Torinese di nascita, laureato in fisica a Milano,  professore ordinario di matematica a Londra:  Franco Vivaldi, da trent'anni all'estero. Con qualche sorpresa.

Cominciamo dall’inizio, con la più classica delle domande. Perché te ne sei andato all’estero?
Sono emigrato negli Stati Uniti nel 1977, dopo essermi laureato in Fisica all' Università di Milano. Volevo fare ricerca scientifica, e quello era l'unico modo. Sono partito con un contratto di 9 mesi come ricercatore al Dipartimento di Fisica del Georgia Tech, ad Atlanta, grazie a un contatto professionale del mio relatore di tesi. Il contratto fu subito esteso a due anni, poi ad altri cinque. Nel 1984 ho ottenuto un posto permanente di docente in Matematica all'Università di Londra, al Queen Mary. Li ho fatto la carriera accademica e ora  sono Professore Ordinario.

Quali differenze hai trovato tra l’Italia e gli altri paesi dove hai vissuto?
Troppe per poterle descrivere in dettaglio. Rispetto all'Italia, gli Stati
Uniti sono un paese senza storia; ci ho messo un po' a capirne le profonde implicazioni. Da un lato la società americana e' estremamente dinamica,dall'altro a loro manca una certa saggezza esistenziale. Per esempio, il paesaggio urbano americano e' quasi sempre confuso e incoerente. Con uno stipendio adeguato la vita e' facile, ed e' facile assuefarsi allo stile di vita americano, anche per chi non ne condivida i principi. Dopo sette anni però ho sentito il bisogno di tornare in Europa.

Nonostante grandi passi avanti negli ultimi decenni, la società inglese rimane divisa in classi. Questa chiave di lettura e' essenziale per capire l'Inghilterra. Tante caratteristiche della cultura e del comportamento della gente non sono nazionali, ma piuttosto dipendono dalla classe sociale di appartenenza. Le differenziazioni regionali sono invece molto meno pronunciate che da noi.

C'e' un grande senso civico, e rispetto e orgoglio per le istituzioni. Per un italiano, un aspetto ammirevole della amministrazione inglese, e' l'eccellente pianificazione del territorio. Nonostante enormi pressioni economiche, la campagna inglese rimane immacolata, grazie a secoli di saggia legislazione e sensibilità collettiva. La confusione spesso presente nella campagna italiana (la coesistenza di campi, case, fabbriche, strade, capannoni) mi addolora.


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Come vedi il nostro paese da lì,  e come lo vedono invece gli inglesi?
Molti stranieri amano l'Italia e gli italiani, anche se certi stereotipi sono assai radicati (gli italiani vestono bene, ma guidano male; mangiano bene, ma sono disonesti, ecc). La politica italiana e i suoi personaggi sono poco visibili dall'estero, a parte la consapevolezza che i governi durano poco. Purtroppo, l'unico politico italiano noto all'estero e' Berlusconi, che da qualche anno e' descritto dai media come una sorta di “buffone corrotto”; per un italiano all’estero, questa situazione e' alquanto imbarazzante.
Nonostante i suoi malesseri, l'Italia rimane per me un paese straordinario. Naturalmente, dopo tanti anni all'estero, la mia prospettiva e' cambiata. Faccio alcuni esempi. Non sono più abituato alla stampa italiana, dove trovo che fatti e opinioni sono troppo spesso mescolati. La lingua italiana mi appare incomprensibilmente prostituita all'inglese. Senza necessità alcuna si usano parole inglesi (perché "gossip" invece di "pettegolezzo"?), con una sorta di provinciale complesso di inferiorità che francesi e spagnoli sicuramente non hanno.
Non apprezzo poi la pubblicità sulla RAI: la BBC non ne ha. Un piccolo aneddoto: per i civili automobilisti inglesi, i fari abbaglianti indicano un cortese "dopo di lei", non un aggressivo "fammi passare".

Tu conosci bene entrambi i sistemi. Quali sono  le differenze principali tra l’università italiana e quella inglese?
C'e' un abisso. L'Università inglese, come quella americana, e' dinamica, aperta agli stranieri, e da grande spazio e opportunità ai giovani. Chi vale fa carriera, non servono raccomandazioni o manovre politiche. In un recente incontro organizzato dall'Ambasciata Italiana a Londra, è apparso chiaro che gli italiani che lavorano nelle Università inglesi (circa un migliaio), tipicamente, troverebbero difficile riadattarsi al nostro sistema, che appare soffocato da nepotismo, faziosità e sclerosi.

L'Università inglese ha una grande tradizione di premura educativa. Gli ultimi 20 anni hanno visto una faticosa (e tardiva) transizione da un sistema elitario a uno di massa, dove l'università ha dimostrato una grande capacità di cambiamento, addossandosi responsabilità nuove.
Questo processo però ha anche esposto contraddizioni e creato problemi,
con abbassamento di standard accademici, e crescita smisurata della burocrazia. Inoltre questa rapida evoluzione sta portando inesorabilmente l'università inglese verso il modello americano, ignorando la vasta e significativa tradizione universitaria europea, verso la quale gli inglesi
dimostrano scarso interesse. Uno studente inglese oggi paga 3.000 sterline di tasse universitarie all'anno (questa cifra e' destinata ad aumentare), alle quali si aggiungono 3.000 sterline fornite dal governo; uno studente extracomunitario paga almeno 10.000 sterline. La conseguente prosperità economica è accompagnata da prevedibili problemi: gli studenti sono diventati clienti (se li bocci, perdi i soldi), lavorano sempre di meno, la laurea la prendono quasi tutti, e con voti sempre più alti.
In generale, gli studenti inglesi sono poco preparati (eccetto quelli educati nelle carissime scuole private); i programmi di scambio internazionali (Erasmus, Socrates) hanno esposto la loro inferiore
preparazione rispetto agli studenti del resto d'Europa, italiani compresi.
Quindi, università a parte, direi che per quanto riguarda l'educazione, gli italiani non dovrebbero avere alcun complesso di inferiorità nei confronti degli inglesi. La scuola italiana mi sembra ancora molto valida, specialmente i licei. Il livello di ansia che i genitori inglesi raggiungono quando i figli arrivano alla scuola secondaria è sconosciuto ai genitori italiani. Naturalmente, non mancano aspetti educativi dove gli inglesi ci superano, l'educazione musicale, per esempio. Inoltre, quasi misteriosamente, l'università italiana continua a produrre ricercatori di grande valore. Forse questo e' dovuto a una specie di "selezione naturale", che avviene quando gli studenti sono abbandonati a se stessi.

In conclusione, qual è il rapporto di Londra, la città in cui vivi, con gli stranieri?
Londra e' probabilmente la città più cosmopolita del mondo. Dopo tanti anni vissuti qui, il miscuglio etnico e' diventato parte del paesaggio, e non lo noto più. Noto piuttosto la sua mancanza, quando viaggio.

Gli autori di Vorrei
Giorgio Majoli
Giorgio Majoli

Nato nel 1951 a Brescia, vive a Monza dal 1964. Dal 1980 al 2007, ha lavorato nel Settore pianificazione territoriale del Comune di Monza, del quale è stato anche dirigente. Socio di Legambiente Monza dal 1984, nel direttivo regionale nei primi anni ’90 e dal 2007, per due mandati (8 anni). Nell’esecutivo del Centro Culturale Ricerca (CCR) di Monza dal 1981. Ora pensionato, collabora come volontario, con associazioni e comitati di cittadini di Monza e della Brianza, per cercare di migliore l’ambiente in cui viviamo.Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.