Reale, tutto il Parco è stato incluso tra le aree a verde.
La specifica disciplina da un lato esclude nuovi edifici di qualsiasi natura sugli spazi aperti e dall’altro prevede che gli edifici esistenti, sui quali sono possibili solo interventi di restauro, abbiano destinazioni coerenti con i caratteri suindicati.
Il risalto dato alla specifica norma del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco Valle Lambro, adottato nel 1997, non è dovuto solo alla volontà di dotare il Parco di un quadro di riferimento semplice ed organico, ma anche dalla volontà di riprendere il filo e l’ispirazione di un periodo fecondo, con il ruolo svolto da una soprintendente come Lucia Gremmo e da un protagonista dell’ambientalismo locale come il compianto Carlo Vittone.
Certo, a voler essere autocritici, alcuni nodi non vengono affrontati di petto (Sopraelevate, Autodromo, Piscina, Golf per citare i più importanti) ma forse il compito di uno strumento urbanistico, in un contesto come quello attuale, è quello di dettare un quadro di regole per la tutela e la fruizione pubblica, all’interno della quale possono interagire i diversi soggetti istituzionali, chiamati a trovare un saggio equilibrio.
Claudio Colombo
Assessore all’Urbanistica ed Edilizia del Comune di Moza