20170228 viaggi

Il viaggio è la nostra genesi, il viaggio il nostro arrivo, dal viaggio lasciamo e prendiamo le nostre località interiori per abbracciare una nazionalità umana nuova

Come ogni 23 agosto di ogni anno, anche lo scorso ho ricevuto un mazzo di fiori e pranzo abbondante, le vecchie zie e le cugine devote non hanno fatto mancare gli auguri puntuali da calendario: il 23 agosto è il mio onomastico e al Sud è come una sorta di Natale personale, specie se al tuo nome è abbinato un santo da 100 punti e nel mio caso si tratta della prima donna canonizzata nella storia dell’America Latina. 

Sono cose importantissime di cui voi del Nord non vi curate neppure vagamente, così come io non potevo credere che al Nord non si festeggiasse il giorno dell’onomastico: “Eh ma che griggiòre! Addirittura le non-feste!”, pensavo. Eppure per noi del Sud alzarsi al mattino e vedere “che santo è oggi” per non lasciarsi sfuggire l’augurio a qualcuno, è una naturale regolarità non solo per i nomi più noti ma pure per tutte le declinazioni possibili: per coloro che portano nomi composti o che ne hanno uno riferibile a più santi omonimi. Insomma, sono cose serie! Anche al di là della fede o del laicismo: se abiti al Sud e sei ateo e magari ti chiami Francesco, il 4 ottobre il tuo cuore (o la tua pazienza) è messo alla prova dal giornaliero entusiasmo corale intorno a te. 

Ma basta scavalcare la linea gotica, stanziarsi nella civiltà del Nord, per sentire quegli auguri così estranei e grotteschi. Cosa c’entro in effetti io, Rosa, una ordinaria signora casa-lavoro-hobbyes con una suora domenicana del Perù? E cosa c’entro io con quel giorno stabilito? Mi sento certamente più vicina alle rose degli ambulanti bengalesi di tutte le città italiane, di quelle che mai compri, di quelle che tolte dal cellophane durano 45 minuti. Sento certamente un’affinità spirituale maggiore con le rose di san Francesco che crescono senza esser piantate nel mio non sentirmi mai a casa se non ovunque ci sia un letto accanto ad una finestra. Non sento l’adorazione e attrazione nella Santa Rosa d’oltreoceano più di quella che nutro nei confronti della Nera di Kounellis in Palazzo Reale, dove l’inquietudine trova un posto, un senso in un’esistenza serena, ordinata, buona, quasi docile. 

Avete ragione voi del Nord a nutrire un distacco nei confronti dell’onomastico e ogni volta che ci penso ne sperimento la effettiva lontananza dal mio modo di percepire il mondo pur essendo profondamente meridionale, pur provando gioia nel ricevere auguri e fiori ogni 23 agosto! 

Funzioniamo così noi esseri umani sociali: viviamo, cresciamo, conviviamo con un variegato mix di abitudini, valori, credenze, opinioni e continuiamo a reiterarle, a volte con partecipazione, a volte con un distacco tale da viverle attraverso un altro me. Ugualmente percepiamo luoghi e relazioni, credenze, tradizioni, ideali nei quali ci uniamo in comunità eppure talvolta in disaccordo alimentando dentro quella perenne, labile voglia di andare via. Andare via per entrare in un’altra casa, appartenere a qualcosa che ci somigli ma che è altrove, qualcosa di noto e di nuovo.

Noi, e non noi del Sud e voi del Nord, noi italiani cresciamo con il Viaggio dentro, il Cambio-residenza nel curriculum, il Trasloco nei progetti di vita e questo in un continuo costruire e demolire  credenze e disponibilità di pensiero.

Sarò forse l’unica in questo Paese, ma credo fermamente che gli italiani, come entità sociale ed antropologica esistano; che siamo un popolo fatto e finito e in questa diversità è la nostra identità nazionale. Nelle transumanze da Nord a Sud per le vacanze e da Sud a Nord per il lavoro si è scritta la Costituzione di Carne. In questo secolo di fughe lungo l’Appennino e Oltralpe si è fatto un popolo che ha un’idea chiara e sicura (non sempre esatta) di Italia e di italiani; l’enciclopedia dei luoghi comuni e delle grandi diversità tra la rumorosità dei meridionali e la freddezza dei settentrionali l’abbiamo letta tutti e tutti l’abbiamo smentita con l’esperienza, con il viaggio, con il trasferimento, con un cambio di lavoro, con i tanti matrimoni con altre mogli e altri buoi. 

