Per “La Monza che Vorrei”, intervista a Maurizio Oliva, Presidente di Italia Nostra di Monza e Brianza. Opzione zero nel consumo del suolo, mobilità dolce e sistemi di trasporto non invasivi, ridisegnare i servizi alle persone e alle imprese. E per quanto riguarda Villa e Parco, Autodromo e Golf...
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a prima domanda che ti rivolgo è: a tuo parere, quali sono le maggiori minacce e opportunità con cui Monza dovrà confrontarsi nel suo futuro di lungo termine, e i punti di forza e di debolezza di cui dispone per uscire vincente da questo confronto?
È uno schema in cui mi ritrovo, che uso spesso nella mia attività professionale. Partiamo dalla minaccia. Che consiste nel rischio che Monza perda definitivamente certi connotati di vivibilità, di buon luogo dove poter vivere, lavorare, produrre che l’hanno distinta, anche se sempre meno, dalla grande Milano. L’opportunità è evidentemente il rovescio. Cioè che Monza, facendo leva sulle sue peculiarità, riesca a differenziarsi dalla metropoli portando a valore le caratteristiche che la rendono vivibile. In sostanza, la vivibilità è il metro con cui misurarsi.
La debolezza consiste nell’acquiescenza per cui, nel tentativo di far fronte alla vastità e profondità della crisi economica che colpisce anche questo territorio, si accettino passivamente forme di crescita economica ritenute capaci di accrescere il benessere, ma che sacrificano proprio quelle peculiarità su cui si fonda il benessere e il lavoro di questa città.
Secondo te questo processo è già in corso?
Sì. lo vedi nella chiusura di centri produttivi, nella crisi del piccolo commercio, nel venir meno di componenti pregiate dell’economia brianzola. Fatti che testimoniano un declino, al di là delle dichiarazioni dei soggetti economici che ostentano ottimismo.
Mi viene in mente il fatto che, se si guarda all’interno del settore statistico “servizi alle imprese”, che viene considerato un indicatore dell’innovazione tecnico-economica, si scopre che la metà delle attività di questo tipo nella nostra provincia è costituita da agenzie immobiliari.
Esatto. Il punto di forza, che potrebbe sostenere le opportunità, è che la città è ricca, straricca di risorse anche nascoste o inconsapevoli, presenti sia nel territorio, nel contesto ambientale, che nelle persone, nella cittadinanza. Molti hanno saputo esprimere, in forme serie e partecipate, specialmente negli ultimi due-tra anni, una voglia di crescita secondo modelli non scontati.
Pur nel trend economico negativo, si vedono attività artigianali e commerciali che resistono, non ammainano la bandiera di fronte ai centri commerciali
Puoi fare qualche esempio?
Accade in ambiti diversi. Ad esempio negli aspetti culturali, a partire dal rinnovato interesse per la Villa e il Parco, e da strutture culturali come il Museo del Duomo. Ma anche nelle infinite iniziative di associazioni che, nonostante le mille difficoltà, incontrano livelli di partecipazione crescenti. D’altra parte, pur nel trend economico negativo, si vedono attività artigianali e commerciali che resistono, non ammainano la bandiera di fronte ai centri commerciali, ad attività più robuste dal punto di vista finanziario.
A questo punto, e sulla base di questi elementi, chiedo anche a te di fare il difficile tentativo di delineare due scenari molto divaricati su quello che potrà essere Monza, mettiamo, tra venti anni.
Lo scenario negativo è che Monza diventi l’ennesimo agglomerato urbano indistinto di una megalopoli, con una densità di popolazione ulteriormente aumentata, ma fatta di residenti non produttivi, che mangiano e dormono ma lavorano altrove. Una città impoverita di iniziative culturali ma anche di svago, una città triste, che ha perduto ogni capacità di autodirezione, di autonoma capacità decisionale e operativa, schiacciata da scelte fatte in altri luoghi.
In questo scenario la provincia sparisce, non tanto come espressione istituzionale (che ha fatto ben poco sinora), ma come realtà sostanziale.
La Provincia, tanto auspicata e voluta, si è rivelata uno strumento privo di fantasia e capacità operativa.
