20160428 corruzione

“I politici rubano più di prima. Ma adesso non si vergognano” L'affermazione di Piercamillo Davigo e le reazioni dei partiti. Intanto la corruzione resta il problema dei problemi

“I politici rubano più di prima. Ma adesso non si vergognano”. L’affermazione è forte. Ma ci voleva. Definisce una sacrosanta verità, tutt’altro che estemporanea. Porta la firma di uno che se ne intende, Pier Camillo Davigo, ex pm di Mani Pulite, eletto nei giorni scorsi presidente della Associazione nazionale magistrati. Ed è scoppiato il finimondo. Eppure ci sono i fatti, ormai quotidiani, che testimoniano della fondatezza della affermazione. Quelli non si cancellano tanto facilmente.

Un tempo si riconosceva almeno la superiorità della virtù, adesso tale riconoscimento sembra passato di moda, si preferisce accennarne il meno possibile e, di contro, polemizzare pesantemente con i giudici, accusandoli di generalizzare e di tirarla lunga con i processi. Risultato: invece di porre il problema della corruzione in cima all’agenda del fare, si è scelto di mettere sotto accusa le guardie che sono alla caccia dei ladri. L’impressione è devastante. Oltre che assurda e illogica.

Non siamo più subalterni ai pm dice Matteo Renzi, e lo diceva anche Silvio Berlusconi, un ex Cavaliere tutt’altro che immacolato, del quale ormai non conviene più spendere nemmeno una parola. Sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Ma è veramente la subalternità il nodo da sciogliere?

Qualcuno ha scritto di “duelli verbali sterili e sfinenti”. Altri hanno sentenziato, peraltro giustamente, che “discutere è una virtù, litigare no”. Questioni di forma. Ma è la sostanza che conta.

C’è una verità che ancora molti riformatori stentano a riconoscere. E cioè che Mani Pulite ha avuto il grande merito di aver fatto una prima grande pulizia, di avere salvato il Paese da una deriva inimmaginabile, di avere ottenuto – come sostiene Giancarlo Caselli — un forte recupero di legalità. Questo è un merito storico che va riconosciuto, un punto fermo. Se alcuni Partiti sono scomparsi e altri ridimensionati, più che nei numeri negli ideali, la colpa se la devono cercare in casa fra i loro dirigenti e nelle loro politiche, usi e costumi compresi. I magistrati non hanno colpa alcuna. Anzi, vanno ringraziati.

Venticinque anni di barbarie giustizialista? Non scherziamo. Certamente anche la magistratura ha commesso degli errori, errori anche gravi, di corruzione o di troppa remissività (se non peggio) nei confronti del fenomeno mafioso. La stessa discesa in politica di un buon numero di suoi componenti non ha fornito un bello spettacolo. Ma la barbarie vera l’ha compiuta la politica nel suo complesso. Incapace, corriva, senza grandi ideali e senza un progetto di società futura.

Non è stato forse un giudice a portare in un Tribunale il chiacchieratissimo Roberto Formigoni, detto anche il Celeste, ovvero la meglio creatura di Comunione e Liberazione? C’è stato finalmente qualcuno che lo ha descritto come si deve: «il capo di un gruppo criminale»*. E lui, imitando il suo imitatore Maurizio Crozza, ha commentato. “Tutte bugie …. certo, quelle vacanze non le rifarei“. Meraviglioso.

Anche questa è barbarie?

Peschiamo dal mazzo, una notizia incoraggiante. Viene dalla scuola. Qualcuno un paio d’anni fa, nel quadro di un processo educativo e formativo, ha avuto l’idea della compilazione di un piccolo atlante della corruzione. Quest’anno sono stati coinvolti 2000 studenti delle scuole superiori di quattro regioni, Piemonte, Lazio, Sicilia e Veneto. Auguriamoci che l’iniziativa si diffonda.

Un noto editorialista in questi giorni ha scritto che la corruzione nasce da una illegalità diffusa propria del nostro Paese: è vero ma solo in parte, perche è anche vero il contrario. Gli episodi corruttivi che quotidianamente registriamo sia nelle parti alte che in quelle basse del nostro apparato democratico, accompagnati da un bla bla inconcludente, da una scarsa attenzione, dalla disinvoltura di chi governa e che prova fastidio per le critiche e che si rifugia spesso nel “ma io ho anche altro da pensare”, tale propensione alla illegalità l’ha irrobustita, potenziata e diffusa. E allora discutiamo pure delle origini ma prendiamo contemporaneamente delle misure di lungo respiro. I mascalzoni, che fanno schifo, vanno puniti ad ogni livello. Il buon esempio deve venire prima di tutto dall’alto e non viceversa. In ballo qui c’è una questione morale grande come una casa, nella quale albergano anche le mafie e l’evasione fiscale: bisogna metterci mano con mezzi straordinari.

Dicono: ma il governo contro la corruzione ha schierato un pezzo da novanta, Raffaele Cantone. È vero, ma non scordiamoci che è lo stesso Cantone che si lamenta di non disporre di mezzi sufficienti. E poi una riflessione: la repressione, pur sacrosanta, da sola non basta ad estirpare il cancro corruttivo, occorre dell’altro, nuove leggi, esempi soprattutto e una mobilitazione vasta di carattere culturale, una vera e propria campagna. E… fare pulizia in casa propria se si vuole poi imporre le pulizie in casa d’altri.

La corruzione non è un male qualsiasi, è il male. Che nuoce non solo alla morale ma anche, e soprattutto, alla nostra economia, alla nostra democrazia e allo stesso riformismo. Senza dimenticare che chi vuole il bene del Paese non sta solo a Palazzo Chigi, sta anche in magistratura e in tanti altri siti. Prendiamone atto. E “state sereni”.

 

* La definizione è della pm Laura Pedio, l’ha usata venerdì 15 aprile nel corso della sua requisitoria conclusasi con la richiesta di una condanna a 9 anni di carcere. Le ha riportate la Repubblica  a pag. 2 del suo inserto Milano sabato 16 aprile in un ampio articolo firmato da Emilio Randacio e titolato vistosamente “Il pm:  Formigoni capo di un gruppo criminale. La replica: È fiction”. Le parole usate esattamente da Randacio sono: la Pedio definisce Formigoni “il capo e il promotore di una associazione a delinquere formata da corrotti e corruttori…”. 

 

Davigo a Concorezzo