Il 2011 è l'anno europeo del volontariato. L'Italia è tra i paesi UE meno virtuosi, nonostante il gran numero di associazioni presenti.
Il 2011 è stato dichiarato dalla Commissione Europea l’anno del volontariato. Riportiamo nel seguito dell’articolo una interessante intervista sull’argomento e, in fondo, il Manifesto del volontariato per l’Europa, con le relative adesioni, tra le quali, l’ARCI, l’AUSER e LEGAMBIENTE.
Da “Il Volontariato in Europa: la ricerca come strumento per scegliere” promossa dal Centro nazionale per il volontariato di Lucca e da Csvnet, in collaborazione con la regione Toscana, Cesvot e Fondazione Volontariato e Partecipazione, emerge un’Italia in cui il volontariato è ancora una pratica poco diffusa, soprattutto se si confrontano i dati italiani con quelli relativi ad altri contesti europei. Approfondiamo l'argomento con Rossana Caselli, responsabile della Formazione e dei Rapporti con l’Europa del Centro Nazionale per il Volontariato di Lucca.
I volontari in Italia sono 826 mila, circa l’1,37% degli abitanti, mentre si contano 21 mila associazioni di volontariato impegnate per lo più nel settore socio-assistenziale, ma anche in ambiti come la protezione civile e la tutela dell’ambiente. Rispetto alla capofila Svezia, che vede la metà dei propri cittadini impegnata in attività di volontariato e ad una media europea che conta un 30% di volontari sulla totalità della popolazione, l’Italia si dimostra una delle realtà meno virtuose, anche se figura tra i Paesi che possono contare su una legge apposita per il volontariato e su risorse ad essa correlate. Tra gli 826 mila volontari italiani il 54% è composto da uomini, il 46% da donne, per lo più di età tra i 30 e i 54 anni. Per comprendere più a fondo il significato di questi dati abbiamo intervistato Rossana Caselli, responsabile della Formazione e dei Rapporti con l’Europa del Centro Nazionale per il Volontariato di Lucca, che ha seguito passo a passo la ricerca e organizzato il Convegno del 12 e 13 novembre durante il quale si sono riuniti rappresentanti del non profit di tutto il mondo.
Sono 826 mila i volontari in Italia: quali sono i criteri di definizione della figura del volontario a cui avete fatto riferimento nella vostra ricerca?
La definizione di “Volontario” a cui facciamo riferimento prevede sei requisiti fondamentali. Per rientrarvi è necessario che:
- la persona presti la propria opera in virtù di una libera scelta,
- l’attività non abbia scopi lucrativi né preveda una retribuzione, in altre parole sia svolta a titolo gratuito,
- il volontario presti la propria opera all’interno di un ambiente organizzato, sia esso autodeterminato o nato presso le istituzioni,
- l’attività porti giovamento alla comunità tutta, non solo alla rete parentale e amicale di chi presta servizio,
- l’impegno portato avanti dal volontario contribuisca a rafforzare i valori etici e sociali su cui si basa il benessere della collettività,
- l’ambiente presso cui si presta il servizio sia un ambiente democratico, aperto e che non precluda la partecipazione ad alcuno.
Come si spiega la minor diffusione della pratica del volontariato nel nostro paese?
E’ indubbio che il volontariato italiano rappresenti un potenziale umano ancora da sviluppare appieno, e che questo sviluppo sia strettamente vincolato alla presenza di una rete di istituzioni e di uno Stato che come primo attore di welfare coordini e sostenga l’opera di tutte quelle persone che contribuiscono al benessere della comunità. La presenza della Legge 266 ha garantito finora una buona disponibilità di risorse, ma occorre tenere presente che il mondo del volontariato ha bisogno che i finanziamenti siano garantiti, erogati con una certa continuità e ben distribuiti, pena il fallimento di certi progetti e la compromissione dei risultati dell’impegno di molti. Purtroppo non sempre abbiamo potuto contare su azioni di sostegno così condotte, e a causa della crisi economica la situazione è destinata a peggiorare. D’altra parte spesso si riscontra un clima fin troppo competitivo che induce le associazioni a contendersi i finanziamenti e le risorse, piuttosto che impegnarsi a fondo in logiche di rete che possano garantire azioni più coordinate e un uso più fruttuoso dei fondi disponibili. Se poi accostiamo i dati italiani a quelli provenienti dagli altri paesi ci accorgiamo che realtà emergenti come ad esempio i Balcani e l’Est Europeo dimostrano una vitalità e uno slancio che derivano certamente da un bisogno di cambiamento sociale e da una fiducia nel futuro che in Italia abbiamo da qualche tempo lasciato da parte.
