Il sistema proposto da Atkinson in “Disuguaglianza” è formato da 15 “proposte” e quattro “idee da perseguire”. A leggerle, ci si accorge che dietro obiettivi moderati sta una visione riformista molto forte, con un ricorso consistente all’intervento dello stato.
In una lettera magistrale che l’editore Giuseppe Laterza ha scritto al direttore de la Repubblica sulla crisi della sinistra non solo in Italia (“Ma la politica non è morta”, la Repubblica, 17/02/17), l’autore afferma che “la maggioranza dei professionisti della politica ha smesso da tempo di citare i libri che ha letto mentre si dedica con passione ad inseguire le logiche della comunicazione televisiva. Siamo alla politica del giorno per giorno, dettata dai sondaggi”.
Tra gli autori che i politici di sinistra hanno, o dovrebbero aver letto, Laterza cita Anthony B. Atkinson e Amartya Sen, “che hanno scritto libri fondamentali su come nel XXI secolo si può ripensare una società insieme più giusta e più libera”.
Alla fonte di Amartya Sen mi sono abbastanza abbeverato, ma di Atkinson non sapevo nulla. E ho scoperto che è morto nel gennaio scorso. È stato un economista autorevole, maestro di Thomas Picketty e coautore con Joseph E. Stiglitz.
Ho subito cercato di procurarmi il testo con cui ha concluso la sua vita, dal titolo “Disuguaglianza” (Raffaello Cortina editore, 2015, p.391). Non credo che abbia circolato molto in Italia, al di là della cerchia degli specialisti in materia fiscale, assistenza e previdenza sociale, economia del lavoro. Per averlo ho dovuto acquistarne via Internet una copia usata.
Atkinson propone una riforma organica del welfare con riferimento soprattutto al sistema britannico. Per capirne l’importanza, occorre ricordare che proprio in questo paese, nel secondo dopoguerra, si diede forma organica agli interventi che in paesi diversi si erano andati attuando nella prima metà del secolo per affrontare i problemi sociali, dalla disoccupazione, alle condizioni del lavoro, alla maternità e infanzia, alle invalidità, alle pensioni. Questo sistema organico era stato elaborato da Lord William Beveridge, con un “Rapporto sulla sicurezza sociale e i servizi connessi”, pubblicato nel 1942 mentre la guerra devastava il continente europeo, e venne attuato dal governo laburista eletto dopo la fine della guerra.
Atkinson è animato dallo stesso spirito resiliente, convinto che l’aumento delle disuguaglianze non sia un destino esogeno e ineluttabile, ma al contrario opera dell’uomo, e come tale passibile di essere bloccato e invertito. Il suo ragionamento è quindi sostanzialmente ottimistico. Anche se guarda soprattutto al Regno Unito, vive quest’ultimo come parte integrante dell’Europa, a cui fa continuo riferimento.. La Brexit, votata dopo la pubblicazione del libro, deve essere stata per lui un duro colpo.
Da moderato, non immagina una inversione drastica della tendenza alla disuguaglianza, ma solo una sua ragionevole e progressiva riduzione. frutto di un sistema organico di interventi. Come Stiglitz, ritiene che la redistribuzione operata per via fiscale, per quanto importante, debba far parte di una politica più ampia, basata in gran parte su misure tendenti ad evitare l’incremento delle disuguaglianze già “prima delle tasse”.
Il sistema proposto da Atkinson è formato da 15 “proposte” e quattro “idee da perseguire”. A leggerle, ci si accorge che dietro obiettivi moderati sta una visione riformista molto forte, con un ricorso consistente all’intervento dello stato. Atkinson propone anche un’azione per sostenere comportamenti sociali meno individualisti, in base al principio secondo cui “jus sine mores esse non potest”, il diritto senza i buoni costumi non può reggere.
Ecco una rapida sintesi delle proposte:
1. La politica deve intervenire sulla direzione del cambiamento tecnologico, orientandolo verso la dimensione umana della fornitura dei servizi.
2. La politica deve introdurre una dimensione distributiva esplicita nelle regole della concorrenza.
3. La politica contro la disoccupazione deve includere l’offerta di un impiego pubblico garantito a salario minimo per chi vuole lavorare, ponendo lo stato come ultima istanza occupazionale.
4. Occorre un “Consiglio Sociale ed Economico” che assicuri un salario minimo legale ed elabori un codice di buone pratiche per le retribuzioni superiori al minimo.
5. Il governo deve offrire buoni di risparmio per tutti con un tasso di interesse positivo garantito.
6. Tutti i giovani che entrano nell’età adulta devono ricevere una dote di capitale (eredità minima).
7. Si deve creare una “Autorità pubblica d’investimento” con un patrimonio sovrano da investire in aziende pubbliche e immobili.
