Non si tratta di fare l’Ulivo 4.0. Qui si tratta di rifare l’Ulivo punto e basta. Sperando di essere ancora in tempo
Quando qualcuno mi domandava cosa facessi sdraiato sotto quell’albero in riva al Lambro, rispondevo che stavo aspettando che passasse un cadavere di mia conoscenza. Quanto al Lambro, beh, era l’unico fiume a mia disposizione. Ora penso che quel momento stia arrivando.
Nell’ottobre di dieci anni fa scrivevo un articolo sulle pagine de L’Arengario di Monza dal titolo “Cari amici dell’Ulivo, non ci siamo”. Era successo che dopo tredici anni di percorso seguito a Monza e in tutte le altre città italiane per la costruzione di un partito rappresentativo di tutti i settori del movimento progressista italiano, cioè l’Ulivo, i DS e la Margherita (i partiti terminali degli allora storici PCI e DC) decisero ex tempore che il percorso era terminato.
Su quell’articolo espressi la mia sorpresa e la mia contrarietà, perché ritenevo che il percorso fosse ancora a metà strada e che questi due partiti non avevano il diritto di decidere anche per gli altri cosa si dovesse o non si dovesse fare. Lo dicevo a ragion veduta dato che ero uno dei cofondatori dell’Ulivo di Monza.
Riporto integralmente una parte di quell’articolo perché lo ritengo ancora valido a dimostrare la mia tesi: “…Gli ultimi vent'anni vedono l'accelerazione di alcuni importanti processi degenerativi del nostro pianeta e della nostra società, così come li abbiamo conosciuti da sempre.
Prima di tutto l'ambiente in cui viviamo: una lenta e costante erosione delle risorse naturali sta proseguendo senza ostacoli apparenti. Fiumi e laghi che spariscono con conseguente sparizione di specie diverse di vita animale e vegetale e quindi dell'uomo, foreste distrutte, ghiacciai che si sciolgono, livello dei mari che cresce ovunque… il petrolio che ormai si consuma più di quanto se ne estragga. Conseguenza di tutto ciò è il cambiamento climatico, che porta deserto dove prima c'erano terre coltivate e nubifragi dove prima c'era clima temperato.
Tutto ciò causa anche la migrazione di milioni di persone che cercano luoghi di sopravvivenza migliori. E' stato calcolato che almeno cinquantamilioni di esseri umani migreranno nei prossimi anni dalle loro terre verso l'Europa, con buona pace dei leghisti.
Queste migrazioni produrranno, e stanno già producendo, conflitti sociali enormi, con problemi di accoglienza ed integrazione su un territorio sempre più ridotto e malmesso e un mondo del lavoro che dovrà sopportare l'onda d'urto di una massa enorme di mano d'opera a bassissimo costo che avrà come effetto la caduta di stipendi e salari, già penalizzati da anni di globalizzazione.
Anche il nostro Paese si troverà a fronteggiare, come già ha iniziato a fare, forti cambiamenti, con le destre politiche che non sapranno fare altro che cavalcare ogni conflitto ed ogni problema per tornare a governare il Paese.
E sappiamo bene come lo hanno governato nell'ultima legislatura.
Ebbene, le forze progressiste, nel nostro Paese, sono storicamente quelle che si rifanno alla tradizione cristiana, socialista e ambientalista. Se vogliamo creare un partito che serva a qualcosa, oltre che a sé stesso, dobbiamo fare in modo che rappresenti queste tre anime, perché i problemi che dovremo affrontare in questo secolo saranno problemi di identità, di ambiente, e di lavoro, in una parola saranno problemi di sopravvivenza…”
Ricordo le serate trascorse a lavorare nei vari gruppi, per la formazione di un programma, con gli amici Montalbano, Alberto Colombo, Dentella, Pippo Civati, Marzolini, Iannazzo, Correale, amici del CCR e altri amici ancora, provenienti da tutte le aree politiche, mossi solo dalla volontà, ben chiara a tutti, di quello che si voleva realizzare. Ricordo serate di dibattiti e conferenze in sale stracolme di gente, come mai viste in seguito.
Ma l’Ulivo venne soffocato in culla, come si disse a quel tempo.
Naturalmente fecero i conti senza l’oste. L’aver lasciato fuori dalla porta interi settori di società politica (penso in particolare ai socialisti, ai verdi, ai repubblicani, ai liberaldemocratici, ed anche a esponenti di Rifondazione comunista) costituì terreno fertile per le future grane politiche ( come avvenne poi con la prima caduta del governo Prodi provocata fondamentalmente da Rifondazione e quella del secondo provocata dai gruppi di Mastella e Dini) oltre a produrre una mancata presa di coscienza dei problemi di carattere sociale e ambientale, rimasti bandiera di altri schieramenti.
Col tempo ognuno fece poi il suo percorso politico, e all’interno del PD confluirono anche tutti quelli che, sia di qua che di là, erano stati alla finestra, sino a costituirne la maggioranza, e quell’idea e quella possibilità rimase irrealizzata, nonostante le belle dichiarazioni fatte dagli esponenti politici nazionali di allora a cui non sembrava vero potersi sedere su poltrone verniciate di fresco.
Sono passati dieci anni da quell’articolo.
Oggi possiamo dire con sicurezza che i nodi sono da tempo venuti al pettine e qualcuno si è finalmente deciso a scioglierli anche a costo di spezzare la corda.
A livello politico ci sono i nodi irrisolti sulla natura del partito che non si capisce se sia un partito di destra, di sinistra o di centro, intendendo con questo non solo una collocazione all’interno dello schieramento politico, ma anche e soprattutto all’interno dei valori a cui far riferimento.
A livello sociale ci sono poi i problemi irrisolti e ormai conclamati del clima, dell’immigrazione e della mancanza di lavoro, oltre alle guerre e al terrorismo, che impongono politiche urgenti.
Quindi la mia tesi è molto semplice: qui non si tratta di fare l’Ulivo 4.0.
Qui si tratta di rifare l’Ulivo punto e basta. Sperando di essere ancora in tempo.
Francesco Achille