Pinuccio Mancuso aveva farfugliato: “Mina anticarro.” e aveva passato alla donna un bottone di giubba militare, un bottone ammaccato come se fosse stato masticato dall’inferno.
A El Alamein il generale Montgomery aveva interrato una fila di mine tutto intorno alla garitta dove era di sentinella lo zio Ferro. Le aveva interrate come si mettono a dimora i fagioli, una mina a due dita dalla successiva mina. Purtroppo lo zio Ferro, nel colmo della notte, si era mosso incantato dalle stelle che sul filo delle dune sembravano lucciole giganti. “Vado là e ne prendo una.” Un passo, due passi, al terzo passo era saltato in aria. Medaglia la valor militare! A casa la zia Giuseppina pensa all’Africa e ogni volta le viene il magone: piange come se piovesse. Quanto è lontana l’Africa! Altro che la capanna del lebbroso in fondo ai campi. Per fortuna l’anima dello zio Ferro appena può torna a casa, torna nei sogni della zia Giuseppina, sua sposa di guerra. D’estate appare nei pisolini pomeridiani quando la donna si addormenta sotto il bersò, con il ricamo tra le mani, abbandonati i palmi nel sospirato miele delle carezze mai dimenticate. Lui sembra vivo, come in quei giorni di solleone quando andavano al fiume e si abbracciavano stretti per non annegare nella corrente, così forte da portare come festuche i barconi della ghiaia e sulla ghiaia gli imperturbabili cormorani. Lui e lei smemorati di tutto, fino al tramonto, in una conca di sottilissima sabbia, ad occhi chiusi, creduli che il non vedere arrestasse il tempo, come se l’ora fosse una dispari carta da gioco dimenticata in un cassetto. La zia Giuseppina si desta dal sonno col fiato grosso: “Dio, Dio cosa ho sognato? Sei tu? Tale e quale prima che partissi per l’Africa. Tu, io… alle giostre per volare sul calcinculo, via, via… sul calcinculo, mentre suonava la banda e sparavano col Flobert all’orso impagliato…”Tu, tu non partire!” “Come posso non partire, sono coscritto.” “No, no non sei coscritto, sei mio!” Era partito. La zia Giuseppina aveva incollato la sua foto sopra il letto e sotto aveva scritto “Torno subito.” Ma non era tornato. A chi chiedere conto? Al re Vittorio Emanuele? Un commilitone, diretto a casa, dall’Africa a Molfetta, aveva bussato alla porta della zia Giuseppina.” Chi è?” “Pinuccio Mancuso!” La zia Giuseppina era diventata bianca come la farina bianca. Pinuccio Mancuso aveva farfugliato: “Mina anticarro.” e aveva passato alla donna un bottone di giubba militare, un bottone ammaccato come se fosse stato masticato dall’inferno. La zia Giuseppina era morta sul colpo. No, cioè, non proprio morta, ma pareva morta. Quando era resuscitata aveva chiesto: “Perché proprio lui? Perché non è saltato il re su quella mina anticarro?” Il commilitone aveva alzato le spalle e aveva risposto che i re sono immortali. La zia Giuseppina aveva ribattuto che sulla mina avrebbe potuto saltare il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani. “Anche i marescialli sono immortali!” “Il tenente colonnello Buttiglione…” “Immortale.” “L’ufficiale di picchetto Bonalumi…” “Idem!” La zia Giuseppina era morta di nuovo ed era dovuto intervenire il parroco per farla rinvenire.
Purtroppo, d’inverno l’anima dello zio Ferro dirada le visite per il cattivo tempo imperversante su tutta l’Africa, ghibli nel deserto, e tempeste nel Mar Rosso. Nessuna nave osa lasciare il porto tanto la mareggiata dà di corna contro il molo sollevando i merluzzi fin sulla cuspide dei fari avvistatori. Che fare? La zia Giuseppina si raccomanda a san Cristoforo, protettore dei viandanti. Il patto è questo: Lei porta un mazzo di crisantemi in chiesa, davanti all’altare del santo. Da parte sua il santo provvede. E’ notte! Silenzio immacolato! In casa i tarli sospendono il rosicchiare. Tace la fiamma nel camino. Tace la fuliggine che di suo già non parla. Vietato il botto delle bottiglie del vino che si stappano nella sabbia del sottoscala: se hanno troppo gas peggio per loro; quanta gente manda giù ciò che vorrebbe tirare su. Silenzio anche fuori casa. Nessun passo di ladri: flop, flop…fuoco, fuochino è qui la pentola dei soldi? Nessun bisbiglio di amanti: smac un bacio, smac smac un bacio ancora. Nessun ubriaco che non trovando il buco della chiave impreca a quelli di casa di buttare giù la porta. L’universo è col fiato sospeso. Qualcuno ha visto lo zio Ferro? Macché! Intanto nevica. Nevica? Sì che nevica! Un fiocco, due fiocchi, cento fiocchi, tantissimi bioccoli. Chi va per strada con questo tempo? La zia Giuseppina è dietro la finestra. Nella mano esausta stringe forte il fazzolettino ricamato. “Piano, piano zia Giuseppina, ti fai male con le unghie.” La zia Giuseppina aspetta: verrà, non verrà? Miracolo! C’è, è lui!!! Dio, Dio è apparso alla finestra. Come è pallido! Stanno zitti. Lei di qua dai vetri, lui di là, nella neve. Senza cappello! In Africa non c’è uno straccio di berretto per i poveri morti? Non parlano. Nei sogni non si parla. E’ vietato parlare con la bocca ma si può dire a gesti. Lo zio Ferro leva la mano e la posa contro il vetro gelato. La zia Giuseppina leva la mano e la posa sull’interno del vetro tiepido. La mani combaciano. Sì, sì come se si toccassero. La mano di lui nel gelo della notte, la mano di lei nel caldo della casa. Stanno così, in effimera eternità, dalla vita alla morte e dalla morte alla vita. Il beato san Cristoforo si liscia la barba e compiacendosi bisbiglia il santo Rosario: turris eburnea et domus aurea. Pissi, pissi fino all’alba quando il sogno si scioglie e la neve scricchiola sotto i passi dei primi che vanno al loro dovere: il medico, il maestro, il portalettere, il giovane che si è messo in cammino per la Francia dove scriverà un libro.