Dossier: Spazi comuni, luoghi di socializzazione. La pianificazione urbanistica e la socializzazione. L'esempio del nuovo Viale Lombardia a Monza
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al treno, che va lontano, guardo scorrere il paesaggio. Un Comune dove feci il Piano regolatore, tanti anni fa: una scuola, l’asilo, un campo sportivo con la palestra, la piazzetta col bar e la fontana, le panchine, i giardini pubblici, alcune case con portici e percorsi pedonali, qualche negozio. Di fianco al centro storico e alla chiesa, angoli di strada, qui e là capannelli di ragazzi, alcuni anziani sulle panchine, ragazzi e bambini nelle scuole, nel giardino e sul campo sportivo, donne con la borsa della spesa chiacchierano sotto i portici. Più in là un alberghetto dove ogni tanto mangiavo e bevevo il caffè, anche con pergolato all’aperto.
Tanti anni fa, alcune baracche, un deposito comunale, alcuni ruderi agricoli. Poi il Piano regolatore. Era necessario prevedere i servizi con la scuola prossimi al nucleo storico, alloggi “popolari”, un Giardino pubblico che mancava, la continuità pedonale con la piazza storica, gli orti e la coerenza col paesaggio agricolo della bassa. Poi il Piano di Zona in anni ancora di immigrazione, di fabbrica. Le case dell’IACP e quelle delle Cooperative. Un Sindaco, di tante battaglie e che aveva idee chiare, del presente e del futuro.
Dal finestrino mi veniva in mente il confronto. Cosa divide la periferia “spontanea”, casuale, senza servizi, della “Speculazione”, da quella pianificata dall’urbanistica degli strumenti generali (Piani Regolatori etc.)? Cosa divide la crescita caotica, lotto per lotto, da Piani particolareggiati pubblici (Piani Particolareggiati anche nel Centri storici) e privati (Piani di lottizzazione etc.). Cosa è la “socializzazione” in luoghi progettati o in periferie caotiche? Alla fine degli anni ’60, in ritardo su tutta Europa, vennero gli “standard urbanistici” e un tentativo di riforma urbanistica (fallite le ipotesi di modifica del regime dei suoli). Cosa sono gli Standard urbanistici che tanto rappresentano in realtà i luoghi di socializzazione dei nostri paesi e Città? Una legge disse che chi costruiva doveva mettere a disposizione aree e servizi di verde, di scuole, di impianti sportivi, di biblioteche e asili e chi più ne ha più ne metta. Molte cose pubbliche che oggi vedete in paesi e città ci sono per quella legge.
La gente spesso non comprende che la qualità dell’ambiente urbano è direttamente proporzionale alla qualità delle previsioni urbanistiche, si tratti di insediamenti storici che moderni. Un tempo c’era la battaglia del futuro di cui l’urbanistica era riconosciuta come partecipe. Ora molto meno. Nell’affannoso crescere senza regole era importante l’idea di rivendicare e pianificare. Ora spesso si difende anche il peggio malamente conquistato senza occhio al futuro, si progetti o meno dentro e fuori la “negoziazione”, cioè l’accordo tra operatori privati e pubblici per mettere mano al territorio. Di fronte al pericolo di questi accordi, spesso si difende nella città e nel quartiere l’esistente anche quando prodotto solo dal mercato, brutto, incompleto, privo di servizi adeguati, dove si abita e con poche e maldestre occasioni e luoghi di “socializzazione”, appunto.
Perché questo vedere solo i propri piedi senza guardare lontano accomuna talvolta parti così diverse della società (i belli e i brutti) applicando le intenzioni del costruire o del salvaguardare senza avere presente l’insieme, il Piano urbanistico e ambientale nel suo complesso e non solo in pochi particolari. Il Qui e il Là, raramente un insieme? Domande a cui è difficile rispondere se non accettando tristemente un Paese che resiste al cambiamento, che è sociale, economico e che coerentemente non può che essere anche urbanistico e culturale.
Dal treno guardavo e pensavo: ma se nessuno avesse pensato e prefigurato (nel bene e nel male) le molteplici possibilità della trasformazione che ha condotto all’oggi, quei ragazzi nella scuola e nel campetto di calcio, quegli anziani sulle panchine di un giardino, pubblico con la fontana, quelle donne con la spesa che chiacchierano, quegli spazi non “costretti” tra cubicoli pubblici e privati casuali e affastellati, come spesso avviene, nel degrado paesaggistico della città in molte realtà, come starebbero anche nel caso visto dal treno? Quale socializzazione e luoghi avrebbero? Difenderebbero il loro ambiente degradato come fosse il migliore, senza ammettere trasformazioni? Capirebbero che le trasformazioni di una città incompleta necessita di programmare il futuro che, pur in piccola parte, li è già presente? Capirebbero che princìpi ideali giusti possono confliggere con aspettative di riqualificazione urbana e paesaggistica e in particolare con la dotazione di luoghi di socializzazione e di creazione del futuro? Penso sia un tema complesso questo dove la presunzione di verità inerente la giustezza delle idee non aiuta il futuro e senza futuro è solo peggio.
