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Un intervento di Luca De Biase, curatore di Nova 24, sul dibattito fra pro e contro le centrali nucleari

 

Ci sono delle cose che solo a parlarne scaldano gli animi. Il nucleare è tra queste. In molti, il nucleare fa scattare un segnale d'allarme e un'affermazione: "no, grazie", o almeno "non nel mio territorio". D'altra parte, con i tempi che corrono, non mancano quelli che reagiscono in modo uguale e contrario: "sì, assolutamente".

Ma l'approccio ideologico non porta da nessuna parte: rifiutare il nucleare senza ragionare non è certo il modo per evitare un errore storico; ma imporre una centrale a un territorio senza una discussione razionale provocherà proteste, rischierà di favorire la corruzione, genererà allarme e poca trasparenza nell'informazione. Aumentando i rischi: perché, per esempio, senza trasparenza non ci sarà un'adeguata partecipazione ai piani di evacuazione cui una popolazione con la centrale dovrà allenarsi. Senza trasparenza, poi, qualche addetto agli impianti potrà sempre essere tentato di coprire un incidente, per evitare grane. Insomma, meglio la trasparenza. E la trasparenza si fa parlando dei fatti.

E invece, a giudicare da qualche commento al precedente post, che raccoglieva un po' di notizie sull'incidente alla centrale nucleare di Fukushima, qualche sostenitore del "sì assolutamente" aggiungerebbe anche: non parliamone neppure. Altrimenti si fa campagna per il referendum.

Su questo non sono d'accordo. Io sono per parlarne. E non mi importa se questo può avere conseguenze sul referendum. Il sistema del quorum ha trasformato il referendum in una battaglia tra i "sì" e i "non voto" (invece che tra i "sì" e i "no"). Quindi parlare di un argomento legato a un referendum è fare campagna per il "io voto" (che viene letto dai "non voto" come "sì"). E' uno dei tanti labirinti del dibattito pubblico italiano. Che si scioglierebbe solo abbassando o abolendo il quorum. Ma poiché il quorum c'è, l'ambiguità resta: peggio per noi. Perché invece di questa scelta bisogna parlare. Non per il referendum o per la politica: ma per noi che viviamo in questo territorio.

C'è chi difende la strategia nuclearista italiana sostenendo che le centrali sono sicure e osservando che sono strategicamente necessarie per avere il giusto mix di energia (Veronesi sulla Stampa).

La questione della convenienza economica e della necessità strategica è un tema enorme e interessantissimo: se si incentivano le fonti alternative fino a farle diventare davvero convenienti, il nucleare serve meno; se si bloccano gli incentivi, mandando in rovina la filiera solare nascente, il nucleare serve di più; se la Libia va in tilt e aumenta il petrolio, il nucleare serve di più; se c'è pace in Medio Oriente, il nucleare serve di meno; e così via. La questione è strategica, ma la soluzione è complessa. E complessa non vuol dire sbagliata: può essere che alla fine, data quella complessità, la soluzione migliore sia "avere il nucleare è meglio perché non si sa mai". Purché questo non significhi "bloccare il solare".

Quanto ai rischi, la questione è meno difficile da affrontare. L'incidente giapponese mostra che i rischi ci sono e negarli è sciocco, ma ogni generazione tecnologica li abbassa. Il che non chiude il discorso. In generale, i rischi maggiori sono quelli legati ai fattori umani, come osserva giustamente Veronesi: i tecnici, i manager, i fornitori, la disciplina della popolazione, la pubblica sicurezza, i servizi antiterrorismo. Il fatto è che questi rischi sono strani: riguardano eventi estremamente gravi ma estremamente rari. E con questo genere di rischi molti convivono: alle pendici del Vesuvio, per esempio. I rischi nucleari, però, sono una scelta di sistema. Un processo di decisione democratico non può che essere tale da coinvolgere chi vive in un territorio e si assume quei rischi. Abbandonare una strada per evitare i rischi è altrettanto sciocco che negarli: e, a questo proposito, vale l'argomento di chi dice che intorno a noi gli altri paesi hanno le centrali, dunque i rischi non li possiamo evitare.

Il punto centrale, secondo me, è come si arriva a decidere di mettere una centrale in un posto. Veneto e Lombardia, guidate attualmente da governi vicini all'attuale governo centrale, rifiutano le centrali nucleari. Che significa? Hanno già fatto un'analisi e visto che non ne hanno bisogno? Non vogliono affrontare una discussione impopolare? Non sono chiamate anche loro a contribuire alla strategia energetica nazionale? Non c'è stata discussione in Veneto e in Lombardia, c'è stato un rifiuto e basta. Che cosa succederebbe se un'azienda fornitrice di energia nucleare volesse comunque costruire? A chi si rivolgerebbe? Dovrebbe andare in un'altra regione? Perché l'altra regione dovrebbe accettare la centrale?

