Restaurare opere d’arte, architetture, paesaggi, oltre ad essere un valore per lo spirito umano ha una ingente valore economico coerente con il primo.
Due notizie di questi giorni mi hanno particolarmente colpito: il fatto che il Parco Sigurtà sia stato visitato nel 2016 da 350 mila persone, e la sperimentazione di un “densimetro”, o “contateste”, per regolare l’afflusso di turisti nelle Cinque Terre.
Nei miei ricordi il Parco Sigurtà, posto sulle colline moreniche a sud del Garda, premiato nel 2015 come il secondo parco più bello d’Europa e nel 2013 come il primo in Italia, era quel luogo tranquillo, magnifico nella flora e nel paesaggio, dove una quindicina di anni fa portai mia madre e mia suocera novantenni a respirare aria pura e odorosa e a spaziare con lo sguardo oltre la ristrettezza delle strade e delle stanze cittadine. E delle Cinque Terre ricordo una passeggiata quasi solitaria e quasi romantica lungo la Via dell’Amore, sull’”orlo della vasca sempre piena” come Melville definisce il mare, con mia moglie accanto e il primo figlio sulle spalle.
Valeggio sul Mincio. Parco Giardino Sigurtà
Quelle e altre notizie analoghe sono all’ordine del giorno: basta citare il problema dell’afflusso di turisti a Venezia e più in generale dell’affollamento asfissiante di visitatori nei luoghi più famosi per la loro storia, le opere d’arte o il paesaggio. Un fenomeno che rischia di degradare progressivamente gli oggetti dell’ammirazione universale.
E’ nota la frase attribuita a Giulio Tremonti, ministro dell’economia del governo Berlusconi nel 2010, secondo cui “con la cultura non si mangia”. Questa frase (da lui peraltro negata) ha fatto scandalo, ma in realtà riflette una concezione utilitaristica delle pulsioni umane ancora dominante. Insomma, è ancora poco diffusa la consapevolezza della dimensione sconfinata della “domanda di bellezza” e della sua crescita esponenziale in un mondo in cui, pur con crescenti disuguaglianze, molti milioni di persone sono uscite dallo stato in cui le proprie risorse economiche erano appena sufficienti per soddisfare i bisogni primari.
Cinque Terre. La Via dell’Amore.
L’affollamento incontenibile di visitatori in un numero relativamente limitato di luoghi lo dimostra. In termini economici significa semplicemente che la domanda di bellezza supera di gran lunga l’offerta: Se non lo si capisce non se ne traggono le conseguenze, potenzialmente molto positive. Restaurare, ricuperare migliaia di luoghi, monumenti, ambienti naturali ovunque, e di cui l’Italia è piena, oltre ad avere un valore estetico assoluto, cioè fine a sé stesso, avrebbe anche un grande valore economico e potrebbe alleggerire la pressione sui soliti luoghi.
Chi ha compreso l’esistenza di un potenziale “mercato della bellezza” grande come un oceano ma in gran parte latente, e ha investito su di esso, ha ottenuto un grande successo in primo luogo culturale, e in secondo luogo economico. Un esempio noto a tutti è quello della Venaria Reale. Ridotta a un rudere per secoli e fino al 1998, è stata restaurata ed inaugurata nel 2006. Nel 2016 ha superato il milione di visitatori in un anno. Io ho in mente un’altro caso, più piccolo ma significativo, che ho avuto occasione di visitare: i Giardini del Castello Trauttmansdorff a Merano. Nell’ottocento era un luogo amato dalla Imperatrice Sissi. Dopo la prima guerra mondiale, con il passaggio del Sud Tirolo all’Italia, il monumento venne abbandonato e, guarda caso, affidato all’Associazione Combattenti e Reduci, esattamente come l’Imperial Regia Villa e Parco di Monza dopo l’uccisione di Umberto I. Questo Ente incompetente riuscì a ridurlo a un rudere, con il giardino lottizzato in piccoli orti dati in in concessione ad affittuari. Nel 2001 è stato riportato agli antichi splendori, ottenendo riconoscimenti internazionali analoghi a quelli del Parco Sigurtà, registrando un afflusso turistico per tutto l’anno, e diventando un elemento di attrazione aggiuntivo per la bella città di Merano.
Merano. Castello e Giardini Trauttmansdorff.
In altri termini: data la domanda sconfinata e montante di esperienze estetiche (del discutibile contorno turistico dirò poi), restaurare opere d’arte, architetture, paesaggi, oltre ad essere un valore per lo spirito umano ha una ingente valore economico coerente con il primo.
