«Il nostro garbato capo del governo si fa forte del 40% di consensi ottenuti alle europee. Che è però solo il 40% del 60% che ha votato. Ovvero: su 10 elettori hanno votato in 6, tra cui 2 e mezzo hanno dato al Pd il loro consenso. Non è poco per rivendicare un grande consenso popolare?»
Nel suo ultimo editoriale Eugenio Scalfari ha sollevato un tema d’importanza cruciale: il declino della democrazia partecipata. Ravvisandone la ragione nell’indifferenza dei cittadini. Che la democrazia sia in difficoltà è fuor di dubbio. Ma forse l’indifferenza non è causa, bensì effetto delle trasformazioni cui la democrazia è sottoposta e che hanno derubricato da democrazia partecipante a democrazia respingente. L’Italia non è un caso unico. Le democrazia respingenti ci sono ovunque e in Italia la si è cominciata a fabbricare da un quarto di secolo fa.
Renzi sta solo mettendo il tetto all’edificio di una democrazia che odia i cittadini. L’odio per i cittadini si manifesta anzitutto sul terreno delle politiche. L’austerità è cominciata tre anni fa. Ma le decurtazioni allo Stato sociale sono in atto da tempo, come da parecchio si è aggravata a dismisura la pressione fiscale sui redditi medi e bassi. E sono enormemente peggiorate le condizioni dell’occupazione. Non solo di lavoro ce n’è meno, ma la sua qualità sta declinando da un pezzo, nel pubblico e nel privato. In compenso chi comanda non pensa a dismettere lussi inutili e dannosi, come la Tav e gli F35, né tantomeno si mostra disposto a ridurre gli indecenti privilegi di cui godono i politici e butta solo fumo negli occhi.
La seconda manifestazione di odio per i cittadini sta nel respingerli come tali. Votare non è un gesto naturale. Per molti, specie i giovani, è un atto che va incoraggiato. Sia tramite le performances della politica, che al momento non aprono neanche più alla speranza, sia sottolineandone l’importanza. Sia mediante un’azione costante di coltivazione del civismo un tempo svolta dalla scuola e dai partiti.
L’istruzione ha pure la funzione di socializzare i giovani alla vita collettiva e alla partecipazione politica. Ben conosciamo le condizioni lamentevoli in cui la scuola è ridotta e lo spregio con cui sono trattati gli insegnanti. Quanto ai partiti, il loro soffocamento è stato deliberato. In nome di una democrazia che decide, li si è disattivati, promettendo che a coltivare il civismo avrebbe provveduto la società civile. Solo che la società civile, peraltro ambigua, non compensa l’attività di educazione e incitamento che i partiti di massa svolgevano su vasta scala. Sono rimasti i partiti impropriamente detti personali, che sono circoscritte cosche affaristiche, riservate ai superprofessionisti della politica, che non sanno nemmeno com’è fatto il mondo e che nutrono unicamente ambizioni di potere.
I cittadini non sono sciocchi e osservano tutto questo. Possono magari illudersi, non tutti, ma per un attimo e in realtà sono indignati e arrabbiati. Di quali mezzi tuttavia dispongono per manifestare la loro sofferenza?
Ci hanno perfino provato. Per citare l’esperimento più recente: una quota non irrilevante di elettori ha provato a ribellarsi votando per Beppe Grillo. Ma per scoprire ben presto che il suo incontenibile narcisismo mediatico è solo servito a sterilizzare la loro indignazione, spianando la strada alle brutalità del renzismo. Quando non c’è narcisismo, com’è successo in Grecia, pare stia andando anche peggio. Un popolo intero sta sanguinosamente pagando le dissipazioni di una ristretta casta di politicanti e di potenti. Ma tutta l’Europa congiura affinché la sua ribellione elettorale, che ha cacciato i responsabili, non produca alcun aggiustamento. Dietro la grande narrazione – letteraria, cinematografica, mediatica, giornalistica e spesso anche accademica – del disincanto e dell’indifferenza, cova insomma una ribellione silenziosa, che rischia di avere esiti disastrosi.
Un po’ più di attenzione andrebbe prestata ai dati sull’astensione. Il nostro garbato capo del governo si fa forte del 40% di consensi ottenuti alle europee. Che è però solo il 40% del 60% che ha votato. Ovvero: su 10 elettori hanno votato in 6, tra cui 2 e mezzo hanno dato al Pd il loro consenso. Non è poco per rivendicare un grande consenso popolare? E non c’è per caso il rischio che se un paio di elettori arrabbiati smettesse di astenersi e cedesse alle lusinghe di uno dei tanti leader populisti che ci sono in giro ne scaturisca un esito elettorale che chiuda persino la deprimente bottega della democrazia respingente?
Nella foto un'opera di Luciano Fabro
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