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Intervista a Sergio Ferrentino sul suo audiodramma tratto dal testo di Dalton Trumbo, in programma al Franco Parenti di Milano dal 31 marzo al 3 aprile 2016

Quando soffiano venti di guerra, tornano a tormentarci angosciate le domande: che possiamo fare? possibile che non si riesca mai a prevenire? davvero c’è nel fondo dell’animo umano quello che James Hillman chiama “un terribile amore per la guerra”? O possono l’amore e l’attaccamento alla vita, insieme col sentimento della solidarietà fra gli uomini comuni, quelli che non hanno alcun interesse nel combattere i propri simili, contrastare questa maledizione ricorrente?

A proporci con forza queste riflessioni è, in una straordinaria trasposizione come audiodramma, E Johnny prese il fucile, l’unico romanzo scritto dallo sceneggiatore americano Dalton Trumbo e pubblicato nel 1939, due giorni dopo l’inizio della seconda guerra mondiale: un romanzo sul quale si sono formate le coscienze di tanti giovani antimilitaristi, specie negli anni della guerra del Vietnam; un romanzo così scomodo per l’interventismo americano che anche nel film biografico dedicato da J.Roach al suo autore (L’ultima parola, ancora in programmazione nelle sale), non vi si fa esplicitamente cenno; un libro che  ha subìto fin dalla sua comparsa molte vicissitudini, osteggiato e oscurato ad ogni nuova mobilitazione guerresca, perchè sembra ogni volta parlare del tempo che si sta vivendo:

Il monito brechtiano a riconoscere il vero nemico  quando si è chiamati a far la guerra prende vita in questo romanzo con la forza d’urto di una tremenda testimonianza

“Ricordatevelo bene voi patrioti voi seminatori di odio voi inventori di sloganSe ci direte di salvare la democrazia nel mondo vi prenderemo in parola e per dio e per la madonna lo faremo. Li useremo quei fucili che volete costringerci a usare li useremo per difendere la nostra vita… avremo i fucili e sapremo cosa farne e continueremo a vivere.”
Il monito brechtiano a riconoscere il vero nemico  quando si è chiamati a far la guerra prende vita in questo romanzo con la forza d’urto di una tremenda testimonianza: il titolo allude infatti non tanto all’inizio, quanto alla  conclusione della vicenda del protagonista, ovvero alla progressiva e terribile presa di coscienza di un giovane proletario americano ridotto da una devastante  esplosione, nell’ultimo giorno della prima guerra mondiale, ad un cervello che inopinatamente pensa e sente e sogna e ricorda dentro un cranio che non ha più un volto né organi di senso, tranne la pelle della fronte e del torso senza più arti che a quel cranio è legato mantenendone la sopravvivenza col respiro e il battito del cuore. Nel rendersi infine conto della propria intollerabile condizione, è quel suo stesso avanzo di mostruosa e dolorante fisicità che Johnny vorrebbe usare come arma di propaganda e di lotta contro chi ha preparato e determinato la sua sorte e  quella di tanti milioni di ragazzi che desideravano solo la vita. Vita talora faticosa e difficile, ma  della cui struggente dolcezza e irrinunciabilità può testimoniare davvero solo chi, come lui, è ormai fra i morti, pur potendo ancora pensare e a suo modo comunicare.

Da questo romanzo, lo stesso autore, famoso sceneggiatore hollywoodiano, pluripremiato nonostante il carcere subito durante le persecuzioni maccartiste, ha tratto, all’inizio degli anni ’70, un film da lui stesso diretto, che non ha forse la stessa forza del libro, ma che ha svolto anch’esso la sua parte nella diffusione di una coscienza antimilitarista. Spezzoni del film sono stati inseriti dai Metallica nel video One.

 Oggi, a riportare questo intenso e necessario testo all’attenzione del pubblico, e specialmente dei giovani, è Sergio Ferrentino, autore, regista e conduttore radiofonico, per RadioPopolare e la Radio Svizzera, nonché  creatore della Fonderia Mercury, “laboratorio di fusione e contaminazione di linguaggi”. Ferrentino ha adattato il romanzo di Trumbo per farne un  audiodramma, di cui cura anche  la regia, e che, dopo essere stato presentato al Festival  di Mantova nel 2014,e aver  concorso in rappresentanza  della TV e della Radio Svizzera al Prix Italia l’anno scorso, verrà rappresentato per la prima volta a Milano, al Teatro Franco Parenti, dal 31 marzo al 3 aprile. Non a caso, è prevista, il primo aprile, una matinèe per gli studenti, che oltre ad essere presumibilmente sensibili al tema, potranno trovare nei microfoni avveniristici e nella modalità di ascolto con le cuffie qualcosa di aprezzabile e familiare.

