Il governo non ha recepito la direttiva europea sulla responsabilità amministrativa nei reati ambientali. E ora i colpevoli dello scarico illegale nel fiume potrebbero passarla liscia.
Da Terra
La buona notizia è che la Procura di Monza ha raccolto prove sufficienti a carico dei presunti responsabili dello scarico illegale nel Lambro di oltre tremila tonnellate di idrocarburi. La cattiva è che con molta difficoltà il capo di imputazione potrà essere il disastro ambientale. Giuseppe e Rinaldo Tagliabue, titolari della Lombarda Petroli colpevole dello sversamento, potrebbero essere rinviati a giudizio solo per irregolarità fiscali e reati ambientali minori. La beffa è dovuta al mancato accoglimento da parte del governo della direttiva europea sulla normativa ambientale che avrebbe introdotto la responsabilità amministrativa.
Il ministro Angelino Alfano l’aveva indicata come una priorità nella lotta alle ecomafie: «Insieme al ministero dell’Ambiente recepiremo nel più breve tempo possibile la direttiva comunitaria al fine di elidere l’evidente asimmetria che esiste tra la pervasività criminale e l’efficacia della normativa vigente», aveva detto all’inizio del 2010 a un convegno sul ciclo integrato dei rifiuti. Nonostante fosse considerata prioritaria, la direttiva 99 del 2008 non è mai stata recepita. La scadenza era stata fissata per il 26 dicembre del 2010. Ma sia Alfano che la Prestigiacomo si sono dimenticati di portarla in Consiglio dei ministri. Quindi nel codice penale italiano non c’è traccia di responsabilità amministrativa per i reati ambientali. «Per questo motivo», spiega Sergio Cannavò vice presidente di Legambiente in Lombardia, «nella vicenda del Lambro ai Tagliabue potrà essere imputata soltanto la responsabilità omissiva, dal momento che la giurisdizione italiana non prevede nulla di specifico per questa fattispecie di reati».
Per i magistrati di Monza lo sversamento a fiume non fu un incidente. Scaricando nel Lambro oltre tremila tonnellate di oli minerali e idrocarburi, i titolari della Lombardia Petroli avevano l’intenzione di nascondere reati fiscali. Anni prima, allo scopo di far cancellare la loro azienda dall’elenco dei siti a rischio, si erano adeguati alla cosiddetta direttiva Seveso (adottata negli anni ’80 dai paesi dell’Unione europea dopo il disastro avvenuto nel ’76 nel comune brianzolo), che consente di stoccare nei depositi materiale inquinante non superiore alle duemila cinquecento tonnellate. I Tagliabue, sebbene avessero abbandonato l’attività da molti anni, continuavano a conservare all’interno dei loro capannoni quantità di oli e idrocarburi gran lunga maggiori. Non solo violavano la direttiva europea, ma in questo modo avrebbero evitato di pagare al fisco svariati milioni di euro di accise sugli oli minerali. Perciò lo scorso 23 febbraio avrebbero deciso di svuotare i serbatoi della propria azienda, scaricando nel Lambro gli idrocarburi in eccesso.
I magistrati della Procura di Monza Emma Gambardella e Donata Costa, che tra un mese dovrebbero depositare gli atti, hanno quindi definitivamente escluso la pista della ‘ndrangheta, che inizialmente era stata chiamata in causa. L’operazione di svuotamento dei serbatoi è stata infatti compiuta da una mano esperta. Gli idrocarburi sono stati prima riscaldati allo scopo di renderli più liquidi e i bocchettoni sono stati aperti secondo la procedura abituale. Solo qualcuno che lavorava nell’azienda poteva dunque essere in grado farlo. «Sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta bisogna però tenere gli occhi aperti», dice la senatrice del Pd Daniela Mazzucconi, componente della Commissione Ecomafie. Villasanta, il comune in cui è avvenuto lo sversamento nel Lambro è appena a 20 chilometri da Desio, dove secondo i magistrati si trova la più antica ndrina lombarda. «Qui - segnala la senatrice- con l’Expo e la Pedemontantana i clan potrebbero fare affari d’oro».