La "cultura ambiente" nazionale a tutti i livelli è stata investita da uno tsunami che io definisco "liberismo culturale": la tutela dei beni culturali e naturali ha cessato di essere una funzione propria, autonoma, incondizionata e prioritaria delle istituzioni pubbliche, per diventare un’attività subalterna al profitto, alla speculazione, nell'indifferenza per ciò che é bello e brutto.
Ho seguito con interesse il dialogo su la Repubblica tra Salvatore Settis e il Ministro per i beni e le attività culturali Dario Franceschini, a cui si è aggiunto Tommaso Montanari, e l’appello per l’autonomia delle Soprintendenze e contro il silenzio-assenso sugli interventi che incidono sui valori culturali e paesaggistici (vedi la Repubblica, dal 7 al 10 agosto).. Condivido pienamente la tesi di Settis: non può esistere valorizzazione senza preservazione. A meno di concepire i beni culturali come "giacimenti" da svuotare fino all'esaurimento (ovviamente non quantitativo, ma qualitativo).
Quello che non emerge abbastanza da quel dialogo, centrato sulle norme di legge, è che la "cultura ambiente" nazionale a tutti i livelli è stata investita da uno tsunami che io definisco "liberismo culturale": la tutela dei beni culturali e naturali ha cessato di essere una funzione propria, autonoma, incondizionata e prioritaria delle istituzioni pubbliche, per diventare un’attività subalterna al profitto, alla speculazione, nell'indifferenza per ciò che é bello e brutto. E il senso del bello, cioè la spinta che porta un occidentale ad ammirare l’arte africana o un atollo corallino, e un cinese a visitare Firenze o le Dolomiti, credo sia giunto da noi al punto più basso, a tutti i livelli (cominciando da certe Soprintendenze).
A dimostrazione di ciò, porterò un esempio piccolo, ma che conosce purtroppo migliaia di repliche a livello nazionale, dal micro al macro.
Saint Vincent era chiamata nel passato "la Riviera delle Alpi", per il suo clima mite in ogni stagione. Il bel clima c'è sempre e assicura ancora un residuo di turismo, ma sembra che gli amministratori locali non lo sappiano, perché non fanno nulla per renderlo godibile combinandolo con interventi diretti a recuperare la bellezza del luogo. Oggi Saint Vincent é brutta, deturpata da condomini da periferia urbana che hanno oscurato la vista della valle dagli antichi alberghi, e da strutture pubbliche che sono pugni negli occhi. Tutto gira intorno al totem locale, il Casino, in crisi permanente per la concorrenza delle nuove forme e luoghi del gioco d'azzardo, e che tuttavia esige sempre continui sacrifici “eurani”.
Ora, nella parte alta dell'abitato corre un sentiero che va da Saint Vincent a Chatillon, da cui si gode la vista della valle.
Saint Vincent: panchine e attrezzi sportivi sul Ru de la Plaine - Via Francigena
Ma non é un sentiero qualsiasi. In primo luogo, segue il corso di un “ru”, e si chiama Ru de la Plaine. I rus valdostani, per chi non lo sa, sono dei corsi d’acqua quasi pianeggianti, oggi affiancati da un sentiero o intubati sotto di esso (e di cui si sente sotto i piedi il piacevole scrosciare) creati nel corso dei secoli dai valligiani per irrigare i campi, non solo a bordo valle, ma fino agli alpeggi oltre i duemila metri. Per di più questo sentiero, a metà del quale s'incontra una cascata che reca una piacevole frescura all’intorno, è un tratto della Via Francigena che attraversa e scende dal Colle del Gran San Bernardo.
Ebbene, sono tornato quest'anno per la solita passeggiata sul sentiero in questione, e cosa trovo? Quattro belle panchine appena posate con vista su... attrezzi sportivi nuovi di zecca, di acciaio, fatti per l'eternità, di un "percorso vita" di ultima generazione! E, peggio ancora, dove prima, davanti alla cascata, si passava su un antico ponticello di legno, ovviamente da restaurare, che consentiva la contemplazione degli scrosci tra le rocce, ora è stato installato un grande ponte di acciaio e cemento, che copre completamente la vista della cascata.
Saint Vincent, Ru de la Plaine - Via Francigena: il vecchio e il nuovo ponte alla cascata del Torrente Marmore
Come é potuto accadere tutto ciò? Provo a immaginare: il vincitore dell’appalto (quasi 250 milioni di euro) avrà prospettato, nel suo progetto, agli amministratori di Saint Vincent e di Chatillon, l'utilità e la bellezza dell'inserimento di nuove panchine e tavoli, rigorosamente di legno in coerenza con il luogo. Purché accompagnate da un ponte e attrezzi per un "percorso vita" in acciaio e cemento, "innovativo", che costituisce il vero business dell'azienda. Del tutto inutile per i pellegrini, i runner, i contemplatori del paesaggio, i nuovi, numerosi scopritori dell’arte del camminare, che anzi vengono deprivati del vero bene.
Tutto legittimo. Il problema è che, evidentemente, gli amministratori dei Comuni di Saint Vincent e di Chatillon, dei cui stemmi l’appaltatore si fregia negli ivadenti cartelli del percorso, non hanno una strategia di valorizzazione culturale ed anche economica coerente con l’identità e i valori dei luoghi che gli sono affidati. Se l’avessero, saprebbero che, come insegna un guru della materia (Michael Porter), una buona strategia è fatta di molti “no”.E se l’intervento è stato autorizzato da una soprintendenza culturale, il discorso vale anche per essa.
Su questa mancanza di visone e di strategia culturale è cresciuto un settore economico che, se può servire per le grandi città povere di spazi verdi, o per attività specialistiche, palestre e abitazioni, è distruttivo per i luoghi di valore paesaggistico: il settore delle attrezzature sportive, dei “parchi giochi” e dintorni. Esso stravolge quei luoghi nelle loro identità e unicità, rendendoli "non luoghi", secondo la definizione di Marc Augé. Si potrebbe addirittura parlare di una distruzione della biodiversità culturale! E qualcosa di simile sta producendo un altro settore: quello della produzione di “eventi”, che per lo più degradano monumenti di alta dignità storica, architettonica e paesaggistica al livello di “location” per manifestazioni da panem et circenses. A pagamento, da parte di una folla ritenuta o resa refrattaria a stimoli di livello superiore ai bisogni primari (non è sempre così, per fortuna: ho visto la piazza di Santa Croce a Firenze, di fronte alla splendida Basilica, strapiena di gente accorsa ad ascoltare Roberto Benigni commentare e recitare magistralmente il difficilissimo ultimo canto dell’Inferno dantesco).
Una delle nuove panchine nei Giardini della Villa Reale di Monza
E parafrasando Dante; “Modoetia mia, ben puoi essere contenta, di questa digression che non ti tocca”. Davvero? Ebbene, le stesse panchine, nuove di zecca, poste nel Ru del la Plaine, le ho viste giorni fa nei Giardini reali dell'Imperial Regia Villa di Monza! Sono forse il preannuncio della trasformazione dei Giardini in un parco giochi innovativo, in un “percorso vita” mortale, cioè uguale a mille altri?