Davvero è l'Unione europea ad obbligare l'Italia a privatizzare l'oro blu?
In realtà spetta ai singoli Stati stabilire quali siano i servizi “intrinsecamente non a scopo di lucro”
La cosa più sconvolgente di questa storia della privatizzazione dell’acqua è che gli attori (i politici) e il loro coro (giornali e tv) richiamano continuamente alla necessità che l’Italia “si adegui” a non meglio precisate direttive di origine comunitaria.
Lo ha fatto qualche giorno fa sulle pagine di casateonline anche il Presidente della Provincia, Daniele Nava, scrivendo che: “l’attuale assetto legislativo deriva per larga parte da obblighi comunitari”.
Meglio chiarire da principio che (fatta salva la buona fede) ci troviamo di fronte a una lettura erronea.
Quel che si è votato in Parlamento e si sta mollemente accettando nel Paese è qualcosa che, infatti, non esiste, perché le due direttive europee in questione (92/50/CEE e 93/38/CEE) si limitano a chiedere che vi sia concorrenza per i servizi pubblici nazionali e locali. In particolare, la cosiddetta “direttiva Bolkestein”, tiene fuori dalla libera circolazione dei servizi proprio il servizio idrico, affidando ai singoli Stati membri il compito di stabilire quali siano i servizi “a interesse economico” e quali quelli “intrinsecamente non a scopo di lucro”. Per questi ultimi, peraltro, si sottolinea che ogni singolo Stato può sancire il divieto totale di apertura al mercato.
Sono ormai trascorsi anni e l’Italia resta uno tra i pochi Paesi a non aver ancora definito quali servizi inserire tra quelli “a interesse economico” e quali considerare “non a scopo di lucro” procedendo, nella confusione più generale, alla privatizzazione di ogni tipologia di servizi.
Dal blog di Alfio Sironi