Molti considerano l’accessibilità di un luogo come importante per la sua attrattività. Ma di gran lunga più importanti sono i valori culturali intrinseci di un opera d’arte o un luogo, che riassumo nella parola “bellezza”. Gli umani superano qualsiasi ostacolo logistico pur di vivere una straordinaria esperienza estetica. Non citerò il Machu Picchu o l’Everest. Mi basta parlare di Pienza, dove sono stato pochi giorni fa. Pienza è fuori mano, ma famosa perché il Papa Pio II nel 1505 decise di costruire una città ideale sopra l'antico borgo dove era nato, affidandone il progetto a un grande architetto del tempo, Bernardo Rossellino. Oggi Pienza è meta di turisti da tutto il mondo (“Da dove venite?” ho chiesto a due anziane signore. “Dall’Alaska”, mi hanno risposto). L’esempio di Pienza mi serve anche per sottolineare che molti luoghi famosi lo sono per un aspetto che oggi viene scarsamente capito, perché viviamo in tempi di visioni ristrette, miopi, prendi e fuggi. E’ venuta a mancare al giorno d’oggi la sensibilità per le grandi visioni e prospettive, che non riguarda solo il piacere di rimirare un paesaggio grandioso, ma anche la creatività culturale e l’ampiezza e lungimiranza delle visioni politiche. Ebbene: Pienza è inclusa tra i beni del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco non soltanto di per sé, ma perché da essa si gode la vista dell’ampia distesa della Val d’Orcia, modello della campagna toscana, inclusa come parte integrante del riconoscimento dell’Unesco.
Pienza e la Val d’Orcia
Dato che sto parlando di economia, non vorrei che si pensasse a un ragionamento aziendalistico. Un’azienda è una struttura che investe e sostiene costi di gestione per offrire al mercato prodotti o servizi apprezzati dagli acquirenti, da cui trae un profitto o, se è un’azienda non profit, risorse sufficienti a mantenerla e farla crescere in equilibrio contabile. Nel caso dei beni culturali il discorso è più complesso. In primo luogo, l’offerta di cultura rientra tra le funzioni proprie delle pubbliche istituzioni come di un bene comune. In quanto tale deve essere finanziata in tutto o in parte con risorse pubbliche. In secondo luogo il suo valore intrinseco, che prescinde da quello economico, suscita in molti il desiderio di sostenerlo. E’ il caso del mecenatismo e del crowdfunding. In terzo luogo l’afflusso di visitatori genera ricadute economiche esterne al bilancio dell’ente gestore del bene in questione, molto importanti ma di difficile valutazione. L’economia dell’offerta culturale va pertanto al di là della contabilità dell’ente che gestisce un bene culturale. Le entrate debbono essere integrate da risorse pubbliche e volontaristiche, anche in considerazione del fatto che i prezzi imposti ai visitatori debbono essere “politici”, cioè tali da consentire anche ai meno abbienti di potere godere del bene in questione.
Chi mi conosce sa già dove vado a parare.
Se c’è un luogo che potrebbe profittare alla grande della domanda di bellezza insoddisfatta è l’Imperial Regia Villa e Parco di Monza. Il complesso costituito dalla Villa, realizzata da Giuseppe Piermarini, e il Parco di 700 ettari progettato in modo unitario da Luigi Canonica, costituisce un unicum che, se restituito alla grandiosità originaria, attrarrebbe visitatori da tutta Europa e dal mondo.
Da recenti ricerche risulta che la posa della prima pietra della Villa nel 1774, cioè 240 anni fa, fu approvata dall’Imperatrice Maria Teresa anche perché le era gradito il proprio accostamento alla regina longobarda Teodolinda, che risiedette a Monza, e per il fatto che Monza fosse depositaria della Corona Ferrea, simbolo del Regno d’Italia come parte integrante del Sacro Romano Impero, di cui gli Asburgo furono gli ultimi eredi. Questo significa che una rivalutazione della Villa e Parco di Monza si trasmetterebbe naturalmente, senza forzature (vedi i ripetuti tentativi falliti di portare in città il pubblico dell’autodromo) a tutta Monza, riaffermandone l’identità e diffondendone una coerente notorietà.
Imperial Regio Parco di Monza. Le prospettiva del Viale Mirabello alle montagne lombarde violata dal rudere della ex pista di alta velocità.
Purtroppo è il nostro uno dei luoghi in cui l’ignoranza e la miopia anche economica, ispirata a un utilitarismo di breve durata, riescono a realizzare un doppio risultato negativo: uno sfruttamento degradante del monumento, specialmente del grande Parco, già violato nelle sue grandi prospettive paesaggistiche da ecomostri inutili e devastanti, e la lacerazione dei legami ideali e identitari tra Villa e la città di Monza.
Non voglio toccare in questo articolo il tema del turismo di massa, che se da una parte esprime il desiderio di crescita culturale di milioni di persone, dall’altra assume forme deplorevoli di conformismo consumistico. Il tema richiederebbe una trattazione a parte. Per ora mi limito a prendere posizione contro la grandi navi da crociera nel Bacino di S. Marco, e non contro l’industria turistica delle crociere in quanto tale.
Mi basta far rilevare che il restauro di beni e luoghi d grande valore storico, artistico, paesaggistico contribuirebbe ad orientare i viaggiatori verso esperienze di crescita culturale più che verso altri aspetti meno elevati. Peraltro, una volta stabilita la scala di valori, anche il turismo gastronomico può trovare una giusta e apprezzabile collocazione!