 

 

Un audiodramma non è semplicemente un radiodramma, si presenta sulla scena di un teatro: gli audiodrammi sono il frutto della fusione tra letteratura, radiofonia, teatro e web. Ma che significa? come si svolge un audiodramma? E perché, dopo una serie di storie originali di autori italiani contemporanei, per lo più specialisti di noir, proprio questo testo? Domande che fortunatamente ho potuto rivolgere allo stesso Ferrentino, iniziando proprio dalla scelta del testo.

Cosa c’è, nel romanzo di Dalton Trumbo, che ne fa un testo così attuale eppure così poco in evidenza?
“E Jhonny prese il fucile” è un romanzo che ha vinto dei premi prestigiosi, ma a causa del suo antimilitarismo è stato boicottato o ignorato già al suo apparire anche dalla stessa sinistra americana, che sosteneva il dovere di intervenire contro Hiltler. Nel dopoguerra Trumbo, che era iscritto al Partito Comunista, pensava che il suo libro potesse rinascere e affermarsi, ma fu stavolta la guerra di Corea a ricacciarlo nell’ombra, dalla quale riemerse solo per poco, fino all’inizio  di una nuova guerra, quella del Vietnam. Fu allora che pensò di riprendere il suo romanzo ”giovanile” curandone  da regista una versione cinematografica. Il film di J.Roach documenta, oltre alle vicende legate alla famigerata lista nera di Hollywood nel periodo maccartista, tutto il resto della sua attività nel cinema, come sceneggiatore di Exodus, di Vacanze Romane, di Spartacus, ma tace significativamente proprio sull’unico suo romanzo, l’opera con cui inizia la sua parabola, e sull’ unico suo film da regista, col quale chiude, a quasi settant’anni, la sua carriera.

Non le sembra però che in quella trasposizione cinematografica del ’71 la forza del messaggio risulti come diluita, indebolita
C’è da considerare il fatto che si tratta appunto di un’opera della vecchiaia, in cui vengono  messi in evidenza elementi autobiografici, come il rapporto col padre; e tuttavia questi, pur nella loro importanza, dovevano fungere da supporto al tema principale, quell’antimilitarismo che è costato e ancora costa un certo ostracismo al romanzo. 

Nell’ adattare il testo in forma di audiodramma, quali criteri ha seguito?
Il criterio generale è stato quello di dar forza al messaggio antimilitarista, mettendo in primo piano gli elementi forniti dal testo in questa direzione. Già la collocazione della vicenda nel contesto della prima guerra mondiale diventa un modo di per sé rappresentativo della guerra come carneficina, dell’uso degli uomini come carne da macello. “E Jhonny prese il fucile” è un libro che ho letto da giovanissimo e che mi ha spinto a diventare obiettore di coscienza in un periodo in cui non esisteva ancora la legge che  tutela questo diritto. Prima della metà degli anni ’70, l’obiezione di coscienza era una rischiosa forma di militanza: si bruciavano in piazza le cartoline e poi ci si doveva nascondere, perché si rischiava la galera come disertori; e c’erano gruppi, come quelli in cui militavo, che fornivano assistenza e supporto agli obiettori. Erano i tempi in cui don Milani era stato esiliato a Barbiana per le sue posizioni antimilitariste. E, pur modificandosi con la maturità l’intransigenza di dichiararsi contro la guerra senza alcuna sfumatura, appare ancora necessario opporsi senza tregua al militarismo. Poi la costruzione dell’immagine acustica, che è il metodo di rappresentazione proprio dell’audiodramma, impone alcune scelte…

 

