La nuova rivista ispirata all’omonimo magazine statunitense, si propone come luogo di controinformazione e di dibattito dove ricostruire le forze disperse della sinistra.
Lo scorso novembre è
stata presentata a Milano, al Teatro Elfo Puccini, Jacobin, la “sorella” italiana della rivista in cui negli USA si ritrovano e si esprimono i sostenitori della rivoluzione progressista guidata da Bernie Sanders: un movimento che qui su Vorrei seguiamo da tempo attraverso gli articoli di Elisabetta Raimondi, e che rappresenta, con la sua continua ascesa, una speranza per le disperse forze della sinistra nel mondo, e specialmente per chi in Italia soffre la frantumazione delle formazioni politiche che intendono opporsi sia al neoliberismo adottato anche dagli eredi della nostra sinistra storica, sia al sovranismo e al populismo dilaganti come falsa alternativa all’oppressione economica e sociale prodotta da quello.
Francesca Coin
Intrappolata, la sinistra, tra quelle che, in occasione di questa presentazione, venivano definite come “due opposte mistiche” da Francesca Coin, redattrice della rivista e docente presso l’Università di Venezia: soluzioni fideistiche, basate su letture semplificate della realtà, ispirate l’una ad un ottimismo sempre più smentito dai fatti, sordo alla loro sempre più evidente drammaticità, l’altra che sottovalutava il risentimento spingendolo verso posizioni regressive. Mentre in nome di una affermata certezza della ripresa si accettava la precarizzazione del lavoro e la restrizione, lo smantellamento dello stato sociale, si lasciava nella solitudine e nella sofferenza gran parte delle vittime della crisi, creando le condizioni per la sconfitta di ogni visione solidaristica e per il trionfo (“apparente, temporaneo”, lo definisce la Coin) delle destre. Eppure, ed è questo, a suo dire, il senso del tema scelto per il primo numero di Jacobin Italia: “vivere in un paese senza sinistra” significa anche che, pur nell’assenza di una sintesi politica e di una direzione unitaria, esistono nel nostro paese soggetti collettivi, braccianti, migranti, donne, che a questa condizione di sofferenza reagiscono lottando contro le peggiori condizioni di sfruttamento. E questo mentre dall’altra parte un’altra “mistica”, quella della sicurezza, innalza difese illusorie contro il diffuso sentimento di precarietà e solitudine riempiendo le carceri di migranti e tossicodipendenti, aumentando la repressione mentre i reati diminuiscono. E’ quel che sottolinea nel suo intervento Valeria Verdolini, ricercatrice indipendente e membro dell’associazione “Che fare”.
Ritrovare la parola, riprendersi le ideologie, rimettere mano alle teorie, raccontare le storie che meglio spiegano le contraddizioni e che forniscono gli strumenti pratici per l’azione collettiva.
L’obiettivo che dunque i redattori coinvolti nel progetto della rivista si propongono è di guardare ai nuovi soggetti capaci di azione politica come punto di partenza per intercettare anche quella “fetta gigantesca della popolazione” che subisce in silenzio il ricatto neoliberista o ribalta sugli ultimi la violenza subita: per farlo, occorrerà “ritrovare la parola, riprendersi le ideologie, rimettere mano alle teorie, raccontare le storie che meglio spiegano le contraddizioni e che forniscono gli strumenti pratici per l’azione collettiva. Vedere chi è il problema e da chi nasce la soluzione, agire per trasformare la lotta tra poveri nuovamente in lotta di classe.” Agire, insomma, nella direzione delle lotte del collettivo Baobab, di Non una di meno, degli operai di Ri-Maflow, intervenuti alla presentazione della rivista per raccontare come si possa essere concretamente impegnati nelle lotte per riprendersi spazi di cultura e azione sociale, fabbriche destinate allo smantellamento, diritti negati. Occorre, come dice Bhaskar Sunkara, il giovane fondatore di Jacobin USA intervistato da Giulio Calella per il primo numero italiano, “non perdere la fiducia nella capacità dei lavoratori di lottare per la propria emancipazione. C’è ancora una working class, può essere organizzata, ci sono ancora interessi comuni che la uniscono. La working class è cambiata, è stata frammentata. Ma le intuizioni fondamentali del marxismo e del socialismo tengono ancora.”
La working class è cambiata, è stata frammentata. Ma le intuizioni fondamentali del marxismo e del socialismo tengono ancora.
La sua ambizione, come scrive Calella, era di “fare una rivista marxista, ma non propagandistica, accurata ma non accademica, in grado di apparire innovativa senza rimuovere il passato, con un linguaggio capace di dialogare con l’immaginario pop e arrivare a più persone possibile” . In verità, ammette Sunkara, il nucleo forte dei suoi lettori è rappresentato ancora da lettori con istruzione universitaria, cui si aggiunge la parte più istruita della working class e “molti figli di professionisti di classe media ormai declassati”.
