La Sias vuole spendere 800 mila euro per restaurare quel che resta delle vecchie curve dell'autodromo di Monza, già destinate alla demolizione.
Tutto cambiò con la convenzione che consegnò nuovamente alla Sias la gestione dell’Autodromo, deliberata dalla Giunta del Comune di Monza il 21 dicembre 2007. Mi riferisco al rudere del catino di alta velocità che ingombra 60 ettari dell'“Imperial Regio” Parco di Monza.
Prima di quella data, era ampiamente condiviso l’orientamento di uomini di cultura, urbanisti, pianificatori, amministratori sul da farsi: demolire l’impianto, inutile per l’Autodromo, conservandone un breve tratto per memoria. Come è ben documentato da Giorgio Majoli in un articolo di qualche anno fa su questa rivista, così prevedevano il Piano Intercomunale Milanese, il progetto di Piano Regolatore di Monza di Leonardo Benevolo, così prevede il tuttora vigente Piano della Valle del Lambro. E il progetto di Annalisa Maniglio Calcagno, massima esponente degli studiosi di architettura del paesaggio; e il pensiero di Lucia Gremmo, rimpianta Soprintendente ai Beni Culturali e Architettonici di Milano. E infine la precedente convenzione tra i Comuni di Monza e di Milano e la Sias, gestore dell’Autodromo. Quest’ultima prevedeva la demolizione, a spese del concessionario (al quale era stato ridotto il canone proprio a questo scopo) delle malfatte, inutili e cadenti curve sopraelevate.
Le motivazioni sembravano ovvie, come risulta da documenti richiamati limpidamente da Gimmi Perego, sempre su questa rivista. La storia del catino di alta velocità è una storia, oltre che di devastazione, di reiterati fallimenti (sia dopo la prima costruzione del 1922, sia dopo il rifacimento del 1955), che incisero molto negativamente sull’immagine dello stesso Autodromo di Monza. Basti dire che le curve sopraelevate, rifiutate dai piloti di F1, furono definite dalla stampa internazionale come “il muro della morte”.
Naturalmente, questo pressoché unanime orientamento non era e non è senza avversari, politicamente ed economicamente molto potenti: in particolare l’Automobile Club di Milano con la controllata Sias gestrice dell’Autodromo. I quali cavalcano una diffusa ignoranza e disinformazione sul reale oggetto del contendere: che consiste nella restituzione al Parco di vaste aree verdi, senza incidere in alcun modo sulle attività dell’Autodromo e in particolare sullo svolgimento del Gran premio di F1. Come esempio di questa disinformazione, basti dire che molta gente confonde i ruderi delle sopraelevate con la curva parabolica, che è invece parte integrante della pista storica su cui da sempre si corre il Gran Premio di F1, e che è fuori discussione. Confusione molto utile per chi vuole presentare i sostenitori della restituzione al Parco di preziose aree verdi come nemici dell’Autodromo.
Ma c’è un argomento su cui gli oppositori alla demolizione fanno leva: comunque sia, ormai il manufatto ha più di 50 anni, e quindi è entrato nella storia.
Rispetto a questa storicità “oggettiva”, quella ben più rilevante del parco storico, capolavoro architettonico e naturalistico bicentenario, viene rimossa. Così come si passa sotto silenzio il fatto positivo che, dopo un secolo di degrado, una provvidenziale legge regionale (LR 40/95), recante un “Piano per la rinascita del Parco di Monza”, ha bloccato e invertito il processo degenerativo, consentendo l’avvio del restauro del monumento (vedi ad esempio l’eliminazione dell’inutile e invasivo ippodromo dal Mirabello, con il recupero della grandiosa vista sulle Alpi lombarde).
Ma oltre che rimossa, la reale memoria storica viene di colpo cancellata il 21 dicembre 2007.
Nel giugno 2007 il leghista Marco Mariani riconquista alla destra l’amministrazione comunale. Il nuovo Sindaco non perde tempo per approvare una convenzione ampiamente rispondente ai desiderata della Sias (basta leggere l’art. 1, un peana al concessionario per giustificare la mancata gara di assegnazione, tuttora oggetto di un ricorso al TAR delle associazioni ambientaliste). E L’art. 5 di questa convenzione, contro ogni orientamento precedente, obbliga la Sias a restaurare entro cinque anni le curve sopraelevate, sotto pena di 1000 euro per ogni giorno di ritardo!
E veniamo ai giorni nostri. Dal giugno dell’anno scorso il Comune di Monza è di nuovo guidato da una giunta di sinistra.
Sarebbe stato naturale aspettarsi un’azione per “rimettere le cose al loro giusto posto”. Niente di tutto questo. Certo, pacta sunt servanda. Ma quell’art. 5 della concessione potrebbe essere cancellato con un tratto di penna senza oneri per nessuno. Sarebbe veramente curioso vedere la Sias, economicamente disastrata, opporsi alla cancellazione di una norma che le addossa investimenti e penali per il ritardo del restauro!
Ed ora arriva la notizia che la Sias ha finalmente predisposto il progetto di restauro, con un costo di 800 mila euro.
Per che cosa? Per un monumento alla prepotenza, all’ignoranza e allo spreco di denaro, potenzialmente anche pubblico. Sì, perché la Sias ha anche la spudoratezza di chiedere una riduzione del già irrisorio canone di concessione! E perché è molto probabile che trovi in Regione una generosa corsia preferenziale.
Per finire: errare humanum est (1922), perseverare diabolicum (1955). Lascio al lettore l’aggettivo per il ri-perseverare (2013).