Alla luce degli studi e delle ricerche condotte dal Centro Nazionale, quali sono le aree di perfettibilità del nostro sistema e qual è la prospettiva che si dovrebbe adottare nell’azione di promozione della pratica del volontariato?
Come accennavo prima, il volontariato per vivere e crescere ha bisogno di una società che ne permetta lo sviluppo e ne riconosca il valore. Se pensiamo che i permessi previsti dalla legge 626 per i lavoratori impegnati in attività di volontariato spesso non sono concessi, abbiamo già un’idea di quale distanza resti ad oggi tra imprese e mondo del lavoro da un lato e non profit dall’altro. E al di là delle azioni di sostegno verso i singoli volontari, le imprese italiane potrebbero fare ben di più per sostenere azioni che promuovano volontariato e Terzo Settore da un lato e arricchiscano di esperienza e di umanità il mondo imprenditoriale.
D’altro canto è necessario che lo stesso Terzo Settore si dimostri capace di individuare e valorizzare i potenziali ancora nascosti che risiedono in categorie sociali nelle quali è ben più facile intravedere i destinatari piuttosto che gli attori delle azioni. Alla base del Convegno che abbiamo organizzato qui a Lucca c’era l’idea che il volontariato può essere veicolo per una migliore inclusione sociale, come di fatto testimoniano progetti e iniziative che coinvolgono ad esempio la popolazione carceraria in attività di volontariato. Se quelle frange di popolazione che vivono quotidianamente il problema dell’esclusione sociale possono sentirsi protagoniste della vita collettiva, allora si può da un lato costruire una società più ricca e inclusiva e dall’altro aumentare le risorse disponibili per il non profit. In altri termini se vogliamo dar vita ad una società più solidale dobbiamo fare in modo che il volontariato non sia un bene di lusso ma al contrario venga ad essere un’opportunità accessibile a tutti, anche a chi non dispone di infinite risorse in termini di tempo o di denaro: per esempio è giusto che si dispongano rimborsi spesa – quando possibile - per chi offre i propri servizi e che si attivi ogni strategia per sostenere la diffusione dell’azione volontaria. Per quanto riguarda in particolare le strutture messe a disposizione delle associazioni, prime tra tutte i Centri di Servizio, il panorama italiano è molto variegato e comprende modalità di azione differenti. E’ indubbio però, al di là dell’assenza di dati specifici, che i contesti in cui le strutture di servizio funzionano e sono adeguatamente sostenute nel loro fare, il volontariato ha un respiro maggiore e un raggio di azione ben più ampio. Se si riconosce insomma che ricchezza economica e benessere sociale sono aspetti inestricabili dello sviluppo di una comunità, dobbiamo considerare Stato, mercato e Terzo Settore come tre realtà che non devono solo convivere o completarsi, ma interagire e rafforzarsi a vicenda, per meglio tutelare i diritti delle persone e rendere la società più accogliente.
Una piccola annotazione di genere: dalla vostra ricerca emerge che nonostante non si tratti di un divario enorme, il 54% dei volontari sono uomini, mentre solo il 45% sono donne. Questo dato nasconde forse delle politiche di genere carenti?
Sicuramente sì. In Italia le politiche di genere sono molto arretrate rispetto ad altri contesti europei, e le donne continuano a barcamenarsi più che altrove tra la propria professione e il carico di lavoro non riconosciuto che la gestione della famiglia comporta. Questo implica necessariamente che nella maggior parte dei casi le donne abbiano la possibilità di dedicarsi al volontariato per lo più in età giovane e poi in età matura, quando i figli sono già cresciuti. Oltre a questo, dobbiamo considerare che uomini e donne esprimono un tipo di volontariato diverso: i primi si dedicano in particolare agli interventi cosiddetti di “emergenza”, mentre le donne si spendono di solito in tutti quei lavori di cura molto delicati, in contesti di estrema povertà e di forte disagio sociale, più complessi ma meno visibili. Infine non si può dimenticare che anche nel Terzo Settore sono gli uomini a occupare i posti di potere, mentre le donne si impegnano spesso sul campo ma senza ricoprire ruoli di una certa visibilità. (Nadia Luppi)
Manifesto del volontariato per l’ Europa