In bicicletta in Svezia a Lund o in Italia a Monza? Storia di un confronto impietoso
Scena 1
Luogo: Lund (sud della Svezia)
Abitanti: circa 120.000
Km di piste ciclabili: più di 70
Data: settembre 1994
Anche nelle giornate di pioggia e di vento a Lund ci si muove in bicicletta. Rigorosamente senza ombrello, sfido chiunque a trovare anche un solo essere vivente che si ripara dalla pioggia sotto un ombrello. Sì va bene, qualcuno c’è, ma di certo non è svedese! Così mi attrezzo anch’io con tuta impermeabile sopra i vestiti. Omino Michelin, ma tanto qui nessuno ci fa caso. Nell’atrio dell’università tutti i ciclisti si incontrano per svestirsi dei loro caschetti e impermeabili umidi, si passano una mano tra i capelli per pettinarsi e via, si inizia la giornata. Sorridono tutti. Scivolate e cadute sull’asfalto bagnato di pioggia o di neve fanno parte del gioco. D’altro canto come si fa a non partecipare?! Le piste ciclabili sono vere e proprie autostrade e il traffico ciclo-pedonale ha assoluta priorità su quello automobilistico. I semafori diventano verdi al solo passaggio di una bici e le automobili si muovono lente, rispettose, pazienti. Sempre più una specie in via di estinzione nel perimetro urbano.
Scena 2
Luogo: Monza (nord Italia)
Abitanti: circa 117.000
Km di piste ciclabili: 27,5
Data: settembre 2009
Decido di voler dare il mio contributo contro l’inquinamento, di alzare la voce contro il traffico cittadino. Così ecco, preparo la mia bici. Non so se sentirmi più una pazza o un’eroina. Opto irragionevolmente per un mix di entrambe. Il percorso casa-lavoro è irto di trappole e pericoli, ma ogni giorno percorro il mio tratto in bicicletta noncurante delle difficoltà. Certo respiro un po’ di smog, le automobili, ma soprattutto i loro guidatori mi sembrano tutti dei mostri impazziti e isterici. Prima di prendere a tutta velocità via San Gottardo dico le mie paroline magiche: “Io speriamo che me la cavo” perché la strada è così stretta e le automobili così prepotenti che ogni volta rischio di essere sbattuta per terra. Oppure basta un camioncino per vivere attimi di terrore. Sono sopravvissuta incolume per capire finalmente a cosa diavolo servono i SUV in città. Servono, servono eccome. Sono utili per arrampicarsi con le loro quattro ruote motrici sopra i marciapiedi, perché il paparino ha fretta e deve catapultare il suo pargoletto proprio davanti alla scuola, praticamente dentro alla scuola. Fare due passi a piedi? No no. Suda e si rovina il vestito. Vedo la scenetta e mi sale l’irritazione. Poi mi volto e lo vedo. E’ il postino che fischietta seduto sulla sua bici gialla, sul manubrio una borsa di pelle piena di lettere. Forse è stato solo un sogno, ma per un attimo ho sentito di nuovo di vivere in un paese civile.