Ma secondo te, sinora, Monza ha esibito una autonoma capacità decisionale?
Modestissima, finta. La Provincia, tanto auspicata e voluta, si è rivelata uno strumento privo di fantasia e capacità operativa. Un elemento particolarmente negativo di questo scenario è che il modello economico dominante tenda a premiare le strutture grandi. Il concetto che “small is beautiful” sarà definitivamente archiviato.
Monza si allineerebbe così a certe tendenze globali?
Esattamente. Ci sarebbe una omologazione alla realtà dominante e vicina. Il che sarebbe deleterio per una struttura economica e sociale come quella di Monza e della Brianza.
E quale potrebbe essere invece uno scenario positivo?
Che Monza riesca a far leva sulle proprie specificità, sulle proprie attitudini culturali, comportamentali, lavorative, mantenendo e anzi accrescendo la propria autonomia operativa. Riuscendo in tal modo a caratterizzare in positivo gli elementi che sono alla base della vivibilità, come gli spazi verdi, l’aria, la mobilità, e ad attrarre residenti vecchi e nuovi in una logica non speculativa, ma di arricchimento sostanziale e di integrazione. Magari superando un difetto genetico di queste terre, un po’ troppo chiuse in se stesse, tendenti a rifiutare il diverso, poco pronte ad accettare l’inevitabile mix culturale.
Opzione zero per quanto riguarda il consumo del suolo, con il recupero delle aree dismesse
Interessante. Ma una buona regola del costruire scenari è che occorre anche tentare di capire e dire come ci si arriva. Personalmente sono contrario alla logica delle cosiddette priorità, che alla fine porta a ritenere tutto prioritario. Invece conviene chiedersi cosa si può fare “da subito”, per avviarsi sulla buona strada.
Concordo. Quando tutto è prioritario si va avanti con le emergenze, che sono l’alibi per chi non ha un progetto. Le cose da fare subito le dividerei in tre blocchi. Il primo consiste nel fare tutto ciò che è necessario perché queste terre restino o migliorino in ciò che di positivo già sono. Quindi, in primo luogo, l’opzione zero per quanto riguarda il consumo del suolo, con il recupero delle aree dismesse. Secondo: rivedere completamente il sistema della viabilità, adeguandolo alla specificità delle nostre città, favorendo la mobilità dolce (bicicletta), e sistemi di trasporto non invasivi. In particolare, per quanto riguarda i bus, è noto che sono in perdita e gestiti in funzione dei costi, il che fa sì che vengano usati solo da studenti o extracomunitari. Invece bisognerebbe incentivare tutta la popolazione ad usarli.
I servizi dovrebbero soprattutto incentivare la nascita e lo sviluppo di idee innovative e con buone speranze di sopravvivere, capaci di creare reddito e lavoro.
Vero. Ad esempio, da qualche tempo, vicino a dove abito, transitano due linee invece di una per collegare due diverse zone periferiche al centro e all’ospedale nuovo. L’aumento della frequenza dei passaggi mi ha indotto ad usare abitualmente l’autobus, che prima snobbavo. Le vetture dovrebbero però essere più piccole per muoversi più agevolmente nel centro medievale.
Ragionare in base ai costi con una visione miope porta a offrire servizi inutili. Si potrebbe invece pensare anche alla gratuità per certe categorie, con un sistema definitivamente alternativo all’attuale. Ci sono esempi, purtroppo non in Italia. Si potrebbe anche a Monza far pagare l’ingresso con l’auto nel centro città, o premiare chi lascia a casa l’auto. Immaginare forme di cofinanziamento pubblico-privato. Insomma, l’obiettivo dovrebbe essere quello di modificare il comportamento dei cittadini.
Terzo blocco: occorre ridisegnare il sistema dei servizi ai cittadini e alle imprese, semplificandoli. Oggi ce ne sono troppi, disordinati, spesso non conosciuti e di scarso utilizzo. Occorrerebbe razionalizzare in modo serio questa offerta, redistribuendo le risorse disponibili, offrendo non solo l’indispensabile ma anche quello che serve per uno scatto in avanti. Si pensi ai servizi agli anziani, il cui miglioramento non servirebbe solo loro, ma si riverberebbe positivamente sui più giovani che debbono assisterli. Per quanto riguarda le imprese, i servizi dovrebbero soprattutto incentivare la nascita e lo sviluppo di idee innovative e con buone speranze di sopravvivere, capaci di creare reddito e lavoro.
