Con i Paesaggi quotidiani, Marzio Franco intende proseguire nella stessa linea di ricerca iniziata con la mostra Il tempo sospeso (Urban Center di Monza, dicembre 2013): la città di Monza viene immortalata a tutte le ore del giorno, nelle settimane, nei mesi, nelle stagioni, con la pazienza di chi sa aspettare che la luce illumini le cose, dilati lo spazio, forgi forme che appaghino l’occhio di chi le osserva. Non si tratta di cartoline: lo sguardo di Marzio appartiene a chi gira a piedi e, pur nella monotonia del tragitto quotidiano casa-lavoro, si riserva di osservare la realtà con gli occhi del fotografo. Emerge così qualcosa, sia pure un particolare irrilevante, che incuriosisce e stimola il fruitore della fotografia, a cui è così permesso di vedere ciò che prima soltanto guardava. “Susan Sontag negli anni Settanta ha detto che la fotografia è un oggetto surreale assoluto: queste immagini di Monza pescano nel nostro inconscio e ci raccontano di ricordi a cui non siamo mai riusciti a dare forma” (dal testo critico in introduzione al catalogo). In occasione della mostra è pubblicato un ampio catalogo in 100 copie numerate, edito da Paragrafiedas. Con testo critico introduttivo di Bianca Trevisan, comprende numerose fotografie di Monza scattate da Marzio Franco e alcuni racconti di cittadini monzesi che i paesaggi quotidiani li vivono tutti i giorni. Marzio Franco Nella sua storia fotografica l’uso della camera oscura, lo sviluppo e la stampa in bianco e nero hanno influenzato molto l’approccio allo scatto. Al centro del suo interesse sono le banalità che popolano il quotidiano. Molte le sue mostre in ambito cittadino: “Il Parco, non solo ville” al Serrone della Villa Reale negli anni ’80, alle più recenti “ Banalità”, “Per volontà e per caso”, “Oui…Paris”, “Il tempo sospeso” (Urban Center, 2013), “Geometrie Irrilevanti” (Punto Arte, 2014). Il suo volume fotografico “OUI PARIS” è stato selezionato tra i migliori della sua categoria al “FEDRIGONI TOP AWARD 2015”, ed è stato esposto alla Stationer’s Hall di Londra, nel marzo 2015.
Marzio Franco
Paesaggi quotidiani
Negli ultimi decenni la fotografia ha perso sempre più il suo ruolo di racconto, di documentazione, di rappresentazione del paesaggio. È diventata, piuttosto, uno strumento per misurare il rapporto dell’uomo con il mondo esterno, ovvero una finestra di possibile dialogo tra il nostro vissuto, le nostre emozioni, persino la nostra fisicità, e il reale sensibile che è esterno da noi. Roberta Valtorta, in Volti della fotografia, parla di “dilatazioni della fotografia dilatazioni del paesaggio”1: secondo l’autrice, attraverso la fotografia viene dilatata l’idea stessa di paesaggio, ponendo l’osservatore e il fotografo non più “davanti”, ma “dentro” alla scena. Questa viene investita della nostra esperienza e si arricchisce della nostra personale percezione, modificandosi a seconda del significato che di volta in volta le viene attribuito.
Qual è l’identità di un luogo, oggi? Il paesaggio, urbano e non, cambia sempre più spesso e velocemente. Di fronte a luoghi imprevedibilmente irriconoscibili si è verificato un crescente sentimento di smarrimento e conseguente perdita di identificazione. Ciò che accade è uno scollamento tra la “memoria collettiva”, di cui i luoghi cittadini dovrebbero essere custodi, e quella “personale”, di ciascun individuo. Se un paesaggio si spoglia della coscienza storica del cittadino, esso non può fare a meno di essere caricato dai ricordi intimi di ognuno. All’innegabile perdita di identità univoca di un luogo corrisponde la nascita di identità altre, questa volta frammentate, sovrapposte, mutevoli. Si è parlato di “perdita di narrazione” postmoderna: la fotografia, all’impossibilità di dire, reagisce portando dentro al suo stesso linguaggio la frammentarietà del mondo. Piuttosto dell’insieme vengono rappresentate parzialità di scene, cose, persone; il soggetto cambia in continuazione, mentre vengono mescolati elementi tra loro stridenti come ambienti esterni e interni, antico e moderno. Comunemente agli altri ambiti artistici, vengono abbattute le barriere tra i generi, prima invalicabili, e in campo estetico avviene la cosiddetta “rinuncia alla bellezza”: la svolta, in fotografia, viene compiuta tra anni Trenta e anni Quaranta da Walker Evans, per il quale ogni elemento del reale, bello o brutto, gradevole o sgradevole che sia, ha il diritto di essere rappresentato. Tale ricerca viene portata avanti nei decenni seguenti, tra gli altri, da Robert Frank e Lee Friedlander, che si concentrano anche sulle modificazioni impresse dall’uomo sulla natura. Tra gli italiani, Gabriele Basilico, con la sua visione di “paesaggio come corpo”, immortala paesaggi industriali solitari, privi della presenza dell’uomo.