Quale sarà il pubblico di Jacobin Italia? O meglio, a quale pubblico di fatto essa si rivolge e a quale sarà accessibile per le sue caratteristiche? In che modo il suo ambizioso e promettente progetto può essere sostenuto e alimentato attraverso un prodotto editoriale che subito appare elegante e ben curato, il cui costo unitario è quello di un libro in edizione economica? La rivista ospita opportunamente solo pubblicità di altre pubblicazioni della stessa area, comprese quelle delle Edizioni Alegre, che hanno sposato il progetto e investito su di esso, contando anche sugli abbonamenti annuali (la rivista è trimestrale), abbinabili a quelli per la versione digitale.
una rivista marxista, ma non propagandistica, accurata ma non accademica, in grado di apparire innovativa senza rimuovere il passato, con un linguaggio capace di dialogare con l’immaginario pop e arrivare a più persone possibile
I redattori provengono in parte da fogli indipendenti come Il Manifesto o Il Fatto Quotidiano, sono scrittori come Alessandro Robecchi o Wu Ming, o docenti e ricercatori universitari, e sono questi ultimi la maggioranza: è una garanzia di accuratezza e serietà, ma molti dei loro articoli non sarebbero davvero accessibili a un pubblico di media istruzione, presuppongono conoscenze specialistiche anzichè divulgarle. Cosa sarà mai “l’indice di Gini in crescita dal 1992” citato nell’articolo di Marta Fana sulla crisi dei trent’anni? “Non sai che fare, non sai dove andare, miagoli nel buio”, dice l’ultimo sottotitolo dello stesso articolo: e continuerò a farlo, se chi dovrebbe illuminarmi mi parla esattamente come quando scrive pubblicazioni scientifiche, salvo per i sottotitoli...
Pietro Maestri
Certamente, alcune delle caratteristiche indicate da Sunkara possono dirsi realizzate anche in questo primo numero di Jacobin Italia: a “dialogare con l’immaginario pop” non è solo la componente grafica, ma anche i tanti riferimenti a trasmissioni e personaggi televisivi attraverso cui l’articolo di Giuliano Santoro analizza l’involuzione culturale del nostro paese, dal Paolo Brosio testimone di Tangentopoli e fulminato sulla via di Medjugorie al Taricone del Grande Fratello, da cui proviene pure quel Rocco Casalino che è oggi portavoce dell’attuale presidente del Consiglio. Sulla stessa linea, ma in maniera più chiara e convincente, nonostante i riferimenti siano meno accessibili al pubblico italiano, un articolo di Eileen Jones, apparso su Jacobin USA e qui riportato in traduzione, mostra come alcune serie horror televisive siano state in grado di tradurre in storie ed immagini efficaci l’incubo vissuto dalle classi popolari americane soverchiate dallo strapotere delle banche, viste come forze oscure e malefiche incombenti sulle vite di chi aveva investito tutta la propria vita nel possesso di una casa “posseduta” in realtà da quelle forze demoniache. Decisamente in linea col programma e gli obiettivi è il fumetto di sei pagine in cui è rievocata la vicenda dell’omicidio di Soumaila Sacko, il bracciante maliano che nella baraccopoli di San Ferdinando faceva il sindacalista e aiutava i suoi compagni a costruire baracche con le lamiere di un cantiere abbandonato. E molto efficace è anche il racconto sulla opposta migrazione degli italiani in Inghilterra, la cosiddetta fuga dei cervelli, condizione di sfruttamento e oppressione anch’essa, in realtà, come è testimoniato con forza e vivacità, con amara ironia, dall’autore, Alberto Prunetti, scrittore e direttore della collana di narrativa Working Class delle edizioni Alegre.
Può fare il paio, per efficacia comunicativa, con l’articolo della sezione “americana” su come se la passano i “lupi di Wall Street” dopo la crisi, ovvero “tra Mercedes e magioni”, come recita il titolo, scritto da Meagan Day e tradotto, non a caso, dallo stesso Prunetti. Storie vive, che muovono sentimenti, oltre a far conoscere fatti e misurare realtà: misurarne l’impatto umano, non i dati numerici. I grafici, i numeri sono necessari, ma troppo spesso, anche quando sono illustrati con fantasia, restano sulla carta: forse è nella compresenza bilanciata di storie vere e di dati scientificamente fondati che si può sperimentare un linguaggio adatto a una sinistra che parli davvero alle classi lavoratrici per ridare loro una prospettiva di lotta non populista, ma socialista. E in effetti, Jacobin ci prova, ed è un tentativo da sostenere, proprio perchè richiede impegno.