Un segnale può significare poco. Ma una convergenza di più segnali può significare che è in corso un cambio epocale
Giusto un anno fa ho commentato il fatto che la Business Roundtable, una associazione di miliardari internazionali, aveva lanciato uno “Statement” nel quale si afferma che le grandi imprese debbono avere come obiettivo non soltanto gli interessi degli azionisti (shareholder), ma quelli di tutti coloro che sono coinvolti nelle attività dell’azienda (gli stakeholder) (“Shareholder e stakeholder: ancora una questione di uguaglianza”, vorrei.org 08/09/20).
Nel marzo scorso ho dato rilievo a un libro di due giovani economisti francesi che insegnano a Berkeley in California, Emmanuel Saez e Daniel Zucman. Essi auspicano, insieme a diversi altri economisti ”di sinistra” regolarmente inascoltati, tra cui il premio Nobel Joseph Stiglitz e Thomas Piketty, il ritorno a una forte progressività nelle imposte, la fine delle agevolazioni ai redditi finanziari, spesso mascherati da redditi d’impresa, e la tassazione di successioni, donazioni e patrimoni, limitatamente a una ristretta cerchia di super-ricchi, escludendo quindi la grande maggioranza della popolazione (“Il trionfo dell’ingiustizia”, vorrei.org 05/03/20).
In luglio ho illustrato l’impegno di due economiste, Kate Raworth ed Ester Duflo (quest’ultima insignita del premio Nobel), a riportare l’economia alle sue origini, finalizzate al benessere delle persone e della società e non al perseguimento di una indefinita crescita quantitativa (“L’economia del XXI secolo è donna?”, vorrei.org 17/0//20).
Frattanto l’autorevole British Academy ha avviato nel 2018 un Programma per il futuro delle imprese (The Future of Corporation Programme), connesso con il programma ONU “Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (UN Sustainable Development Goal), e per tradurlo in atti concreti ha enunciato recentemente dei “Principi per un business finalizzato (Principles for Purposeful Business), intendendo per “purposeful” un orientamento delle imprese a perseguire, prima ancora del profitto, il benessere sociale con la riduzione delle disuguaglianze e il miglioramento dell’ambiente. L’Economist ha dato rilievo alle osservazioni di Luigi Zingales, economista italiano che insegna all’Università di Chicago, sulla difficoltà di “reinventare il capitalismo”. Ma già il fatto che questo giornale, insieme al Financial Times, dia rilievo alle proposte della British Academy, dimostra che l’argomento è considerato di concreta attualità.
by PaulSteinJC at Fliker
Chiediamo ai nostri governi di tassare persone come noi. Immediatamente, Sostanzialmente. Permanentemente… Per piacere, tassateci, tassateci, tassateci. E’ la scelta giusta. E’ la sola scelta
Ma l’exploit più sorprendente è costituito dalla recente iniziativa di un sodalizio di associazioni internazionali denominato “Millionnaires for Humanity Project”. I promotori hanno invitato i proprietari di ingenti ricchezze a firmare una lettera ai governi che suona così: «Chiediamo ai nostri governi di tassare persone come noi. Immediatamente, Sostanzialmente. Permanentemente… Per piacere, tassateci, tassateci, tassateci. E’ la scelta giusta. E’ la sola scelta». L’appello è stato sottoscritto, sinora, da oltre 80 personaggi.
Questi segnali possono significare che è in atto un cambiamento rispetto al quarantennio di liberismo sfrenato che il mondo ha vissuto, che se ha visto uscire dalla povertà popoli interi ha creato nuove disuguaglianze, nuove esclusioni, e soprattutto un degrado ambientale sempre meno sostenibile. Un cambiamento che forse troverà terreno fertile nello spirito di resilienza che animerà il pianeta sopo la “decrescita infelice” causata dal Coronavirus.
Ma come mai tutti questi segnali non vengono percepiti e recepiti dalla maggioranza dell’opinione pubblica, e prima ancora dalle forze politiche di sinistra?
Nel 2011 negli USA e in altri paesi milioni di persone, di diversi ceti e categorie, diedero vita a dimostrazioni contro le speculazioni finanziarie che devastano l’economia globale, brandendo lo slogan “Occupy Wall Street!”. Noam Chomsky traduceva il concetto in un libro intitolato “Siamo il 99%”. Da un rapporto della CIA, citato da Wikipedia, risulta che «il movimento è stato spiato, inquinato da infiltrati e delegittimato con un'intensa campagna di disinformazione». Oggi questo movimento sembra entrato in un percorso sotterraneo, come un fiume carsico, riemergendo solo in parte e in altre forme, come nei “Fridays for Future” innescati da Greta Thunberg e nel movimento delle Sardine in Italia (che ingenuamente si è fatto attualmente immischiare nella banale diatriba del referendum sul numero dei componenti del nostro Parlamento).
Questi fatti insegnano: 1. Che una politica finalizzata a contrastare le disuguaglianze crescenti potrebbe ottenere il consenso della grande maggioranza dei cittadini; 2. Che una politica di questo tipo incontra la durissima opposizione di quella parte dei potenti che prospera nella giungla finanziaria, nella conflittualità sociale o addirittura negli eventi bellici; 3. Ma che esiste un’altra parte consistente di coloro che, per fortuna o per merito, detengono ingenti ricchezze, che aderirebbe a quella politica, motivata non solo da spirito solidaristico, ma anche dall’interesse alla convivenza pacifica nel lungo termine, favorita da una società pacifica e meno ingiusta.
Anche in Italia ci sono persone di questo tipo che si sono espresse a favore di una politica finalizzata a ridurre le disuguaglianze, come ad esempio Carlo De Bendetti e Diego della Valle, anche attraverso la tassazione dei grandi patrimoni. Non dubito che possa esserci una schiera di imprenditori illuminati che sarebbero d’accordo (penso a Illy, Ferrero, Del Vecchio e tanti altri), che costituiscono il nerbo dell’economia italiana con le “multinazionali tascabili” e i distretti produttivi del nostro Paese. (Non si tratta certo della Confindustria, che con il neo Presidente Carlo Bonomi sembra non accorgersi che qualcosa sta cambiando).
Queste forze potrebbero costituire la cavalleria corazzata a supporto di un grande esercito vincente.
Ma ripeto la domanda: perché i partiti che si richiamano al riformismo sembrano tergiversare sui nuovi, grandi obiettivi? Credo che ciò sia dovuto al timore di sfidare un’opinione pubblica manipolata, e alla incapacità di contrastare la disinformazione imperante con una leadership e una potenza di fuoco all’altezza degli avversari. Ma anche per il persistere a sinistra di piccole, ma resistenti e influenti forze che si ispirano ad obsolete ideologie classiste, che vedrebbero ridurre il loro ruolo con la diminuzione delle disuguaglianze, e che alla fine prosperano a loro volta sulla conflittualità.