Manca un pezzo al ragionamento sulle centrali. Come si discute la loro localizzazione? Ci sono tre possibili modi:
1. la centrale si impone senza se e senza ma
2. la centrale si discute con un percorso razionale
3. la centrale si discute in modo fazioso e poi si sceglie a caso o in modo irrazionale

Di solito in Italia si opta per la terza possibilità. La prima riesce solo in pochi casi, quando una forza davvero enorme si mette in gioco (l'alta velocità può essere stata un esempio?). La seconda è piuttosto rara: si direbbe che un esempio sia stato il passante di Mestre. Ma perché non possiamo migliorare?

Se volessimo migliorare potremmo inventare un sistema decisionale razionale. Del tipo. A quali condizioni una popolazione accetta il rischio di una nuova centrale nucleare? In cambio di investimenti? In cambio di un sostegno fiscale ai consumi? Se si fanno investimenti, in quali settori vuole crescere il territorio? Ricerca, infrastrutture, nascita di nuove imprese... Sarebbe un percorso interessante per ogni scelta che riguardi il destino di un territorio che gestisce le sue scarse risorse pubbliche, compreso quando si decide di lasciar aprire un nuovo centro commerciale o quando si riconverte un'area industriale o quando si fa un aeroporto... Non si tratta di fare un'assemblea: si tratta di fare un piano di sviluppo e di affinarlo fino a quando è sentito dalla popolazione come proprio.

Il terribile evento che ha colpito il Giappone è una tragedia epocale. L'incidente alla centrale ha rischiato di renderlo ancora più terribile e per questo se n'è parlato tanto. Le decine di migliaia di persone evacuate dalle zone circostanti la centrale colpita si sono aggiunte ai senza tetto determinati dal terremoto e dallo tzunami. Le conseguenze sul dibattito italiano non possono essere taciute: la qualità, la compostezza e la disciplina del popolo giapponese sono un esempio per noi. Il loro dolore è il nostro.

 

 

Rassegna nucleare

Una rassegna di articoli sull'incidente alla centrale di Fukushima, seguito al terremoto e allo tzunami.

Notizie

Japan Times: messa in discussione la politica di sicurezza delle centrali nucleari

Japan Times: l'incidente

New York Times: i tecnici giapponesi tentano di evitare il meltdown

Economist: ridurre la crisi del nucleare

Scienziati

Union of concerned scientist: quello che sappiamo dell'incidente

Scientific american: descrizione dello scenario peggiore possibile

Reazioni internazionali

Hindustan Times: preoccupazioni per la sicurezza delle centrali indiane

Nikkei.com: l'Australia in aiuto

Delawareonline: preoccupazioni in Delaware

Novinite.com: se è causato dallo tzunami, in Bulgaria non succederebbe

China Daily: la Cina non cambia la sua politica di espansione nell'energia nucleare

Reuters: l'Italia non cambia la sua politica di espansione nell'energia nucleare

Polemiche:

Repubblica: critica al nucleare riferita al rischio geologico definita macabra dal governo

Il Fatto: Tozzi attacca i politici che parlano senza conoscere i fatti del nucleare

Il Giornale: la sinistra specula sull'incidente nucleare

Dire che non c'è pericolo è stupido. Dare solo l'allarme non è molto profondo. Ma mettere una centrale nucleare in un posto sismico significa avere un'organizzazione veramente ottima per ridurlo al minimo e avere piani e disciplina per le evacuazioni. Le popolazioni interessate dovrebbero essere messe nelle condizioni di accettare l'enorme rischio, in cambio di una politica di sviluppo talmente intensa e vera da convincerli a cambiare vita per accogliere la centrale. Ma questo comporterebbe costi aggiuntivi per chi fa le centrali, visto che si dovrebbe assumere i costi delle esternalità negative. In assenza di uno scambio vero tra popolazione e produttori di energia, rischio contro investimenti di pari portata e lungimiranza, mettere una centrale è solo sfruttare un territorio e una popolazione, con tutti i suoi discendenti. Chi vuole fare una centrale si deve assumere il costo delle esternalità in misura molto importante. Se non si pone la questione come richiesta a una popolazione di assumersi un rischio in cambio di un progetto di sviluppo vero e lungimirante, la questione nucleare resterà ideologica. Nell'ignoranza e nella poca trasparenza si coltiverà soltanto malcontento, paura e possibile corruzione. Imho.

 

Dal blog di Luca De Biase