Nel 1987 Luigi Ghirri, in occasione della mostra Dialectical Landscapes. Nuovo paesaggio americano2, individua la differenza tra fotografia americana e europea nel fatto che la prima sarebbe una “fotografia dello spazio”, la seconda una “fotografia del tempo”. Quella americana dunque discenderebbe dal mito della wilderness dei primi esploratori, la conquista della natura incontaminata; l’europea, invece, da una tradizione storica radicata, da uno sguardo, anche laddove dimentico, sempre e comunque rivolto alla dimensione temporale.
Il tempo sospeso è il titolo della personale di Marzio Franco che si tiene nel 2013 all’Urban Center di Monza3: sono esposti scatti ai monumenti del cimitero di Monza, ripresi nel corso delle stagioni, immortalati con le condizioni climatiche più diverse. Il lavoro non riguarda solo le statue, ma il dialogo che si instaura tra di esse, la natura e, appunto, il tempo.
Con i Paesaggi quotidiani oggi in mostra, Marzio Franco intende proseguire nella stessa linea di ricerca: la città di Monza viene immortalata a tutte le ore del giorno, nelle settimane, nei mesi, nelle stagioni, con la pazienza di chi sa aspettare che la luce illumini le cose, dilati lo spazio, forgi forme che appaghino l’occhio di chi osserva. C’è quindi il murales di via Col di Lana, il campanile del Duomo, uno scorcio ripreso da Via Aliprandi: in tutte queste vedute la luce ha il ruolo di dire il non detto, lasciando che guidi lo spettatore, senza costringerlo.
Non si tratta di cartoline: lo sguardo di Marzio appartiene a chi gira a piedi e, pur nella monotonia del tragitto quotidiano casa-lavoro, si riserva di osservare la realtà con gli occhi del fotografo. Emerge così qualcosa, sia pure un particolare irrilevante4, che incuriosisce e stimola il fruitore della fotografia, a cui è così permesso di vedere ciò che prima soltanto guardava. La vista sulle case di Via Pisacane, i giardini del N.E.I. in via Enrico da Monza, il cortile della scuola media Confalonieri, parlano di una città popolare, ancora prima che borghese. Non è omesso nulla in queste immagini: con ritmo incalzante si alternano il bello e il brutto, il grande e il piccolo, i luoghi centrali e quelli periferici. Più che di democraticità dello sguardo, si tratta di una continua messa a fuoco sui particolari differenti che compongono il reale. Il risultato non è caotico, in quanto tutto - e si tratta della caratteristica che rende lo stile di Marzio Franco riconoscibilissimo - viene ricondotto all’ordine della geometria: le diagonali, la regola dei terzi, la sezione aurea, sono i tratti più distintivi.
La grammatica permette che la lingua veicoli il suo contenuto, e la geometria è la grammatica dell’immagine. Per suggerire un paesaggio quotidiano, conosciuto e vissuto dallo spettatore, bastano così pochissimi elementi, che vengono fotografati anche solo parzialmente. Ma il discorso qui è spinto oltre: spesso i monumenti sono appena accennati, oppure addirittura assenti, suggeriti soltanto da un’ombra, o dal riflesso in una vetrina. Si pensi alla fotografia di Piazza Carrobiolo, al Duomo che compare nelle finestre di un palazzo bianco, alla stazione degli autobus in via Turati immersa nella nebbia: tutto è raccontato da un lessico lieve, mai urlato, fatto di pieni e di vuoti, di silenzi spaziali e temporali. Susan Sontag negli anni Settanta ha detto che la fotografia è un oggetto surreale assoluto5: queste immagini di Monza pescano nel nostro inconscio e ci raccontano di ricordi a cui non siamo mai riusciti a dare forma.
Bianca Trevisan
1 R. Valtorta, Volti della fotografia. Scritti sulla trasformazione di un’arte contemporanea, Skira editore, Milano 2005, p. 151. L’espressione citata riprende e modifica il titolo del seminario Dilatazioni del paesaggio dilatazioni della fotografia, da lei tenuto tra il 1990 e il 1991 alla Facoltà di Architettura di Milano e le cui riflessioni sono pubblicate in M. Galbiati, P. Pozzi, R. Signorini, a cura di, Fotografia e paesaggio. La rappresentazione fotografica del territorio, Guerini e Associati, Milano 1996.
2 P. Costantini, S. Fuso, S. Mescola, a cura di, Dialectical Landscapes. Nuovo paesaggio americano, Electa, Milano 1987.
3 Marzio Franco. Il tempo sospeso, Urban Center, Monza, 5 - 15 dicembre 2013. Mostra a cura del Circolo Fotografico Monzese, in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Culturali.
4 Geometrie Irrilevanti è il titolo di una personale di Marzio Franco tenutasi tra il 5 settembre e il 15 settembre 2014 presso lo Spazio Punto Arte di Monza, a cura di Bianca Trevisan.
5 S. Sontag, Sulla fotografia, Einaudi, Torino 1978