Occorrerebbe il blocco totale di nuovi centri commerciali.
Ci sono diversi enti, anche di tipo funzionale come la Camera di Commercio, che offrono servizi di questo tipo ma spesso in modo burocratico e dispersivo. Tu pensi che il Comune possa svolgere un ruolo propulsivo?
Non per quanto riguarda le imprese medio-grandi, ma sì per le piccole imprese e il commercio. Ad esempio potrebbe rivitalizzare alcuni assi viari, in modo da attrarre i cittadini sulle attività commerciali locali, creando aree pedonali, promuovendo manifestazioni ed eventi, incentivando nuove iniziative. Naturalmente occorrerebbe il blocco totale di nuovi centri commerciali.
Tornando alle aree dismesse, come mai se ne parla sempre ma poi non si fa nulla?
Perché finché non si deciderà il blocco dell’edificazione sulle aree libere, prevarrà la convenienza a costruire su queste.
Non pensi che ci sia anche una carenza di progettualità da parte del Comune? Una incapacità di decidere cosa salvare, cosa ristrutturare, e per che cosa?
A mio parere prevalgono gli interessi economici sulla progettualità. Se si blocca l’alternativa di costruire sulle aree libere, sarà più facile decidere cosa conservare, cosa destinare a residenza, ad attività industriali o commerciali.
Anche qui, quindi, è una questione di convenienze comparate. Secondo un noto economista, se un imprenditore viene messo in condizione di guadagnare di più con una attività criminale, è probabile che la intraprenderà. E’ così anche con la finanza rispetto all’economia reale.
A questo punto, veniamo all’ultima fatidica domanda: Se ti svegliassi una mattina come sindaco di Monza, cosa faresti come prima cosa?
Sarebbe proprio una cosa da sognatore. Farei subito una cosa che può non piacere a molti, ma la farei: prenderei l’unicum Villa-Parco, e valuterei subito il modo, chiaramente adeguato, progressivo, non traumatico, per liberarlo dalle presenze improprie. Diciamo nome e cognome, così facciamo indispettire un direttore fanatico: prima di tutto Autodromo e Golf. Se restituiamo alla città, alla Brianza, al Paese una delle cose più pregiate che abbiamo, allora sì che potremo disegnare una città diversa, con ambizioni e logiche diverse. Se rimaniamo attaccati a feticci di dubbio valore, saremo costretti a ripetere progetti e iniziative legati a questi feticci. Per cambiare occorre fare scelte importanti, talvolta radicali.
Ma allora cosa dici della recente concessione a privati del corpo centrale della Villa Reale, che ricalca perfettamente il modello di concessione dell’Autodromo e del Golf, cioè di quasi alienazioni di pezzi del monumento solo per far soldi?
È evidente che la Villa, come il Parco, dovrebbe avere un futuro di recupero e di gestione coerente con quanto ho detto prima. Per non eludere la domanda, ritengo che sicuramente va completato il restauro del monumento, comprendendo anche le ali nord e sud, ma che occorre riportare al pubblico le scelte di gestione. Non si capisce perché il privato dovrebbe fare meglio quello che può e deve fare il pubblico. Il governo, il controllo deve restare pubblico, potendosi poi affidare a privati l’esecuzione di specifiche iniziative, manifestazioni e anche la gestione operativa di attività commerciali compatibili, utili per concorrere al mantenimento del monumento.
Maurizio Oliva, manager nel mondo della formazione alle imprese, ha 50 anni. Milanese di nascita ma a Monza da oltre vent'anni segue con passione e competenza i temi della tutela dei beni culturali e ambientali. In città ė Presidente di Italia Nostra, Consigliere del CREDA e Delegato Ambiente per il FAI. Ė in prima fila nella battaglia contro la variante al PGT.