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Ecco, l’audiodramma: anche Johnny, che pure è diventato sordo, ricostruisce nella mente una parte del suo passato a partire dai suoni, come lo squillo del telefono che gli annuncia la morte del padre. Quando accade che lei inizi a pensare che si possa non solo affidare esclusivamente alla dimensione sonora la rappresentazione di una vicenda, ma anche che questa costruzione si possa mostrare sulla scena, a teatro? Come nasce questa idea?
Tutto è iniziato nel 2001 alla scuola Holden di Torino, dove insegnavo. Avevo proposto agli allievi (fra i quali c’era Cristiano Cavina, che era entrato per sbaglio nell’aula e non ne era più uscito: gente brillante, insomma), di scrivere dei “corti” da rappresentare drammaturgicamente. Ne scelsi tre e feci un casting, per il quale arrivarono alcuni attori dalla scuola Paolo Grassi, pochi dal Piccolo, qualcuno dal Filodrammatici, ma soprattutto alcuni neodiplomati dalla scuola del Teatro Stabile di Torino, fra i quali c’erano Sax Nicosia, che attualmente recita proprio in E Johnny prese il fucile, Alessio Romano, che è stato per anni il coreografo di Ronconi, e Carmelo Rifici, che è considerato l’erede di Ronconi, dirige la scuola del Piccolo di Milano ed è direttore artistico del LAC di Lugano: tutti molto giovani allora, ed entusiasti nei confronti di una cosa che non era mai stata sperimentata. Era una mia idea, per la quale nutrivo una specie di ossessione e che ritenevo molto divertente e interessante. Fino ad allora mi ero molto divertito a fare i radiodrammi, soprattutto però quelli, per così dire,  in presa diretta. In realtà, per fare i radiodrammi in RAI si spendeva un sacco di tempo, mesi e mesi ben pagati ( non era, sfortunatamente, il mio caso.., io sono arrivato dopo): si poteva fare e disfare, tagliare, ricucire e così via. Prima del 2001 mi era capitato invece per RadioPopolare di allestire un radiodramma molto complesso, per il quale costruimmo anche delle scene in esterni, come al cinema: portare in strada i microfoni, rumori veri, movimenti veri, traffico vero. Molto divertente, eccitante. Allora decisi di  fare l’adattamento di uno studio come se fosse un luogo reale. Del resto quello che faceva Orson Welles con la sua compagnia del Mercury Theater era di trasferirsi, ancora truccato e in costume di scena, coi suoi attori, direttamente dal teatro alla NBC, dove veniva registrato il radiodramma. In tutto questo c’era già la suggestione della possibilità che la costruzione dell’immagine acustica potesse essere presentata come evento spettacolare.

Ma c’è anche una ragione funzionale, nel passaggio dal radiodramma all’audiodramma?
Beh, negli anni ’50 i mezzi di registrazione erano certo meno sofisticati, mentre oggi sono molto elaborati, capaci di prendere il suono in maniera molto più complessa. In ogni caso, però, trasmettere per radio vuol dire passare tanti filtri diversi, dall’antenna all’apparecchio di ricezione, tanti che l’ottanta per cento del lavoro di sfumature acustiche può andar perso nel risultato finale: perciò la soluzione ottimale per una soddisfacente costruzione dell’immagine acustica era di mettere tutti all’ascolto  in cuffia. Così nel 2001 proposi  per l’appunto a Baricco questa nuova modalità di rappresentazione dei racconti elaborati dagli allievi: nonostante una evidente perplessità, Baricco aderì al progetto, e questo significò far comprare al Teatro Gobetti di Torino, dove andò in scena quel primo esperimento, 250 cuffie un po’ più sofisticate di quelle per le traduzioni di cui loro disponevano, perché queste avrebbero tagliato gli alti e i bassi della traccia sonora, lasciando solo il parlato, impedendo cioè la costruzione di una immagine acustica più complessiva, coi suoni e le musiche. La serata fu trasmessa da Radio3 RAI e quello fu l’inizio di tutta l’operazione.

Che ha avuto, ovviamente, ulteriori sviluppi: quali?
L’audiodramma in realtà ha un senso quando viene scaricato dal web, perché normalmente quello che scarichi dal web lo ascolti in cuffia. In teatro si va per effettuare la registrazione, dopodiché, se quella registrazione è venuta bene, quello è anche uno spettacolo che può essere replicato. Siamo andati, a suo tempo, al Teatro Elfo, per registrare qualcosa che poteva essere replicata, ma soprattutto trasformata in podcast da ascoltare sul web. Venire poi a teatro per assistere alle repliche ha un senso perché è divertente e interessante vedere il palco trasformato in studio radiofonico, assistere in diretta alla costruzione dell’immagine acustica. Non sarebbe forse interessante riassistere alla costruzione della Guerra dei mondi di Orson Wells? Per i sessant’anni di Beckett, Pinter gli regalò la realizzazione per la BBC di un suo radiodramma scritto vent’anni prima!

