Secondo molti il successo della sinistra in Grecia non è replicabile in Italia. Non finché è “ostaggio” di partitini rissosi e vecchi, secondo Rodotà. E allora che fare? Ne parliamo con Alessandro Gerosa, ventiquattrenne consigliere comunale di Sel a Monza
Gerosa, davvero l’Italia non è un paese per Syriza come titola l’Espresso questa settimana?
Certamente qualsiasi operazione che tenti di copiare Syriza in Italia è fuorviante e priva di senso. Si può e si deve, piuttosto, apprendere da Syriza, da un'analisi delle sue peculiarità e delle sue contraddizioni. Ad esempio: in Italia molto del mito di Syriza si è fondato attorno ai fantomatici "ambulatori popolari di Syriza" o le "mense popolari di Syriza", e sull'analisi per differenza che la sinistra in Italia non verrebbe votata perché non capace di offrire questi servizi. Ora, innanzitutto la notizia è falsa, nel senso che non esistono ambulatori o mense di Syriza, esiste una rete autonoma ed indipendente gestita da professionisti volontari che viene finanziata con un fondo parlamentare di Syriza. Ma oltre a ciò, chiunque conosca anche solo superficialmente il mondo dell'associazionismo e del terzo settore italiano sa che vi è un patrimonio ed una rete imponente di realtà che già operano in questi campi, erogando servizi complessivi in quantità enormemente maggiore a quanto non accada in Grecia. Si deve invece apprendere dalla capacità di Syriza di fornire supporto economico e politico attivo a queste realtà, che rappresenta una decinazione giusta, concreta ed efficace di quello "stare nei conflitti" che la sinistra italiana ha tanto declamato per poi spesso applicare soltanto mettendo qualche bandierina a qualche corteo.
L'esperienza della lista dell'AltraEuropa con i suoi feroci litigi interni dimostra che non basta alzare il vessillo dell'unità per risolvere i problemi.
Come Rodotà, molti dicono che il problema principale della sinistra in Italia sono i partiti. Piccoli, rissosi, vecchi.
Da una parte il trittico di aggettivi da te indicato è una fotografia triste ma realistica della realtà. Dall'altra credo che sbagliamo il fuoco dell'obbiettivo quando incolpiamo di queste caratteristiche i partiti: i partiti sono fondamentalmente strutture, vuoi più organizzate vuoi più fluide (Sel nacque con l'intento esplicito di ibridare la forma-partito con quanto di meglio la democrazia partecipativa dei movimenti aveva creato, un tentativo purtroppo riuscito solo in piccola parte); a determinare le loro caratteristiche è chi i partiti li vive quotidianamente. Mi concedo una provocazione: se un quarto di coloro che danno questa sentenza decidessero di animare i partiti in prima persona, probabilmente si riuscirebbe a costruire luoghi molto più aperti e inclusivi, o forse si peggiorerebbe solo la situazione. L'esperienza della lista dell'AltraEuropa con i suoi feroci litigi interni dimostra che non basta alzare il vessillo dell'unità per risolvere i problemi. Anche qui avremmo da apprendere da Syriza che ha operato un processo non unitario ma generativo, escludendo le potenziali tare (vedi KKE) e riuscendo, in diversi anni, a generare non una sinistra unita, ma una sinistra nuova, al passo con la contemporaneità e le sue esigenze.
Altri dicono invece che il problema è l’assenza di figure come Tzipras o Iglesias di Podemos. Ma i nomi — i cosiddetti leader — non sono un surrogato delle idee?
Sulla necessità di una leadership forte quanto quella di Tsipras per Syriza o di Iglesias per Podemos il ragionamento è estremamente complesso. È indubbio che oggi la formazione del consenso politico operi perlopiù attraverso meccanismi meta-politici, di costruzione dell'immagine personale del leader oltre l'immagine politica (da cui le frequenti contraddizioni mediaticamente invisibili fra la narrazione politica costruita dalle leadership e le loro biografie di vita). Tsipras in questo non fa eccezione: la sera della sua vittoria, ad Atene, ho assistito perplesso ad una cerimonia del culto della personalità in cui nella piazza dell'Università diversi greci hanno atteso per tre ore, accompagnati soltanto da 4 canzoni in loop, l'arrivo di Tsipras su un palco altissimo, su cui vi era una postazione altrettanto altissima; un palco deserto prima dell'arrivo di Tsipras e altrettanto deserto una volta che il leader, terminato il comizio in solitudine sul palco, è repentinamente scomparso. Nella stessa Italia l'unico periodo in cui la Sinistra ha sfidato seriamente la leadership del centro-sinistra lo ha fatto esclusivamente grazie al carisma della figura e della narrazione vendoliana, e la sua crisi è seguita all'incrinatura della sua figura e narrazione. Il problema, in ciò, è che mi sembra che un approccio simile alla costruzione del consenso sia molto pericoloso e portato alla degenerazione, e favorisca almeno su determinati temi narrazioni "di destra", semplificatorie, piuttosto che narrazioni che rappresentino la complessità della società globalizzata. Ma, attualmente, questo modello pare ineludibile.
La “notizia” data da Lercio.it
Il sindaco Scanagatti nell’intervista rilasciataci prima di Natale diceva che i partiti non sono più i luoghi dove si fa politica. E quali sono allora?
