20170203 bergoglio

Ripercorriamo le vicende del Parco di Monza alla vigilia della visita di Bergoglio

Come si potrebbe sottovalutare l’importanza della venuta di Papa Francesco a Monza?
E come si potrebbe dire che, tra gli “eventi” per il cui svolgimento viene proposto il Parco, una Santa Messa officiata da Papa Francesco non sia all’altezza del prestigio della “Imperial Regia” Villa e Parco di Monza?

C’è chi teme che l’afflusso di un numero di fedeli, valutato intorno a un milione, possa causare gravi danni al grande prato del Mirabello, uno dei luoghi più rappresentativi del Parco dal punto di vista storico, naturalistico e paesaggistico. Ma sembrano esserci elementi sufficienti per ritenere che ciò non avverrà: la durata dell’evento sarà relativamente breve, e il comportamento dei fedeli sarà ben diverso e non devastante come quello dei fan dei concerti rock.

Eppure, il Papa che ha scelto il nome di S. Francesco e ha scritto l’Enciclica “Laudatu si. Sulla cura della casa comune”, cioè dell’ambiente naturale in cui viviamo, deve sapere che questo evento si iscrive in una storia di violenze a cui il Parco è stato sottoposto in tutto il secolo scorso e all’inizio di quello attuale. Non solo: che l’evento verrà strumentalizzato per legittimare ulteriori atti di violenza.

È molto probabile che il Papa, la cui agenda è densa di problemi di rilevanza universale, non sappia nemmeno di che cosa stiamo parlando. Ma sarebbe utile che sapesse che Il Parco di Monza è un capolavoro di architettura naturale e paesaggistica di quasi 800 ettari, di rilevanza storica e internazionale, tuttora splendido nonostante le ferite che gli sono state inferte dopo l’abbandono da parte dei Savoia, a causa dell’uccisione di Umberto I a Monza, nel luglio del 1900.

La violenza ha inizio nel 1922, quando viene realizzato l’autodromo, sul quale si corre ancor oggi il Gran Premio di F1. Ma se al giorno d’oggi questo fatto dirompente si presentasse come una ferita ormai cicatrizzata e circoscritta, tra Parco e autodromo potrebbe stabilirsi una convivenza compromissoria. Tenendo anche conto del fatto che negli spazi occupati dall’autodromo permangono vaste aree verdi di grande pregio naturalistico, purtroppo trascurate e isolate.

Ma non si tratta di una ferita cicatrizzata, bensì di una piaga sempre aperta.

Già dall’inizio, seguendo la spinta distruttiva, venne realizzata un’altra pista, detta “di alta velocità”, che penetra più della prima nel cuore del Parco, devastandone e isolandone circa 60 ettari. Dopo pochi anni questa pista venne abbandonata, perché rivelatasi priva di interesse sportivo ed economico. Ma è ancora lì, con la sua presenza dirompente.

Nel 1924 il Parco subì un altro affronto: nel prato del Mirabello, oggi recuperato (di ciò dirò poi), nel quale si terrà la Santa Messa, venne realizzato un ippodromo. Ecco cosa si legge in proposito su Wikipedia: “Collocato fra la villa Mirabello e la villa Mirabellino, l'ippodromo si inseriva in un delicato equilibrio paesaggistico, già fortemente compromesso nel 1922 con la realizzazione dell’autodromo… In realtà l'inserimento dell'ippodromo in quello che da molti era considerato il vero e proprio cuore del Parco, stravolse completamente l’equilibrio tra le diverse quote fra il Mirabello, il Mirabellino, le sponde del Lambro e lo storico cannocchiale prospettico del viale dei Carpini”.

Pochi anni dopo, nel 1928, il Parco subì una terza violazione di vasta portata: la realizzazione di un campo di golf, che comportò l’eliminazione di un bosco di oltre 100 ettari, una volta abitato da cervi e fagiani per le attività venatorie dei nobili, e che oggi potrebbe essere riportato allo stato di una riserva faunistica. Questo atto trasformò il bosco in un impianto sportivo standard, estraneo alla natura del luogo, sottratto all'uso dei comuni mortali per essere riservato ancora oggi a pochi privilegiati di un club esclusivo.