Dal treno mi chiedevo: ma se nell’irrompente fabbisogno di alloggi e servizi al tempo dell’immigrazione, dell’aumento delle esigenze “essenziali” degli abitanti (mancavano anche le fognature), quando la battaglia urbanistica (spesso ostacolata) parlava di standard, di leggi, di qualità degli insediamenti, di servizi e luoghi di socializzazione della popolazione. Luoghi che non fossero solo quelli privati a pagamento o nel chiuso delle case e della TV, come saremmo oggi? Sarebbe giusto combattere solo per la qualità (talvolta miserevole) raggiunta dell’abitare, del muoversi, senza avere presente il futuro, senza avere necessità di pianificare le trasformazioni di luoghi e del loro insieme nella città? Spesso non si comprende che quello che abbiamo di meglio, storico o recente, deriva da contenuti di pianificazione territoriale. Spesso il rinchiuso del futuro è tale che una politica urbana sui luoghi di socializzazione e socialità va di pari passo con la “sicurezza” che i luoghi liberi opprime per paura, con tante luci, recinzioni e restrizioni. Persino l’amore diventa un problema.
Dal treno, e non solo, pensavo anche ai casi recenti di Monza. In particolare in questi giorni si discute della sistemazione del “sopra” di viale Lombardia dove il Tunnel dovrebbe consentire il recupero urbano e paesaggistico tra San Fruttuoso e Triante. Una parte importante di Città dove grandi spazi possono ricostituire luoghi di “socializzazione” nella Città, dato che socializzare significa anche incontrasi e questa frattura urbana (Viale Lombardia) se viene eliminata è grande occasione di ricomporre la “socializzazione “ di decine di migliaia di abitanti, in luoghi, a piedi, in bicicletta e con mezzi vari, pubblici e privati. Finalmente liberi dalla “frattura” del grande viale, liberi dal fiume di traffico continuo.
Foto tratta da www.statale36web.it
Su questa questione, viste le premesse e le incomprensioni, ci siamo messi, Michele Faglia, Carlo Lanza ed io per proporre un progetto alternativo a quello dell’ANAS che è a dir poco vergognoso dal punto di vista urbanistico, ambientale, paesaggistico e di socializzazione e per il futuro della Città. Un progetto che dice: riconquistiamo questa area per il futuro e per la qualità di questa parte importante di città per abitanti, presenze storiche, paesaggio verso le Montagne. Una occasione di pianificazione urbanistica in modo che tra qualche anno, passando di lì, guardando da un finestrino o meno, qualcuno possa dire che c’era stato un “disegno” per il futuro e non solo una confusa risposta alla circolazione dei mezzi.
Di questo presento solo una piccola parte, presa dal progetto dell’ANAS e da quello di Michele, Carlo ed io e che abbiamo presentato perché si lotti per il meglio. Mi chiedo, un domani, quando il nucleo storico di San Fruttuoso fosse connesso ad un parco e reso pedonale, tra la Guastalla, la chiesa, i ristoranti con Giardini, i luoghi pubblici di ritrovo, il supermercato dall’altra parte e i negozi, gli aspetti di socializzazione sarebbero migliori di fronte ad un intrico di strade e rotonde invalicabili e inutilizzabili e dove i percorsi ciclabili sono di fatto finti? Un intrico nella ipotesi del rischio di incidenti senza capire che esiste già un dedalo di strade collaterali.
Ingresso San Fruttuoso nella nostra proposta alternativa a quella ANAS (click per ingrandire)
Proposta ANAS dove il Parco è consumato interamente da una mega-rotonda stradale (click per ingrandire)
Per chiarire, siamo tra la Esselunga e l’ingresso a San Fruttuoso, dove prima c’era il cavalcavia demolito. La rotonda prevista dall’ANAS è più grande di un campo di calcio. Il Verde è ridotto ad aiuole spartitraffico. Quale può essere il contributo di socializzazione degli abitanti di San Fruttuoso e Triante? Tutto questo per di più senza una documentata spiegazione del perché.
La pianificazione, la qualità delle previsioni contano e molto per la qualità della vita tra cui, con una brutta parola, qui spesso usata perché tema richiesto, la socializzazione, che poi di possibilità di uso libero di spazi costruiti o liberi e verdi per la popolazione, si tratta, sia pubblici che privati .
Come urbanista ho lavorato per anni a molti Piani generali urbanistici e particolareggiati, qualche volta ancora oggi rivedo – passando o in foto aeree, come internet oggi consente – le attuazioni, in particolare degli spazi pubblici e di socializzazione, che se non previsti nessuno avrebbe poi attuato negli anni e decenni. Non so quanto quelle persone sedute al bar sotto gli ombrelloni o nel portico, davanti ad un giardino pubblico coi bambini, che chiacchierano e partecipano come attori inconsapevoli alla qualità del paesaggio e della loro vita, si rendano conto di essere “clienti” e “attori di socialità” di una previsione di pianificazione territoriale prefigurata molto prima, certo con molte variabili, non un quadro finito e rigido, ma in movimento persino quando si fa a pezzi talvolta, ma con un fine, una prefigurazione e la sua qualità dipende da quelle idee prima e dalla partecipazione che guardi al futuro e arricchisca le scelte, non solo alla difesa del presente, spesso di bassa qualità. È importante oggi non avere paura del futuro e questo significa che bisogna capire, non stare fermi e non giudicare le cose senza avere presente il quadro complessivo a cui riferirsi nel territorio e nella società.