Isabella Mattazzi è la nuova traduttrice della scrittrice belga per l'Italia. Nell'intervista rivela una relazione molto intensa “Un lento avvicinamento per cerchi concentrici”. L'esattezza della lingua, i nomi, lo stile.
Da quanto tempo traduce Amélie Nothomb?
Riccardin dal ciuffo è il mio primo libro come traduttrice di Amélie Nothomb.
Che rapporto aveva con questa scrittrice prima di tradurla? Come è cambiato, lavorando sui suoi testi?
Il mio rapporto con Nothomb negli anni è stato un lento avvicinamento per cerchi concentrici, passaggi via via più stretti come un uccello che ha bisogno di volare a lungo in alto sulla preda prima di iniziare a scendere. Per prima cosa l’ho incontrata come lettrice. Quando è uscito Igiene dell’assassino, nel ‘92, ero poco più di una ragazzina, neppure sapevo che mi sarei occupata di letteratura francese per tutta la vita. Ho iniziato il libro e subito ho pensato: “va bene, questa è una scrittrice che resterà”, ipotesi poi confermata da Mercurio, Stupore e tremori e Metafisica dei tubi arrivati pochi anni dopo.
Il secondo incontro con Nothomb è stato come critico letterario. Da anni lavoro come francesista per diversi giornali italiani e nel 2013 ho recensito Barbablù. Rispetto allo sguardo veloce del lettore, la prospettiva del critico – di chi legge per poi scriverne - è sempre più ravvicinata, non esiste più solo la forbice capricciosa del mi piace/non mi piace, ma le domande da fare a un testo diventano molteplici, tanti piccoli grimaldelli da infilare tra una pagina e l’altra per individuarne i punti di rottura, la tenuta, gli equilibri.
Il terzo incontro, l’anno scorso, l’ho avuto in Università. Avevo deciso di dedicare uno dei miei corsi alla Riscrittura come genere letterario e ho messo in programma proprio Barbablù, riscrittura contemporanea della fiaba di Perrault. Qui, l’incontro con Nothomb è stato ancora più forte. Lavorare su un romanzo per mesi con i propri studenti, fermarsi su una sola riga per ore insieme a loro, permette di accedere alle strutture più intime di un testo. Se da lettrice avevo guardato solo la facciata della costruzione-Nothomb, con i ragazzi siamo arrivati alle cantine, alle modalità costitutive della lingua, alla struttura portante della sua scrittura.
Quando mi è stato proposto di tradurre Riccardin dal ciuffo, ho pensato che in questo modo il percorso avrebbe trovato la sua giusta conclusione. Il cerchio più stretto dell’uccello sulla preda, lo sguardo più ravvicinato di tutti su un testo non è quello del critico, dello studioso o dell’accademico, ma è quello del traduttore. Cercando di ricreare una lingua, di dare una nuova voce a un testo, di fatto il traduttore diventa il testo stesso, ne assorbe i tic linguistici, le modalità espressive, si porta appresso letteralmente le sue angosce o la sua felicità. I personaggi di Riccardin dal ciuffo hanno fatto colazione con me al mattino, hanno viaggiato in treno nel mio scompartimento, hanno parlato con me ininterrottamente per mesi. Nel rapporto traduttore-autore ogni distanza critica tende a essere annullata, non si tratta tanto di vedere come funziona un testo, ma di funzionare noi – pensare, parlare, respirare - come quel testo stesso.
Nel rapporto traduttore-autore ogni distanza critica tende a essere annullata, non si tratta tanto di vedere come funziona un testo, ma di funzionare noi
Da traduttrice, riconosce delle unicità nello stile di questa autrice? Quali? Una delle caratteristiche che amo personalmente di Nothomb, che ho letto sia in lingua originale che tradotta, è lo stile essenziale ma allo stesso tempo preciso. Non c'è parola in più ma neanche in meno. Condivide?
Sì, sono molto d’accordo, la cifra stilistica più forte di Nothomb risiede nella precisione al millimetro della sua scrittura. È un linguaggio estremamente “pensato”, logico, teso come un filo d’acciaio dalla prima all’ultima riga del testo. Devo dire che sono sempre stata abituata a leggere i suoi romanzi come lunghe partite a scacchi e inizialmente l’idea che Riquet à la houppe fosse una fiaba così sbilanciata – per sua stessa struttura narrativa - sul meraviglioso mi aveva dato qualche perplessità. Poi, leggendo il romanzo, mi sono dovuta ricredere. La precisone logica di Nothomb ha reso la meraviglia ancora più lucente. Togliendo ogni romanticismo, ogni pathos al linguaggio della fiaba l’ha resa ancora più fiabesca, “dando al noto la dignità dell’ignoto” come avrebbe detto Novalis. Le parti relative a Malvarosa la maga e al suo castello incantato sono a mio avviso le più belle del testo.
A uno studente di traduzione, un suo testo di che livello di difficoltà risulterebbe? È complesso tradurre Nothomb?