Sentivo in me questa consapevolezza da tempo anche prima di iniziare l’avventura a Vorrei, prima di incontrare quei tanti Qualunque che passano per la Brianza, crocevia di esperienze umane di tutto il Novecento. Ma grazie ai ritratti di ognuno di questi uomini ho riscoperto un popolo meraviglioso, un popolo nazionale che è confluito e confluisce in questo luogo geografico che dapprima appare disperato, specie se sei costretto a lasciare un clima mite e il più bel mare, poi inaspettatamente, piano piano, ti dà spazio per la tua creatività, il lavoro come crescita e soddisfazione. E non ricordi più l’idea che avevi prima della Brianza, una location cinematografica di un Tempi Moderni all’italiana.

La lingua italiana ne è la riprova di questo sodalizio intenso e saldo. Non il Dolce Stil Novo, non la Letteratura dei successivi 6 secoli e nemmeno così tanto la Tv generalista ci hanno fornito una lingua dell’uso delle classi medie, tanto quanto i nostri viaggi, i nostri cambi di residenza da Nord a Sud, fin nel cuore industriale italiano, maggiormente in centri come la Brianza. Siamo italiani e parliamo italiano perché siamo stati spinti ad abbandonare i nostri dialetti e le nostre credenze per abbracciare quelle nazionali emigrando noi al Nord e voi accogliendoci. Abbiamo iniziato a parlare con una grammatica comune e prendere in prestito e scambiarci tradizioni e termini dialettali reciprocamente, senza curarcene. Condividiamo, come italiani, termini come il campano mozzarella, il siciliano cannolo, il lombardo panettone … e lo facciamo come se fossero sempre stati vocaboli italiani che indicano referenti italiani e non regionali, come invece originalmente erano. 

E come è possibile questa naturale commistione? Grazie al viaggio. All’incontro, alla fiducia che come popolo abbiamo nutrito di trovare in un’altra regione, una casa simile o di costruircela. Ed ecco che la Brianza può divenire un pò Puglia, un pò Campania, un pò Calabria… 

Ogni uomo che ho incontrato per Vorrei in questo 2016 mi ha raccontato Milano e la Brianza partendo dal noto, dall’ovvio, dal luogo comune per regalarci, in fondo, un grande ribaltone: ogni volta questi luoghi sono stati una famiglia nuova che mai avremmo potuto credere. 

Non sempre condividiamo queste speranze e questa fiducia sia noi che in Brianza non ci viviamo e che abbiamo visto sempre con “griggiore” e forse nemmeno voi stessi, brianzoli, a volte un po’ stanchi e disincantati come ogni italiano che sogna orizzonti larghi e non si accontenta della routine locale. 

Gli uomini che ho incontrato per Vorrei hanno rinvigorito in me, come persona italiana, questa fiducia, questa speranza nazionale, e spero possano farlo anche in voi. 

Il viaggio è la nostra genesi, il viaggio il nostro arrivo, dal viaggio lasciamo e prendiamo le nostre località interiori per abbracciare una nazionalità umana nuova: fin dagli anni Sessanta, da quando mio padre partì dal Salento con le sue macchine levigatrici per lucidare i pavimenti degli uffici comunali di Monza, fino alle migrazioni di oggi di Paolo e di tutti gli insegnanti che imparano nelle scuole della penisola e continuano ad imparare nelle briantee con i vostri figli, con Simone, Giulio e Fabrizio, artisti che hanno toccato il sogno di Milano che li ha aspettati e rilanciati verso nuove capitali, e Gianpiero e tutti gli studenti che vi passano. 

Grazie a quei treni e a quei magoni che la nostra Italia parla, si riconosce, si forma.

Eccoci di nuovo per un altro anno carico di incontri e di viaggiatori che vivono, o hanno vissuto, o forse vivranno in Brianza.

Io stessa non so da quale scrivania scriverò tra un anno e voi da dove mi leggere, so che questa Vorrei nasce in Brianza ma cresce e viaggia nei cuori di lontanissime latitudini.

 

 Un anno di incontri: