Sono ancora giovani e continuano a guardare con speranza e paura al loro futuro, intrappolati tra la libertà della democrazia e la schiavitù del capitalismo
C’era una volta un’isola felice… (ma come, lo stesso incipit che hai usato nell’articolo sull’Islanda? Beh, non è colpa mia se il mondo è pieno di isole ex-felici).
Dicevamo, un’isola in cui, con la forza del terrore e la debolezza di un sogno non realizzato – il socialismo reale – per quasi 50 anni hanno convissuto in pace (a volte relativa, a volte apparente) popoli, religioni e culture diverse.
Dopo il sogno, l’incubo. L’isola felice chiamata Jugoslavia cade sotto le macerie del muro di Berlino e di tutto il blocco dell’Est, portando alla luce il fuoco che da tempo covava sotto la cenere: odi etnici, rivendicazioni territoriali, vecchie faide, nuove vendette.
Fa uno strano effetto passeggiare per le strade di Belgrado, una città per molti aspetti come tante in Europa, e imbattersi – tra un McDonald’s e un centro commerciale – nello spettacolo agghiacciante dei palazzi bombardati. I belgradesi non ci fanno quasi più caso, ma io si. Dubravka, Srecko, Relja, Maja erano poco più che bambini mentre le bombe NATO cadevano su Belgrado, e quella storia, quelle storie, se le porteranno sempre con loro: l’entusiasmo dei cinque mesi ininterrotti di proteste per le strade della capitale serba contro i brogli elettorali di Slbodan Milošević, mirabilmente documentati da Goran Marković, l’inferno del Kosovo, fino alla soluzione finale delle forze armate internazionali e alla destituzione del regime..
Oggi Dubravka e gli altri sono ancora giovani e continuano a guardare con speranza e paura al loro futuro, intrappolati tra la libertà della democrazia e la schiavitù del capitalismo, senza essere veramente capaci di decidere se “si stava meglio quando si stava peggio”. Ascoltano i Prodigy e i Rage Against the Machine come i loro coetanei di Berlino, Londra, Parigi, studiano e viaggiano, parlano inglese e guardano ben oltre il loro naso. Insomma, sono a pieno titolo cittadini europei, ancor prima di entrare nell’Unione; vi sono entrati di diritto perché è la storia a fare dei serbi dei cittadini europei più di quanto potrà farlo nei prossimi anni la burocrazia comunitaria. Intanto, in attesa di formalizzare l’ingresso nell’Unione (in questi giorni sarà presentata ufficialmente la candidatura), da gennaio 2010 un passo importante segnerà l’avvicinamento tra Europa e Serbia: finalmente Dubravka e tutti i serbi (insieme a macedoni e montenegrini) potranno uscire liberamente dal Paese senza avere bisogno di un visto. E’ un passo, ma importante, tanto che Dubrovka e gli altri hanno voluto bere un bicchiere di rakija (acquavite ottenuta dalla distillazione di frutta, tipica dei paesi balcanici) non appena la notizia è arrivata all’Arkabarca. E anch’io ho bevuto volentieri con loro; un sorso di rakija vale un sorso di libertà.