Dall'intimità familiare e tragicomica de"La prima cosa bella" restando in Italia si raggiunge una giovane abitante di un paese contadino deturpato dalla guerra con "L'uomo che verrà"
Mastrandrea e Pandolfi molto bravi, e perfettamente sovrapponibili con le loro controfigure infantili analogamente molto espressive, e una Sandrelli magica come mai l’ho vista: “La prima cosa bella” di Virzì parte già con le carte giuste per piacere, e piace. Carnoso e saporito e denso di sentimenti, negli “spifferi” tra le emozioni si respira aria di famiglia e si riconoscono gli strofinacci o le sedie che avevamo anche noi o la nonna qualche anni fa.
Un film che, a mio parere, a un italiano non può che piacere perché, seppur narrando una situazione particolare, è in primis un affresco del Belpaese anni ‘70 e ci si ritrova comodi, come sul vecchio divano, riconoscendo voci e nomi che, sia per chi era già nato sia per chi non c’era, suonano comunque familiari. Questa “orecchiabilità” diventa gradevolezza coinvolgente e, nel mio caso, apprezzamento per l’abilità con cui il regista narra una storia “particolare” intrecciando equilibri e disarmonie familiari.
La sceneggiatura, al contrario dell’atmosfera “made in italy” in cui è immersa, non parla solo italiano ma un linguaggio universale di cui fan parte la mimica dei protagonisti e l’armonia della pellicola capace di dipingere molto con poco: inquadrature significative senza lungaggini e patetismi.
La figura della madre riempie e avvolge l’intera platea ma è dichiaratamente istrionica, condizione chiara fin dall’inizio, anzi, dal trailer. Molto di più mi sono rimaste impresse le figure che le ruotano attorno: il figlio, co-protagonista quasi del film lunatico e prigioniero tra amore e odio, la figlia, così paurosa e diligente, così bella nel finale quando si permette di abbracciare chi vuole, come una bimba coraggiosa per disperazione.
Positiva e forse poco sviluppata, con mio rammarico, la figura della fidanzata di Mastrandrea, che compare poco ma contribuisce molto nel dirigere gli eventi, ne ho amato la naturalezza e l’apparente spensieratezza con cui partecipa agli eventi lasciando con disinvoltura la sua orma femminile ed equilibratrice.
Solo tanta tenerezza per lo sposo della madre, emblema di bontà e semplicità ma personaggio a cui manca una dimensione: è un 2D in mezzo a molti 3D, e ad una Sandrelli 4D o forse più.
L'uomo che verrà
Un film di Giorgio Diritti. Con Alba Rohrwacher, Maya Sansa, Claudio Casadio, Greta Zuccheri Montanari, Stefano Bicocchi.
Drammatico, durata 117 min. - Italia 2009.
C’è la storia dei sussidiari e dei saggi di biblioteca, quella è in maiuscolo grassetto, e quella inclinata minuscola, quella de “L’uomo che verrà”che vuole ri-raccontare l’eccidio di Monte Sole. La guerra e la sofferenza che azzannano, sanguinose, la calma e la purezza della vita contadina di un paesino dell’appennino bolognese. Tra i suoi abitanti, braccianti che parlano un bolognese antico, quasi estinto, e che hanno volti su cui si leggono le pieghe del tempo e della fatica c’è Martina. Martina Palmieri. Ed è attraverso il suo sguardo che abbiamo la possibilità di spiare la storia dal vivo lasciandoci coinvolgere “otticamente” ed emotivamente.
Immagino così di bussare alla porta di una delle tante casette ed entrare in punta di piedi, piccola e silenziosa quanto la bambina protagonista. E posso guardare la dura vita quotidiana di una famiglia contadina, dall' inverno 1943 all' autunno 1944, quando i nazisti presidiano la Linea Gotica, i partigiani si impegnano nell' infastidire e sabotare le azioni degli occupanti e i civili cercano di campare alla meno peggio.
Così cambia tutto, l’operazione di personificazione dello sguardo nella strage pone in primo piano l'idea che dietro ad ognuna di quelle morti ingiustificabili ci sia sempre un corpo e un punto di vista, e una vita semplice e innocente.
Rivedere alcuni fatti con una mente ben diversa da quella di chi ormai si è assuefatto alla guerra vedendone le terribili immagini a sfondo di ogni cena, proiettate dai tg come se fosse un meteo. Grazie a Diritti possiamo tornare a vedere la realtà con gli occhi di persone che non concepiscono la guerra semplicemente perché la guerra è qualcosa d’innaturale, di improprio per l'uomo.
Rigoroso, emozionante, onesto, appassionato, il film di Diritti coniuga lucidità morale e lettura storica con uno stile insolito, elegante ma senza dare l’impressione di voler ostentare classicità.
E l’uomo che verrà, sì, verrà, dal ventre di Lena (Maya Sansa), ambasciatore di vita in una realtà sanguinosa e sofferente: inumana.
Ma lui verrà.
POPCORN CURIOSITIES
Maya Sansa, interprete di Lena, la madre de L’uomo che verrà: “Per parlare il bolognese antico di quei luoghi, noi attori abbiamo ricevuto una preparazione molto accurata da parte di un fantastico insegnante, Giorgio Monetti. L'apporto fondamentale di Monetti è stato quello di aiutarci a restituire una lingua per noi in fondo straniera. E di conferire una musicalità, un timbro e una particolare emozione alle nostre parole”.
Nel film sono presenti dei riferimenti pittorici, Diritti ha svolto un lavoro sull'estetica a partire da una serie di scatti dell'epoca appartenenti all'archivio della Cineteca di Bologna e passando poi a studiare alcune foto a colori scattate dai soldati americani e varie rappresentazioni sia pittoriche che fotografiche della campagna italiana fra Ottocento e Novecento.
Alba Rohrwacher: ”La nostra preparazione da attori è stato un processo in cui, oltre all'apprendimento del dialetto e della melodia di quelle parole antiche, ha avuto un peso fondamentale il lavoro sul trucco, sui capelli, sui vestiti. Era l'unico modo per poterci inserire con armonia nello spirito del tempo e in questo gruppo di attori molto più vicini al territorio”.
Alcuni personaggi del film sono realmente esistiti: don Giovanni Fornasini, giovane parroco antifascista; don Ubaldo Marchioni, ucciso davanti all'altare della chiesa di Casaglia; la donna storpia uccisa in chiesa, perché non aveva potuto ubbidire ai soldati tedeschi che le avevano ordinato di uscire subito; il gruppo di 84 persone che fu realmente ucciso con le mitragliatrici nel cimitero di Casaglia; il gruppo di 70 persone che fu realmente ucciso all'interno di una chiesa con il lancio di bombe a mano.
Il film è stato girato a Radicondoli in provincia di Siena e in provincia di Bologna, con un budget di 3 milioni di euro, con il supporto di Rai Cinema e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Più precisamente in un agriturismo gestito da una donna molto legata alla sua terra, alla sua natura, molto energica, che ha permesso a troupe cast e abitanti di condividere uno spirito di comunità.
Al Festival di Roma ha vinto il Gran premio della Giuria e quello del Pubblico (con qualche scorno per chi non l' aveva selezionato a Venezia) e ha inaugurato la distribuzione della rinnovata Mikado, passata di mano (da DeAgostini a Tatò) nell' autunno scorso.
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Intervista a Diritti, il regista
Diritti presenta il film a Firenze
Intervista a protagonista Claudio Casadio