Un’altra devastazione, sia pure di minori dimensioni, furono costretti a subire i Giardini Reali, parte particolarmente pregiata del Parco, posta al contorno della Villa. Questi Giardini possono competere, con le loro prospettive, i prati ondulati, un lago e un arboreto di un centinaio di essenze pregiate, con i più prestigiosi giardini storici del mondo. Ebbene, entrando in questo gioiello attraverso un bel portale neogotico, ci si trova davanti a… quattro o cinque campi da tennis.

Come si suol dire, errare humanum est, sed perseverare diabolicum. Così nel 1956, dopo quasi quarant’anni di abbandono, si decide di rilanciare l’inutile e devastante pista di alta velocità, sopraelevando oltre il lecito le due curve del “catino”. L’impianto si rivelò subito tecnicamente ed economicamente sbagliato e malfatto, al punto da nuocere anche al prestigio dell’Autodromo: la pista fu rifiutata dai piloti e dalle case produttrici, le curve furono denominate “muri della morte”. e il tutto fu abbandonato di nuovo dopo qualche anno di problematico esercizio. Oggi questo ecomostro è un rudere che rompe ancora l’asse portante del disegno del Parco, il Viale Mirabello, un cannocchiale di quattro chilometri orientato verso le Brianza e le montagne lombarde, e ingombra tutta la zona circostante. La disinformazione alimentata da interessi estranei e pervicaci ha trasformato questo ecomostro in un totem con i piedi nell’ignoranza. Ebbene, ancora oggi, nonostante queste esperienze fallimentari e devastanti, c’è chi ne prevede un restauro finalizzato al nulla o al peggio. Cosa c’è oltre il “diabolicum”?

Ma come si spiega questa violenza senza fine? Perché, considerato il valore del complesso monumentale che nelle mappe dell’ottocento era chiamato “Imperial Regia Villa e Parco di Monza”, non si procede con l’unica strategia che sembrerebbe ovvia: un restauro il più possibile filologico, tale da rendere questo bene non solo una risorsa preziosa per le popolazioni locali, ma anche un luogo di attrazione a vasto raggio, data la sua storia bisecolare e internazionale? Perché non si punta a un obiettivo ideale, ma anche molto concreto, come quello di un riconoscimento da parte dell’UNESCO come parte del patrimonio dell’umanità, con risultati anche economici che in prospettiva convergerebbero con la tutela dell’ambiente naturale e dei valori culturali?

Ebbene, tutto ciò non avviene perché dai tempi dello scempio dell’autodromo è in atto una strategia, non dichiarata ma pervicace, portata avanti da interessi economici speculativi estranei al Parco e alla città di Monza: una visione che separa il Parco dalla Villa, lo considera come ormai deflorato e irrecuperabile, disponibile per attività sportive (“un impianto sportivo a cielo aperto”, è stato detto) e di qualunque tipo, del tutto insensibili ai valori culturali e ambientali del luogo. Una testimonianza recente, generalmente sottovalutata, di questa visione, è la disseminazione in tutto il Parco di grandi cartelli e di segnavia di cemento ad imperitura memoria, con il marchio di uno sponsor, indicanti il percorso di una mezza maratona. Una corsa che si corre una volta l’anno e che poteva essere segnata (come ovunque, da Milano a New York) da una segnaletica rimovibile. Questa strategia si va oggi traducendo in altre attività altrettanto e forse più devastanti, di cui dirò in seguito.

(Ovviamente questo discorso verrà travisato come prova di una opposizione a qualsiasi attività sportiva nel Parco. In realtà migliaia di persone ogni giorno vi camminano, corrono, pattinano, cavalcano, fanno ginnastica, eccetera, senza recare alcun danno all’ambiente, al contrario rendendolo vivo e vitale. Ma si tratta di attività ben diverse da quelle di cui sto parlando, che richiedono infrastrutture invasive e snaturanti, e attraggono folle di tifosi poco consapevoli e rispettosi del luogo).

Ma nel 1996 accadde qualcosa che fece sperare nella fine delle aggressioni, in una inversione del processo devastante durato quasi un secolo. Sia pure a compensazione dell’ennesima violenza - la costruzione di nuovi box nell’autodromo, descritti come un grattacielo disteso sul suolo - venne elaborato per la prima volta un “Piano per la Rinascita del Parco di Monza”. Questo piano, attuato sia pure solo in parte, ha consentito una serie di interventi rilevanti per restituire al Parco la dignità ferita. In particolare venne eliminato l’ippodromo, con il rifacimento del grande prato del Mirabello, il recupero della visuale sulle montagne lombarde, il rifacimento del Viale dei Carpini che congiunge le due ville duriniane, Mirabello e Mirabellino. È questo il luogo dove si terrà la Santa Messa di Papa Francesco.

