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Il nuovo libro dello studioso denuncia gli assalti di cui è vittima uno dei principali patrimoni del paese, ne illustra le cause e suggerisce come resistere. Uno dei paradossi nazionali: abbiamo le migliori leggi di tutela e il peggiore abusivismo edilizio

 

Tre paradossi, secondo Salvatore Settis, gravano sul paesaggio italiano e sul suo futuro. L´Italia è il paese con un tasso di crescita demografica bassissimo (quel poco che c´è è dovuto prevalentemente agli immigrati), eppure è da noi che il cemento consuma più suolo in Europa. Solo in Italia la protezione del paesaggio è scritta nella Costituzione ed è in Italia che vigono le migliori leggi di tutela: eppure il nostro è il paese più infettato dall´abusivismo edilizio e da quel sistema di deroga costante che autorizza legalmente di costruire in modo selvaggio. Ultimo paradosso: vantiamo una letteratura sterminata sul paesaggio (giuridica, amministrativa, storica, filosofica…), eppure nella scuola italiana non c´è verso di sentir pronunciare quella parola.
Storico dell´arte, archeologo, direttore prima del Getty Research Institute di Los Angeles, poi, fino a quest´anno, della Normale di Pisa, titolare della Cátedra del Prado, Settis sta per mandare in libreria Paesaggio, Costituzione, Cemento. La battaglia per l´ambiente contro il degrado civile (Einaudi, pagg. 326, euro 19). Il libro fa capire quale profilo ormai affianchi quello del Settis studioso e docente: l´essere diventato fra i più affidabili riferimenti di quel vasto schieramento che in Italia fronteggia aggressioni e insensatezze a danno del paesaggio. E questo saggio raccoglie riflessioni culturali e civili, cifre, scenari economici, storie e una ricca documentazione di fonti legislative e amministrative che consentono a chi si batte per evitare un sopruso di avere uno strumento in più.

Settis, gli italiani non crescono, ma le case sì. Perché?
«Al fondo anche delle più sfacciate operazioni speculative io ci leggo una cultura arcaica, la memoria di una povertà ancestrale: persino nelle zone più ricche del paese quel che conta è la rendita fondiaria che blocca capitali e non produce ricchezza». 

Il culto del mattone?
«L´idea che il modo migliore per investire un capitale sia di tradurlo in immobile. Che poi questo venga utilizzato o venduto è secondario. È un carattere che accompagna la nostra economia da decenni, comprensibile, forse, in un cittadino comune, meno in Giulio Tremonti».

Che però non è il ministro addetto al cemento.
«È lui ad aver varato nel 2001 la norma che detassa il reddito d´impresa se si investe in capannoni industriali: si spiega così, e con qualche trucco aggiuntivo, perché le province di Treviso, Padova, Vicenza e Venezia – ma anche altre in tutta Italia – siano disseminate di stabilimenti vuoti che sfigurano il paesaggio pedemontano veneto già massacrato quando la crescita economica di quelle aree era impetuosa e quando incalzava il cosiddetto sprawl urbano, la dispersione abitativa».

Ecco il paradosso: mattone senza crescita.
«Un altro potente fattore di devastazione è stata l´abrogazione di quella parte della legge Bucalossi del 1977 che imponeva a chi costruiva di contribuire ai costi che il Comune avrebbe sopportato per gli allacci di luce, gas, acqua, per le strade, le fogne. Dal 2001, ultimi giorni del governo Amato, quei soldi che il privato paga finiscono nel bilancio del Comune che li usa come crede».

20101219-settisE qual è stata la conseguenza?
«Che i Comuni, strozzati dal calo dei finanziamenti statali e poi dall´abolizione dell´Ici, sono stati spinti a fare cassa concedendo quante più licenze edilizie possibili. Hanno venduto suolo senza altra logica che quella di tenere in piedi i bilanci. E sono incentivati a continuare. Poi ci si mettono i condoni, il cosiddetto "piano casa"…».

Lei raccoglie tantissimi dati sul consumo di suolo.
«Le informazioni non mancano. Talvolta sono parziali. L´Istat ha accertato che dal 1995 al 2006 sono stati rilasciati permessi per 3,1 miliardi di metri cubi. E con questi dati l´urbanista Paolo Berdini ha calcolato che si è costruito su 750 mila ettari di suolo, una superficie grande quanto l´Umbria. Ma a queste cifre vanno aggiunti i numeri dell´abusivismo».

Sotto questa marea di case, strade e stabilimenti annega parte consistente del paesaggio italiano. Che cosa replica a chi sostiene che non si possa guardare al paesaggio come a un bene immutabile, dato una volta per sempre?
«Che è verissimo. Il paesaggio cambia continuamente. Gli alberi di un bosco crescono e poi vengono potati. Tutte le leggi, da quella di Benedetto Croce degli anni Venti del Novecento al Codice varato nel 2004 considerano il paesaggio come un prodotto storico, culturale, cui cooperano natura e uomo».

Però?
«Però bisogna fare attenzione a quanto di capzioso può nascondere chi si scaglia contro una presunta ibernazione del paesaggio. Le modifiche che si possono apportare devono essere controllate e devono rispondere a una logica che i paesaggi contengono dentro di sé e che va interpretata. Il paesaggio non va protetto perché estetizzato, ma perché è portatore di valori civili, garante della vita associata. È il filo che lega esperienze sociali, delle classi ricche e colte e delle persone umili, a cominciare dai contadini».

Quando è saltato questo codice condiviso?
«Dagli anni Cinquanta in poi. Il fenomeno ha assunto aspetti antropologici ed è poi diventato impetuoso negli ultimi decenni. Almeno all´inizio è prevalsa la combinazione di diversi fattori: la crescita demografica e del reddito, la voglia di rinascita dopo la guerra, il calo delle professionalità e dei controlli pubblici, nuove tecnologie edilizie e l´irrompere sulla scena macroeconomica del settore immobiliare».
 

E venendo ad anni a noi più prossimi?
«È saltato l´equilibrio città-campagna. La campagna è invasa dalla città, ma non è diventata città e non è più campagna. Si è posto il mercato al di sopra di ogni altro valore e lo spazio sociale, che era carico di senso, è stato travolto dal meccanismo consumistico di una violenta rottamazione, è diventato esso stesso una merce, vale non perché possiamo viverlo, ma solo in quanto può essere occupato, prezzato, cannibalizzato».

"Sa indignarsi solo chi è capace di speranza", lei scrive citando Seneca. Qualcosa sta cambiando?
«Il degrado di cui parliamo è parte di un degrado che investe le regole del vivere comune. E l´opposizione cresce. Ovunque sorgono comitati di cittadini, che scavalcano la mediazione dei partiti, attivano forme di rappresentanza nuove, acquistano competenze, manifestano, vanno al Tar e vincono. Si muovono con passione e abilità politica. Il paesaggio rappresenta una cartina di tornasole, un test per intendere come il cittadino vive se stesso in rapporto all´ambiente e alla comunità che lo circondano».

Da La Repubblica, 3 dicembre 2010