La nuova tendenza: il recupero e la diffusione degli orti ovunque, nel cuore delle città e perfino sui balconi, come reazione e barriera all’avanzata del cemento. Dall'orto della Casa Bianca a quello di Versailles, fino al frutteto matematico nel Parco di Monza
Da qualche tempo m vado chiedendo cosa si sta facendo e cosa è possibile fare nel Parco di Monza in vista dell’Expo 2015, in coerenza con lo slogan di questo evento “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.
Il Parco, nonostante debba sottostare a rigorosi vincoli storici, paesaggistici, naturalistici, è per tradizione antica una realtà polivalente. Oltre alle finalità di godimento estetico, di svolgimento di attività sportive (inizialmente della caccia, oggi delle più svariate attività amatoriali), di rappresentanza dei regnanti di turno, ha anche avuto quelle produttive, come grande azienda agroforestale.
Il recente orientamento verso il recupero e la diffusione degli orti ovunque, nel cuore delle città e perfino sui balconi, come reazione e barriera all’avanzata del cemento, aggiunge argomenti per una “strategia” agroforestale del Parco.
Com’è noto, tra gli eventi che hanno innescato quella che può essere chiamata “la rivoluzione degli orti”, c’è la decisione di Michelle Obama di piantare alla Casa Bianca un orto denominato “giardino della vita”. E, notizia non irrilevante, “quell’orto è protetto in modo bio da occhiuti falchetti che lo difendono dall’attacco dei corvi e di altri volatili voraci” (M. Antonietta Calabrò, Corriere della Sera, 14/03/14). La stessa fonte ci dice che anche nella residenza papale di Castelgandolfo esiste un orto biologico. E di grande significato è stato il gesto di Obama, in visita da Papa Francesco, di donargli, invece dei soliti oggetti preziosi, dei semi dell’orto della Casa Bianca.
L'Orto del Re Sole a Versailles
Ma ecco un’altra notizia straordinaria: a Versailles è stato restaurato l’Orto del Re Sole, le Potager du Roi. In quest’orto, realizzato nel XVII secolo su nove ettari di terreno paludoso, reso coltivabile con tecniche allora d’avanguardia,”il Re Sole non disdegnava di passeggiare insieme ai suoi ospiti” (Silvia De Bernardin, www.vegolosi.it).E’ aperto al pubblico, con visite guidate nei fine settimana da aprile a ottobre.
A questo punto, che dire dello “Imperial Regio” Parco di Monza? Ebbene, anche qui qualcosa si muove, e nella giusta direzione, in vista dell’Expo 2015: sembra ormai certa - anche se le informazioni sul se e sul come sono piuttosto vaghe - la ricostituzione del “Frutteto Matematico” intorno alla Cascina Frutteto, che spicca con il suo disegno a raggiera nelle mappe ottocentesche di Giovanni Brenna. Questa importante realizzazione sarebbe resa possibile, oltre che da un progetto della ormai storica Scuola di Agraria del Parco di Monza, da un finanziamento della Fondazione Cariplo.
Il Frutteto Matematico andrebbe ad aggiungersi al restauro realizzato a cavallo del millennio della Collina di Vedano, che era ridotta a un ammasso di terra incolta, grazie al “Piano per la rinascita del Parco di Monza” lanciato con la Legge Regionale 40/95. Originariamente la collina, sormontata da un tempietto ora sparito, era coltivata a viti, e consentiva ai regnanti di turno di giocare alla vendemmia (peraltro in modo produttivo). Oggi è stata opportunamente ripiantumata a ribes, ma purtroppo la manutenzione lascia molto a desiderare, e nessuno si preoccupa di sostituire nei filari le piante morte. Sarebbe strano che, in vista dell’Expo 2015, si festeggiasse la rinascita del Frutteto Matematico senza preoccuparsi della... riscomparsa della Collina di Vedano!
Molto ci sarebbe da dire e da chiedersi su un’altra realtà connessa alle attività agricole nel Parco: l’allevamento zootecnico della Cascina S. Giorgio e la sua compatibilità, nel suo modo d’essere attuale, con le funzioni del Parco. Ma data la complessità del tema, lo richiamo qui soltanto per memoria.
Piuttosto, mi vorrei soffermare brevemente su una vasta area che da tempo immemorabile è in comodato gratuito della Facoltà di Agraria dell’Università statale di Milano.
Il 16 dicembre 2008 il Consiglio di Amministrazione dell’Università approvava una convenzione della Facoltà con l’amministrazione del Parco di Monza il cui obiettivo era di “promuovere e incrementare nell'area del Parco interessata dal diritto d'uso, di cui l’Università è titolare, la didattica, la ricerca e la sperimentazione inerenti alle coltivazioni erbacee, la gestione del territorio, il verde ornamentale, il restauro di parchi e giardini, con l’intento di valorizzare ulteriormente l’area per una fruibilità più ampia, anche in funzione degli eventi legati a Expo 2015”.
Fu probabilmente frutto di questa convenzione l’ambizioso progetto di un orto botanico, del costo di dieci milioni di euro, rimasto sulla carta. L’opposizione che quel progetto suscitò era soprattutto dovuta al fatto che un vasto, straordinario e degradato orto botanico è già presente nel complesso Villa-Parco, ed è costituito dai Giardini Reali. Non avrebbe avuto alcun senso inventarne un altro, scarsamente originale, con una spesa che sarebbe stata meglio impiegata per il restauro dei Giardini Reali.
Dopo quella proposta, la secolare assenza della facoltà di Agraria di Milano è tornata a coprire l’area ad essa riservata.
A questo punto propongo una riflessione. Quando si parla di sperimentazione agricola, il pensiero della gente comune si rivolge subito e con repulsione agli organismo geneticamente modificati (ogm). Scarsissima è invece l’informazione sulla enorme varietà di ricerche e di sperimentazioni finalizzate a rendere compatibili le colture con la tutela della biorsfera, specialmente in considerazione dell’aumento della popolazione globale ormai orientata sui nove miliardi.
Si tratta di ricerche che puntano su obiettivi come, ad esempio, il risparmio dell’acqua, la riduzione dell’uso di fertilizzanti e di pesticidi, la difesa della biodiversità, la lotta alla deforestazione, l’utilizzo dei sottoprodotti dei raccolti e delle lavorazioni agroforestali.
I due documenti a cui rinvio con il link sono da questo punto di vista molto interessanti: il primo (il video che segue) smentisce un preconcetto molto diffuso anche tra gli operatori: quello di una incompatibilità tra colture agricole e forestali. L’altro (scaricabile da qui) descrive l’uso di fasce boscate per ridurre l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere.
Forse questi esempi trascendono ciò che la Facoltà di Agraria può fare nel Parco di Monza, coerentemente con le finalità del monumento. Quel che è certo è che attività di ricerca e sperimentazione non solo non sono in contrasto a priori con quelle finalità, ma anzi possono recuperarle e aggiornarle. Ed è altrettanto certo che se l’assenteismo della Facoltà di Agraria dovesse protrarsi ulteriormente, non si vede perché il comodato gratuito debba continuare nella sua inutile perpetuità.