Ma purtroppo questo ritorno alla natura, alla bellezza, e alla stessa ragione, è stato presto abbandonato, e lo spirito distruttivo ha ripreso il sopravvento.

Con il nuovo millennio lo sport automobilistico vede un calo d’interesse, specie tra i giovani, dovuto probabilmente agli eccessi della motorizzazione, alla consapevolezza del conseguente inquinamento atmosferico e acustico, al progresso tecnologico che rende obsoleto il mito dei bolidi rombanti. Questa tendenza ha riflessi negativi sulle corse automobilistiche, e quindi anche sull’autodromo di Monza, compromettendone la sopravvivenza.

Si poteva supporre che, di fronte alla crisi, i gestori dell’autodromo modificassero le loro strategie, rendendo anche l’impianto più compatibile con la natura del Parco (ad esempio con le gare di auto elettriche e con attività di ricerca scientifica). Ma nulla di tutto questo. E così, per uscire dalla crisi, si è pensato a una “diversificazione” rispetto alle attività sportive: i concerti rock. Immaginando ancora il Parco come luogo ormai compromesso, disponibile per accogliere centinaia di migliaia di fan, devastandolo con strutture monstre trasportate da enormi TIR, inquinamento luminoso e acustico, compattamento e compromissione dei terreni prativi (tappi di bottiglie di birra, mozziconi di sigarette e altri rifiuti incistati nel terreno). Notizie recenti sui gestori della Formula Uno e dell’autodromo fanno prevedere il peggio, con la trasformazione delle gare automobilistiche in kermesse polivalenti e l’estensione degli “eventi” dai concerti rock a diverse attività ludiche, in un’ottica esclusivamente affaristica. Il tutto all’insegna del “che c’è di male?” (Papa Francesco sa bene cosa può nascondersi dietro questa frase).

E vorrei concludere proprio con il tema dei prati, sulla cui difesa molti ironizzano, come se fosse un argomento di scarso rilievo. È infatti opinione diffusa che un prato, dopo essere stato devastato, può essere facilmente ripiantumato. Nulla di più falso. Perché un prato naturale offre nella sua umiltà (che deriva da humus, non a caso) un contributo prezioso a tre aspetti fondamentali della difesa dell’ambiente, sui quali l’enciclica di Papa Francesco “Laudatu si” si sofferma in modo molto approfondito: la biodiversità, la conservazione delle risorse naturali, la salvaguardia dall’inquinamento.
Un prato naturale, come quelli che caratterizzano il Parco, è “polifita”: è formato cioè da una grande varietà di essenze erbacee, che oltre a caratterizzarlo esteticamente emanano anche profumi diversi che distinguono un luogo. È cioè una espressione della biodiversità. Una ripiantumazione non potrà mai restituirgli quelle caratteristiche. Va bene per un campo di calcio, per un campo da golf, insomma per un “non luogo”, per usare il termine felicemente proposto da Marc Augè. Inoltre, un prato naturale si mantiene da sé, resistendo alle intemperie e giovandosi di concimi naturali altrimenti trasformati in rifiuti. In più, gli sfalci dell’erba lo rendono economicamente e sanamente redditizio. Al contrario un prato artificiale richiede continui interventi per essere conservato, spesso con l’uso di fertilizzanti chimici, diserbanti e pesticidi fortemente inquinanti. E consuma molta acqua. Se abbandonato a sé stesso, magari dopo il susseguirsi di “grandi eventi”, è destinato a morire, trasformandosi in una sterile terra battuta. Guarda caso, proprio in questo mese si terrà a Treviso, per iniziativa della fondazione Benetton, un convegno di due giorni con il titolo “Prati, Commons”. “Quattro sessioni di studio che partono dai prati nella storia e nella cultura del paesaggio”.

Certamente Papa Francesco non avrà il tempo di leggersi tutto questo discorso. Spero solo che qualche suo collaboratore, non influenzato da narrazioni interessate, dotato di informata coscienza, lo legga e gliene comunichi il senso. E che qualcun altro, a Monza e dintorni, sia indotto a qualche riflessione.

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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