Qualche considerazione sul sistema di imposta italiano
Proponiamo di seguito qualche banale considerazione sulle tassazioni che riguardano le persone fisiche e le società di capitali (le srl e spa). Non saremo probabilmente precisissimi (i professionisti del settore contabile non ce ne vorranno e potranno comunque commentare). L’obiettivo è fornire una visione di massima si quel che accade, senza entrare nel merito dei meccanismi, senza occuparci delle mille eccezioni, senza guardare con la lente d’ingrandimento alla proprietà tecnica del linguaggio tributario.
Partiamo dalle tasse che si abbattono sul reddito delle persone fisiche: la famosa IRPEF (acronimo che significa per l’appunto: Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche). Si tratta di una tassa ad aliquota crescente, ossia si applica in percentuali sempre più alte tanto più alto è il reddito imponibile (il contrario, per capirci, rispetto all’IVA: paghiamo tutti lo stesso, di solito il 20%, che si tratti del riccone o del poveraccio). Questi sono gli scaglioni al momento:
Come si noterà ad occhio, la progressività dell’imposta va un po’ a farsi benedire con l’aumentare del reddito. Un esempio: prendiamo diverse persone con diversi redditi imponibili. Per quanto riguarda l’effettiva aliquota media di tassazione di tali soggetti, la situazione che si delinea è la seguente:
In sintesi, più si guadagna, meno ripidamente sale la curva della tassazione effettiva. Senza contare una sacrosanta considerazione sociale: coloro che dichiarano 200mila€ campano benissimo anche con i 120.800€ che residuano scontata l’Irpef, mentre togliere 11.520€ di tasse da un reddito imponibile di 40mila è ben altra questione (28.480€ netti oggi sono un ottimo reddito ma la differenza rispetto al lordo si sente eccome e sicuramente ha un maggiore impatto sui consumi rispetto all’amico da 200mila euro di imponibile). Svolgiamo tali considerazioni ben sapendo che la situazione è parzialmente modificata in senso più equo da deduzioni (meno reddito imponibile) e detrazioni (meno imposta da pagare).
Da notare che solo 2 italiani su 1.000 dichiarano al Fisco più di 200mila euro all’anno… L’antico vizio italico dell’evasione fiscale. A cui però un’amministrazione fiscale degna di questo nome non dovrebbe semplicemente rispondere con la considerazione che “se aumentiamo le tasse sui redditi maggiori, questi escono fuori dalla base imponibile perché o vengono evasi o vengono trasferiti all’estero, quindi è meglio una tassazione un po’ meno progressiva pur di tenere il gettito fiscale complessivo”.
Cosa accade invece per le tasse sulle imprese? La situazione si fa ben più complessa, in una stratificazione geologica di provvedimenti che prevedono mille eccezioni e sono veramente di difficile calcolo. In questo campo, la tassa più importante è l’IRES (altro acronimo: Imposta sul REddito delle Società), che si applica a società di capitali, enti commerciali e stabili organizzazioni in Italia di società estere. A seguire l’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive). Andiamo con ordine.
L’IRES si applica alle società di capitali (ossia srl, spa, società cooperative e di mutua assicurazione), agli enti commerciali e alle stabili organizzazioni in Italia di società estere. Prima si pagava il 33% sul reddito soggetto ma, a partire dal 1 gennaio 2008, si è scesi al 27,5% (ma con un allargamento della base imponibile; da notare che le società operanti nel settore petrolifero e nella ricerca di idrocarburi pagano sempre il 33%).
L’IRAP, dall’1 gennaio 2009 effettivamente diventata un tributo regionale, pesa invece per il 3,9% (prima era il 4,25%). Tale tassa non si applica al reddito d’impresa ma, più precisamente, al reddito prodotto al lordo dei costi per il personale e degli oneri e dei proventi di natura finanziaria. In parole povere, è in sostanza proporzionale al fatturato dell’impresa e non si applica all’utile di esercizio. I soggetti di imposta sono non solo le società di capitali, ma anche le società in nome collettivo (snc), le società in accomandita semplice (sas), le amministrazioni pubbliche e le persone fisiche esercenti attività commerciali o di lavoro autonomo.
Tiriamo un po’ le somme: tra IRES e IRAP (anche qui ci sono vari meccanismi di deducibilità di interessi passivi, canoni di locazione, più altre voci extra-contabili), le società pagano più o meno quanto una persona fisica di medio reddito (nel caso di aziende multinazionali, proliferano poi le attività fiscali che interessano consociate/controllate estere che offrono più vantaggiosi elementi di fiscalità, spesso con meccanismi che finiscono sotto l’occhio del fisco; proponiamo qualche esempio qui, qui e qui).
E veniamo alle rendite finanziarie, oggetto di grande dibattito nel recente passato. Due sono le aliquote di tassazione:
- 12,5%, applicata al capital gain di investimenti azionari e obbligazionari (es. compro delle azioni a 100€ e le rivendo a 120€; sui 20€ di guadagno pago il 12,5%; sottoscrivo dei BOT e incasso il 3% lordo di interessi, su quel 3% pago il 12,5% di interessi); tale tassazione si applica alla grande maggioranza degli strumenti finanziari;
- 27%, su investimenti a breve termine come il conto corrente, i libretti postali e bancari.
Facciamo il caso quindi che una persona non abbia bisogno di lavorare, perché ha avuto la fortuna di ereditare un cospicuo pacchetto di azioni dal papà. Queste azioni pagano al nostro fortunato amico 40mila euro lordi di dividendi all’anno. Bene, il nostro amico se la cava pagando (ritenuta alla fonte) appena il 12,5%, ossia 5mila euro. Ben meno di qualunque operaio o impiegato o imprenditore. In certi situazioni, è il caso di dirlo, “povero è bello”.