8. Si deve tornare a una struttura fiscale progressiva, fino a un tasso marginale del 65%.
9. L’imposta sui redditi deve prevedere uno sconto per i redditi da lavoro.
10. Si deve introdurre una imposta progressiva su eredità e donazioni.
11. Si deve introdurre una imposta progressiva sugli immobili basata su valutazioni catastali aggiornate.
12. Occorre prevedere un assegno per i figli di tutte le famiglie, ma soggetto all’imposta sul redddito, da estendere a tutta l’Unione Europea.
13. Occorre introdurre un "reddito di partecipazione" ad integrazione della protezione sociale, da estendere a livello europeo.
14. Bisogna rinnovare la protezione sociale, accrescendone le prestazioni.
15. I paesi ricchi debbono portare il contributo destinato ai paesi poveri al livello dell’1% del reddito nazionale.
Come si vede, si tratta di un sistema di forte impatto riformista. Chiaramente prevede un maggiore intervento dello stato, e in una direzione che Edmund Phelps definirebbe, in senso negativo, corporativa. Il “Consiglio Sociale ed economico” assomiglia tanto a un nostro CNEL potenziato, e l’Autorità pubblica d’investimento assomiglia tanto alla nostra Cassa Depositi e Prestiti, sul modello di un analogo ente francese.
Atkinson sviluppa minuziosamente le sue proposte, a un livello che richiede nel lettore una buona competenza in materia di economia e diritto delle politiche sociali e del lavoro (anche se il libro aiuta con un glossario). Affronta inoltre analiticamente il problema della sostenibilità finanziaria delle sue proposte, argomentandone la praticabilità.
La lettura fa comunque capire al lettore comune come nel dibattito politico molti argomenti relativi ai servizi sociali e al lavoro, per loro natura complessi, siano spesso trattati con semplificazioni che degenerano nel semplicismo e nell’ideologismo.
Ad esempio, particolarmente complesso è l’argomento del reddito minimo, con le sue diverse denominazioni (di cittadinanza, di inclusione…) e interconnessioni con le altre misure di protezione sociale. Atkinson propone un “reddito di partecipazione”, che dovrebbe essere erogato “a tutti coloro che forniscono un contributo sociale, che per quanti sono in età lavorativa potrebbe consistere in un lavoro dipendente o autonomo, a tempo pieno o parziale, nell’istruzione, nella formazione o nella ricerca attiva di una occupazione”, ma anche “nella cura domestica di bambini piccoli o di anziani non autosufficienti o nel volontariato regolare presso una associazione riconosciuta”. A differenza del reddito di cittadinanza, nota Atkinson, sarebbero esclusi i “surfisti di Malibu”, cioè i validi nulla facenti.
Due aspetti rendono particolarmente interessante l’idea di Atkinson: 1. l’integrazione del reddito di partecipazione con un reddito base per i bambini, che costituirebbe un contributo all’equità intergenerazionale, spesso lasciata in seconda linea; e 2. la proposta di inserire il reddito di partecipazione nell’agenda dell’Unione Europea, pur lasciandone la gestione a livello dei diversi paesi, secondo il principio di sussidiarietà.
C’è un aspetto che tuttavia merita qualche riflessione: nonostante il Regno Unito sia all’avanguardia nei sistemi di welfare, esso si affianca agli Stati Uniti nell’essere uno dei paesi a maggiore disuguaglianza. Questa contraddizione deriva molto probabilmente dalla elevata finanziarizzazione dell’economia britannica. Le operazioni finanziarie speculative, di breve termine, sono tra le cause principali degli arricchimenti improduttivi, e quindi della divaricazione tra redditi e ricchezze. Proposte come quella della Tobin Tax, che mirava proprio a colpire queste rendite, sono rimaste sulla carta. Dovrebbe essere questa la 16 esima proposta da aggiungere a quelle di Atkinson.
Ma in conclusione vorrei tornare a Laterza: chi dice che la sinistra ha perso la strada, dice per lo più il vero: ma non perché manchino i cartelli indicatori (le proposte, i libri di cui parla Laterza), bensì perché non li osserva. Certo, non ci sono più i percorsi obbligati e indiscussi del passato, ma possibilità di scegliere e quindi anche di sbagliare. Ma i cartelli ci sono. Romano Prodi nel suo ultimo “Il Piano Inclinato”, li addita di nuovo. Ma come al solito viene ignorato e strumentalizzato da chi lo ha usato solo per scalare il potere, per poi gettarlo via.