In scena per questo suo settimo audiodramma ci sono tre attori. Quali sono i loro ruoli? Come contribuiscono alla rappresentazione? E, per tornare all’adattamento, attraverso quali scelte, quali soluzioni tecniche e drammaturgiche,  si costruisce la vicenda?
Uno dei tre attori è il personaggio, gli altri principalmente provvedono alla parte legata ai suoni e ai rumori, attraverso cui si costruisce la narrazione. La parte visiva viene tutta adattata, evitando la rievocazione affidata solo alle parole, anche se ci sono alcuni flash back. Si rappresenta quel che va accadendo al protagonista, quel che lui va scoprendo della sua condizione, in diretta, in prima persona. Ci sono tre livelli differenti di recitazione: quello del pensiero, che ha delle caratteristiche precise, perché il pensiero non ride, non ha sforzo, non soffre, il pensiero non urla, è molto statico nella sua rappresentazione; c’è il livello dell’incubo, che è invece quello delle sensazioni forti, quello in cui succede di tutto e  la coscienza di quel che accade è esasperata, e poi c’è quello dell’emergere della memoria, il flash back, che viene restituito dalla recitazione più consueta.

 

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L’impressione è che questo sia uno dei testi più adatti a questo genere di trasposizione!
Assolutamente sì. Ma anche uno dei più difficili: dal momento che tutto si svolge al livello della mente del protagonista, il rischio è quello che diventi un eterno monologo. La rappresentazione del pensiero nel suo reale fluire è molto complicata: non si possono  omettere sempre i passaggi che pensando evitiamo di formulare, né si possono sempre renderli espliciti per facilitare la comprensione. Ed è difficile anche perché, mentre  il romanzo si avvale anche della terza persona, come voce fuori campo, in questo audiodramma la narrazione esterna manca del tutto.

Qual è in questo genere di rappresentazione la funzione del regista? Anche la regia si svolge in diretta?
Trattandosi di suoni, c’è una sorta di direzione d’orchestra che effettivamente si svolge sul palco. Il regista dà il tempo sia agli attori che al tecnico del suono. Il mixaggio sonoro viene fatto inevitabilmente di volta in volta. C’è infatti una serie di fragilità in questa costruzione: la prima è il rapporto tra parlato, musica e rumore, che devono essere armonizzati; altrettanto fondamentale è gestire  il parlato e i rumori in relazione al microfono: gli attori dipendono dalla segnalazione del regista per avere il feedback sulla giusta distanza, oltre che sul ritmo, perché la distanza è decisiva, dall’avvicinarsi o allontanarsi del suono dipende la ricostruzione dei movimenti.

Come accade a Johnny, che ricostruisce attraverso le vibrazioni la presenza e i movimenti delle persone nella sua stanza..
Già, infatti potremmo dire che questo è un testo per non vedenti.. Ma c’è di più: come abbiamo constatato dopo le prime registrazioni fatte in un auditorium della Radio Svizzera dove in passato si effettuavano le registrazioni della Deutsche Grammophone, tecnicamente perfetto, quindi,  il microfono binaurale (quel casco che gli attori indossano e che permette una ricezione a 360 gradi di tutto il campo sonoro: ndr)  restituisce un suono diverso perfino in relazione al diverso spessore del vestiario degli spettatori. E’ perciò che la costruzione dell’immagine sonora è ogni volta uno spettacolo dal vivo molto interessante.

 

E Johnny prese il fucile
Teatro Parenti, Milano, 31 marzo 3 aprile 2016
www.teatrofrancoparenti.it

Orari
giovedì ore 21.00; venerdì ore 19.30; sabato ore 20.30; domenica ore 15.30
Orario scolastiche: venerdì 1 aprile ore 11.00
Biglietti
Biglietti Intero 25€ under26/
over 60 14€
prevendita 1,50€
Tel : 02 59 99 52 06; biglietteria@teatrofrancoparenti.it

 

Gli autori di Vorrei
Carmela Tandurella
Carmela Tandurella

Se scrivere è “scegliere quanto di più caro c'è nel nostro animo”, ecco perchè scrivo prevalentemente di letteratura. Storia, filosofia, psicologia, antropologia, tutte le discipline che dovrebbero farci comprendere qualcosa in più della nostra umanità, mi sono altrettanto care, ma gli studi classici, la laurea in filosofia, anni di insegnamento e una vita di letture appassionate mi hanno convinto che è nelle pagine degli scrittori che essa si riflette meglio. Il bisogno di condividere quello che ho letto e appreso, che prima riversavo nell'insegnamento, mi ha spinto ad impegnarmi prima con ArciLettore, poi, dal 2013, con Vorrei, del cui direttivo faccio parte. Da qualche anno sono impegnata anche nella collaborazione alle pubblicazioni e alle iniziative del Comitato Antifascista di Seregno e del Circolo Culturale Seregn de la memoria, di cui sono attualmente vicepresidente.Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.