Da un punto di vista lessicale e sintattico direi che Nothomb non è un autore difficile. Non è Flaubert, non bisogna impazzire a cercare ogni singola parola sul dizionario dei termini desueti e delle espressioni gergali. Anzi, si dà molto spesso Nothomb da tradurre agli studenti dei corsi di lingua universitari proprio per l’immediata comprensibilità del suo discorso. Di tutt’altra difficoltà però è la traduzione dei suoi romanzi a livello professionale, innanzitutto per la rarefazione del linguaggio di cui parlavamo prima, non sempre semplice da rendere in italiano, e in secondo luogo per il fitto gioco di rimandi intertestuali che spesso caratterizza la scrittura nothombiana. I suoi romanzi, e Riccardin dal ciuffo ne è un esempio calzante, sono intessuti di citazioni nascoste, piccole perle letterarie che rilucono solo e soltanto nel momento in cui il lettore che le legge ha un bagaglio culturale sufficientemente ampio per coglierle. In questo romanzo Nothomb parla di cristallizzazione e il pensiero va subito a Stendhal, cita tra le righe Sarraute e Cocteau, parla in termini psicoanalitici per un intero capitolo, mette in bocca a un sedicenne versi di Hugo come se fossero battute di una serie televisiva, ovviamente uno studente universitario tutte queste cose non è in grado di coglierle e di conseguenza di tradurle correttamente.
Isabella Mattazzi
I dialoghi, come li descriverebbe e come lavora per tradurli?
I dialoghi sono uno dei punti forti della scrittura di Nothomb. Abbiamo detto prima che la sua è una scrittura molto “pensata”, logica, e il dialogo – cosa che i francesi sanno fin dal Grand Siècle– è il luogo per eccellenza dove poter esplicitare al meglio l’intelligenza del linguaggio. Per quanto riguarda nello specifico la traduzione di Riccardin dal ciuffo ho cercato di evidenziare il più possibile nei dialoghi l’habitus linguistico di ognuno dei personaggi. Altea prima bambina e poi adolescente, Malvarosa la maga, Deodato innamorato infelice, sono tutti mondi diversissimi uno dall’altro che di conseguenza devono parlare linguaggi diversi, all’interno però di una cornice omogenea - la voce di Nothomb - che deve essere altrettanto riconoscibile e immediata.
Ho cercato di evidenziare il più possibile nei dialoghi l’habitus linguistico di ognuno dei personaggi
I nomi di persona, sono scelti nei suoi romanzi, con motivazioni profonde che spesso sono una importante chiave di lettura del libro stesso. Mi chiedo se traducendoli non si rischi di perdere tale valore e se ciò costituisce una specificità di Nothomb.
Nothomb usa sempre nomi “parlanti”, in tutti i suoi romanzi ogni personaggio porta, racchiusa nel suo stesso nome, la propria storia. In genere i nomi propri non vengono mai tradotti in italiano, ma si lasciano nella loro lingua originale, soltanto per quest’ultimo romanzo si è deciso di fare un’eccezione. Il corrispondente francese di Riccardin dal ciuffo - il nome del protagonista - è Riquet à la houppe e risulterebbe del tutto incomprensibile per un pubblico italiano (che a questo punto non sarebbe più in grado di riconoscere la fiaba di Perrault che fa da testo-fonte). In accordo con Daniela Di Sora della casa editrice si è così deciso di tradurre Riquet in italiano e questo ha comportato, per questioni di omogeneità, una traduzione italiana di tutti i nomi propri presenti nel romanzo. Devo dire che la traduzione dei nomi è stato uno dei punti più delicati del mio lavoro. Ogni nome, da Lierre che è diventato Gelsomino a Trémière che è diventato Altea, ha comportato una presa di posizione fatta di scelte precise e ragionamenti spesso durati settimane. La fiaba stessa di Perrault, negli anni, è stata tradotta in Italia con due varianti: Riccardin dal ciuffo e Enrichetto dal ciuffo. Già dal titolo ho dovuto così operare una scelta ragionata tra due tradizioni editoriali differenti. Alla fine ho optato per Riccardin che mi è sembrato fosse la variante più nota al pubblico italiano di oggi e che per ragioni di sonorità mi faceva più gioco.
La traduzione ha tempi e ritmi completamente diversi da quelli dell’insegnamento. La mia vita è un continuo cambio d’abito
Amélie ha un rigoroso ritmo nella sua attività di scrittura e scandisce, mi risulta, la giornata con rigidità. Anche lei ha questo approccio?
No, per niente. E lo dico con rammarico perché mi piacerebbe moltissimo avere un mondo scandito da una griglia sempre uguale di gesti e di abitudini. Purtroppo mi sono scelta un tipo di vita che non lo permette. Insegnare in Università, fare ricerca e nello stesso tempo tradurre e scrivere sui giornali mi impone un continuo esercizio di flessibilità e non solo rispetto ai tempi e ai luoghi del mio quotidiano (insegno in una città che non è la mia e quindi sono sempre in viaggio). La scrittura saggistica è completamente diversa da quella giornalistica (e si occupa di cose diverse). La traduzione ha tempi e ritmi completamente diversi da quelli dell’insegnamento. La mia vita è un continuo cambio d’abito, ovviamente il centro di ogni mia azione rimane immutato, il baricentro della mia vita resta ben saldo sullo studio della letteratura, ma le modalità di questo studio – e di conseguenza del mio quotidiano - sono ogni volta diverse a seconda del tipo di lavoro che sto facendo in quel momento.
A chi non ha mai letto Amélie Nothomb, il titolo da cui iniziare?
Al di là dei romanzi citati nell’intervista - che mi sento di consigliare tutti - non posso che dare una risposta sentimentale a questa domanda. Il romanzo che consiglierei a un amico per avvicinarsi a Nothomb, il libro che gli regalerei, non può che essere in questo caso Riccardin dal ciuffo: regalare questo libro vuole dire letteralmente regalare una parte di me.