Da studioso di relazioni internazionali direi che la crisi dei partiti è la materializzazione più evidente della crisi (apparentemente irrecuperabile) dello stato-nazione. Le multinazionali creano una comprensibile schizofrenia cognitiva. Sorta di leviatani economici transnazionali, generate durante l'egemonia globale statunitense come la forma-impresa principe (è bene ricordarlo sempre, giacché sembra a volte siano nate dal nulla) sono oggi potenze autonome capaci di sfidare gli stati più potenti, ma sempre più anche attori politici transnazionali.
L'iniziativa di Landini di rilanciare un coordinamento della "sinistra sociale" che produca un programma sociale alternativo a quello Renziano interpreti molto lucidamente quello che possono e devono fare le realtà come la FIOM
I partiti sono in crisi perché gli viene sempre più richiesto dai cittadini di prendere decisioni forti e celeri su ambiti che sempre più sfuggono dalla loro effettiva sovranità. Questa incapacità di rispondere alle esigenze dei cittadini, dovuta alla necessità di inseguire in qualche modo la sovranità fattasi liquida e sfuggente, ora negli organismi dell'UE ora nei potentati economici, provoca anche una schizofrenia nella ricerca di chi debba occuparsi di un determinato tema, che ha portato di recente ad un'aumento esponenziale delle aspettative gravanti ad esempio sui sindaci, le figure più vicine quindi più immediatamente tangibili del potere politico. C'è poi una seconda dimensione di crisi dei partiti che è quella della forma-partito. La mediatizzazione e la costruzione del consenso politico attorno al carisma personale del leader, che ho descritto sopra, rende improvvisamente l'imponente struttura partitica classica della prima Repubblica, patrimonio del PCI come della DC, un residuo obsoleto ed ingombrante. Matteo Renzi con la sua leadership ha realizzato ciò anche nell'ultimo grande partito organizzato, il PD: Non ha, beninteso, sfasciato il partito-struttura, lo ha semplicemente reso inutile, superfluo: i 40% delle Europee non è stato il successo del Pd, ma è stato il successo personale di Renzi. Come rispondere, sopratutto a sinistra? Credo che a risposta, se ve ne è una, è nella capacità di contaminare e farsi contaminare in rete con la miriade di realtà, formali ed informali, associazioni e comitati, che operano nei territori. Senza mai cercare di "cappellare" ma mettendosi a disposizione, e chiedendo altrettanto. Le esperienze di maggior successo politico e amministrativo che Sel ha avuto sono avvenute quando si è dimostrato capace di fare queste operazioni, come Pisapia a Milano, o i rapporti con i movimenti sociali e per il diritto all'abitare a Roma, come tante altre piccole e grandi esperienze in Italia.
Rodotà la chiama “coalizione sociale”. Ma come si supera la polverizzazione? questa più che una società liquida è gassosa, ognuno pensa a sè.
Io differisco dall'analisi di Rodotà perché riconosco ancora un ruolo importante alle formazioni politiche di sinistra esistenti, in particolare Sel, che in tutte le sue contraddizioni ed errori (non inizio ad elencarli altrimenti farei mattina) oltre ad essere il più consistente in termini di patrimonio di militanti e amministratori locali e nazionali, è sopratutto quello che ha avuto la capacità di mantenere il maggior patrimonio di relazioni con tutto quel tessuto di movimento ed associativo di sinistra in Italia. Human Factor, mentre i media nazionali rimanevano puntati con gli obbiettivi su Vendola e Civati, è stato per me sopratutto questo, la messa a sistema di tutto il patrimonio di relazioni che a livello locale e nazionale Sel ha sviluppato in questi anni, che è notevole. Credo davvero che Sel debba mettere se stessa e questo patrimonio a disposizione di un processo generativo assieme a tutti gli altri attori sociali forti che esistono. Non si può pensare d'altra parte che FIOM, Emergency, Libera e chi altro si mettano a fare il partito. Mi pare che l'iniziativa di Landini, che ha sempre rifiutato ruoli di leadership politica, di rilanciare un coordinamento della "sinistra sociale" che produca un programma sociale alternativo a quello Renziano interpreti molto lucidamente quello che possono e devono fare le realtà come la FIOM. Sul come fare, oggi quesito molto più problematico del che fare, credo si debba partire da pochi, pochissimi punti concreti, immediatamente tangibili e impattanti sulle situazioni di crisi e marginalità degli italiani, tralasciando coscientemente tutto il restante spettro ottico di sfumature e diversità politiche riguardanti lo scibile umano. Mi sembra molto più facile di quanto non appaia.
Su quali temi si può creare “unione”?
Se dovessi dire pochi temi fondamentali: rottura austerità, diritto all'abitare, un nuovo welfare contro la precarietà, diritti civili per una piena uguaglianza e riconversione ecologica della produzione e del paesaggio che è egualmente fondamentale.
Chi è Alessandro “Gerry” Gerosa
Così si presenta Gerosa sul suo sito personale:
Ho 22 anni, sono Consigliere Comunale a Monza per Sel e mi sono laureato con 110 e lode in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee alla Facoltà di Scienze Politiche della Statale, con una tesi sul ruolo dell’Unione Europea nella questione curda in Turchia. Mi sono diplomato al Liceo Zucchi.
Fino alla mia elezione nel Giugno 2012 sono stato Portavoce di Sel a Monza. Prima e dopo la mia elezione ho fatto il militonto in vari movimenti.