20150228 case 

Costruire molto di più per far crollare i prezzi o cambiare finalmente logica? Se da un lato abbiamo una enorme domanda di edilizia economica insoddisfatta, dall’altro abbiamo un immenso surplus edilizio che non corrisponde a quella domanda

Nel suo articolo della scorsa settimana Marco Ponti affronta in modo originale il problema dell’offerta inadeguata di case a basso costo, ipotizzando un legame tra il costo eccessivo delle abitazioni e il vincolo di non edificabilità troppo rigido imposto sui terreni liberi, agricoli e non. In altre parole Ponti sostiene che se ci fosse più libertà di costruire nuove case si arriverebbe al punto in cui i prezzi di queste crollerebbero, e la speculazione cesserebbe, un po’ come succederebbe se si liberalizzassero le droghe.

Paragone suggestivo ma che non regge a un esame di realtà. In primo luogo se c’è un problema oggi è che i PGT di quasi tutti i comuni italiani prevedono già un’espansione edilizia esuberante rispetto a qualsiasi buon senso. Sappiamo anche qual è la causa: l’interesse dei comuni a incassare oneri di urbanizzazione collude con l’interesse dei costruttori a speculare sulle rendite di posizione, trasformando terreni di basso valore in terreni edificabili. E per riprendere l’analogia con la liberalizzazione dello smercio di droga quando parliamo di edifici non parliamo di bustine di coca, che spariscono in una tasca o in una narice, parliamo di opere costose e ingombranti che occupano definitivamente il territorio, e ne vincolano l’uso tanto nel bene quanto nel male (come spesso accade) per decenni.

E anche la legge regionale lombarda che dovrebbe contrastare il consumo del suolo poi consente ampie deroghe temporali, permettendo di fatto per qualche anno di costruire quanto si vuole. E quindi se i famigerati speculatori lo avessero voluto avrebbero potuto riempire di milioni di metri cubi le aree previste come edificabili, e possono continuare a farlo, creando quel surplus che Ponti suppone serva a calmierare il mercato. Ma allora perché non lo hanno già fatto?

Il perché forse sta nel fatto, documentato da un altro autorevole quotidiano inglese, The Guardian, che in Italia ci sono due milioni e settecentomila case vuote. E se a queste aggiungiamo capannoni, negozi, uffici, o altri servizi che vanno al seguito dei nuovi insediamenti, altrettanto vuoti, dovremmo piuttosto constatare che il mercato è incapace di autoregolarsi, che sono stati costruiti troppi immobili dove non servono, o non hanno le caratteristiche che servono. Ciò è avvenuto con il beneplacito dei comuni, proprio grazie a quella maggiore libertà edificatoria che Ponti invoca come panacea, ma che ci farebbe odiare dai nostri nipoti ai quali lasceremmo un territorio definitivamente devastato da edifici inutili.

La ragione della mancata disponibilità di residenza accessibile ai redditi medio-bassi non sta nella carenza di offerta edilizia globale: in termini puramente volumetrici l’edilizia esistente, se convertita ad uso residenziale, potrebbe coprire interamente la domanda di abitazioni per molti decenni. Dando lavoro alle imprese edili e senza consumare un metro di terra.

Se da un lato abbiamo una enorme domanda di edilizia economica insoddisfatta, dall’altro abbiamo un immenso surplus edilizio che non corrisponde a quella domanda: capannoni, negozi, uffici. Come riconvertire questo immenso patrimonio inutilizzato in residenza? Il privilegio di intoccabilità della proprietà privata rende molto difficile imporre il recupero di questi edifici per rispondere a bisogni sociali, anche se qualcosa di più speriamo si possa fare, ad esempio con il nuovo Regolamento Edilizio di Milano.

Ma c’è un’altra rigidità da combattere, quella che attribuisce certe soluzioni architettoniche a certe tipologie d’uso. Chi dice che un palazzo per uffici vuoto e abbandonato da anni, come ce ne sono decine e decine a Milano, non può essere convertito in abitazioni, solo perché non è quella la destinazione di progetto e perché è fatto di acciaio e vetro? Qui mi fermo perché dovrei fare un elenco interminabile di casi (soprattutto all’estero) nei quali ciò è stato fatto. Basta andarseli a vedere.

Quanto ai motivi per contenere l’espansione edilizia mi sembra miope vederci solo la tutela delle attività agricole. Dal 1950 a oggi è quadruplicata la superficie del suolo italiano irreversibilmente impermeabilizzata, alcuni comuni dell’hinterland milanese hanno il 50% della loro superficie coperta da manufatti edilizi, e qualsiasi geologo neodiplomato è in grado di illustrare gli effetti negativi di ciò sull’ecosistema. Magari partendo dalle cause delle sempre più frequenti esondazioni del Seveso, per fare solo un esempio che ci è molto vicino.

 

Tratto da

arcipelago