Come vanno le analisi della provincia? Conosciamo realmente il suo stato di salute e da dove derivano i problemi? Quali sono le cure più giuste? Se n’è parlato lo scorso 22 febbraio 2018 a Biassono
Nella sala civica di Villa Verri con il coordinamento di Alberto Caspani, promotore della serata, il 22 febbraio 2018 sono stati presentati diversi contributi per riflettere sull’origine e le caratteristiche delle problematiche ambientali della Brianza, ma soprattutto per smuovere la politica e proporre risposte coordinate.
Un primo esame è quello che emerge dalle classifiche sulla qualità della vita. Un accertamento che arriva puntuale verso la fine dell’anno è il rapporto del giornale economico Italia Oggi. Quello di fine 2017 ci dice che siamo i peggiori in Italia nell’indicatore numero di morti per tumore ogni 100 abitanti. Un ultimo posto in classica che non è una novità ma è purtroppo una conferma. La dimensione di analisi legata all’ambiente ci descrive come la peggiore provincia lombarda: abbiamo posizioni preoccupati negli indicatori della qualità dell’aria e usiamo poco il trasporto pubblico. Il consumo di suolo condiziona la vivibilità della nostra provincia? Oltre a traffico e congestione che sono sotto gli occhi di tutti, ci spinge in basso nelle classifiche anche la densità demografica. Siamo penultimi e peggio di noi fa solo la provincia di Napoli. Questo può essere spiegato con il concetto di antropentropia, un parametro che quantifica il livello di antropizzazione e lo mette in relazione con il degrado ambientale.
«La Brianza è come la terra di mezzo» ha detto Damiano Di Simine di Legambiente Lombardia. «Né paese né città» ha aggiunto ricordando che qualche leggero miglioramento c’è stato ma c’è ancora tanto da fare, investendo in efficienza e rinnovabili. «Il problema principale delle nostre zone è evidente: manca la terra». Ci sono state diverse cure sbagliate: si è pensato di risolvere il problema del traffico con le autostrade ed è stata approvata una legge regionale che non tutela il suolo.
Gli effetti diretti sulla salute umana si possono leggere nei risultati delle attività di prevenzione collettiva e promozione della salute dell’anno 2016.
Il rapporto dell'Agenzia di tutela della salute della Brianza dice chiaramente che le principali pressioni ambientali sulla nostra salute sono l’elevata urbanizzazione e la notevole presenza di attività produttive a rilevante impatto, aggiungendo che le principali fonti di emissioni sono il trasporto su strada e la combustione non industriale.
La prima causa di morte (più di 3.500 morti nel 2014) è il cancro. I tumori più frequenti e più pericolosi sono numericamente avvicinati da quelli ai polmoni, in crescita sia negli uomini che nelle donne. Crescono quindi i costi sociali collegati al consumo di suolo che già nella perdita dei servizi ecosistemici (approvvigionamento di acqua, produzione agricola, deflusso delle acque meteoriche, regolazione dei cicli naturali e capacità di resistenza, servizi culturali e ricreativi, ecc.) faceva segnare per la provincia di Monza e Brianza una perdita tra i 5 e i 6 milioni di euro secondo il rapporto ISPRA 2017.
Alla luce di questi evidenti sintomi cosa succede? «Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale è stato attenzionato dalle associazioni ambientaliste per contrastare le opposte pressioni che venivano da chi era interessato ad edificare» sottolinea Alberto Colombo del coordinamento ambientalista Osservatorio PTCP di Monza e Brianza. Le parti più deboli (aree agricole strategiche e ambiti di interesse provinciale) non sono state adeguatamente protette: si è cercato di limitare i danni ma l’edificazione è avanzata e le compensazioni ottenute sono poco significative. C’è da aggiungere poi la Pedemontana, insostenibile ambientalmente ed economicamente, che dove è stata realizzata ha spezzato boschi e occupato aree agricole senza risolvere i problemi del traffico. La cura giusta è quella del ferro.
«Nel capoluogo provinciale» hanno sottolineato Claudio Colombo e Alessandro Gerosa dell’associazione LabMonza «il territorio presenta ancora aree libere all’interno dell’edificato. C’è una questione da affrontare: quella dell’uso improprio di tali aree». Su questo l'associazione propone una riflessione per evitare che l’abbandono diventi pretesto per giustificare l’edificazione. «In tema di trasporti è singolare notare che solo il Comune di Milano è attualmente un soggetto così forte per trattare con il Governo». Oltre a grandi investimenti sul trasporto pubblico, ricordano che sono fondamentali gli interventi sulla mobilità ciclabile, sia all'interno della città che lungo le direttrici intercomunali.
«Lissone è tra i comuni brianzoli quello a più alto consumo di suolo: siamo ad oltre il 71% del territorio amministrato». Giovanni Angioletti di Lissone Bene Comune ha illustrato le politiche ambientali attuate dal Comune per la conservazione del territorio rimasto libero. «Sono stati cancellati quasi tutti gli ambiti di trasformazione previsti». Aggiunge inoltre che sono state avviate importanti azioni in due ambiti fondamentali per la tutela dell’ambiente: quello energetico, con l’approvazione del Piano d’azione per l’energia sostenibile, e quello dei rifiuti con l’attivazione della raccolta puntuale del rifiuto secco indifferenziato che ha portato ad un aumento della percentuale di raccolta differenziata (arrivata al 73%) e una generale diminuzione dei rifiuti prodotti (-7%).
In una campagna elettorale come quella attuale in cui si parla poco di ambiente e ancor meno del consumo di suolo e delle sue conseguenze, viene lanciata in questi giorni la proposta del forum Salviamo il Paesaggio. Si tratta di una legge di iniziativa popolare per arrestare realmente il consumo di suolo che è stata elaborata da un gruppo di lavoro tecnico-scientifico. Dieci punti per dire che serve un vero stop e non un semplice rallentamento del consumo e che ogni terreno libero, non solo quello agricolo, se cementificato genera costi. Quali sono le soluzioni indicate? Puntare sulla rigenerazione delle aree dismesse, sulla riduzione del patrimonio sfitto e su una nuova funzione sociale per le zone di abbandono.
I numeri sopra descritti sembrano proprio dei preoccupanti referti medici e ci dicono che servono cure rapide. «Il percorso giusto potrebbe cominciare da un’azione organica e condivisa che nasce dai territori e dalle associzioni» si augura in conclusione della serata Alberto Caspani. Così facendo la terapia sarebbe sicuramente più efficace.