Da 583 giorni, da quando ha scoperto il suo talento artistico, Gianluca Limonta procede incessantemente e a tappe spedite in un percorso di auto conoscenza e conoscenza di se e del mondo che gli sta intorno, trovando nel processo di creazione artistica uno strumento di piacere da concedersi e da donare agli altri
Raggiungiamo la Cascina Grande di Campofiorenzo, distante pochi chilometri da Monza, in breve tempo. Si tratta di una delle cascine più grandi d'Italia e, insieme alla non lontana Cascina Masciocco di Camparada, è una delle più suggestive del territorio collinare a confine tra la Provincia di Lecco e quella di Monza e Brianza
Già nella strada in salita verso Lesmo si avverte la percezione prepotente di uscire dalla gigantesca e asfissiante cappa della metropoli milanese, di compiere una prima liberazione, mettendosi alle spalle il caos, il traffico e lo stress. Si intuisce che l'artista che andiamo a intervistare ha avuto un ottima idea: andare ad abitare in una bella cascina storica, non certamente in un ambiente di lusso, ma in un contesto dove ancora si respira quell'aria di corte, di relazioni dal sapore paesano e umano e per questo di per sé possiede un lusso altro, una ricchezza relazionale ormai rara nel contesto densamente urbanizzato da dove proveniamo.
Entriamo nella casa che ha la porta, come tutte le altre, direttamente nella corte e incontriamo la seconda liberazione della giornata incarnata in Gianluca che ci accoglie e ci guida nella sua abitazione, disposta su due livelli e trasformata quasi completamente in un laboratorio artistico. E' un piacere non facilmente descrivibile a parole. Ci si sente dentro in un luogo storico, debitamente ristrutturato e insieme si coglie la sensazione di essere entrati in uno spazio modernissimo. Questo è l'effetto che si riceve essendo circondati ovunque, in ogni lato delle pareti da opere di forme e dimensioni diverse.
Cascina Grande di Campofiorenzo - Foto di Pino Timpani
Gianluca Limonta
Iniziamo con la presentazione?
Sono nato a Lecco e vissuto in Brianza. Mi sono sposato, ho avuto due figlie. Inizialmente ho abitato ad Arcore con la famiglia, per poi spostarci qui a Campofiorenzo. Alcuni anni fa mi sono trasferito a Chiavari in Liguria, da cui sono ritornato lo scorso anno. Mi occupo di ristrutturazioni nel campo edilizio. Da un anno e mezzo ho iniziato a dedicarmi all'arte producendo opere mie, non seguendo correnti artistiche ma comunque attingendone dal livello inconscio: il vedere e avere conoscenza dell'arte lascia in ogni caso tracce nel nostro profondo che poi in qualche modo riemergono in determinate circostanze, quando si è alla ricerca di espressività.
Di che ristrutturazioni ti occupi esattamente?
Edilizia di interni. Ho una clientela che ricerca lavori particolari, di rifinitura di un certo livello, stucchi e decorazioni varie. Probabilmente la pulizia, la ricerca delle forme geometriche e le simmetrie di cui faccio uso nelle opere derivano dal lavoro che svolgo.
Ha frequentato una scuola specifica?
No, ma ho avuto la fortuna di incontrare e frequentare nel tempo diversi architetti di buon livello. Questo mi ha aiutato ad acquisire esperienze e affinare la professionalità che poi ho provato a trasmettere nelle creazioni artistiche.
La tua vena artistica prende avvio da queste esperienze?
In realtà ho una lunga attività nel campo della fotografia.
Da quanto tempo?
Da quando ero giovanissimo. E' una passione che nel corso degli anni ho perfezionato. Ho in serbo anche in questo ambito un progetto da realizzare, spero, a breve. La mia arte ha un'attinenza intuitiva con l'arredamento, il lavoro che faccio, come accennavo prima, è una fonte di stimoli e di ricerca: il trovarsi spesso davanti a pareti spoglie, mi pone domande di come dargli un aspetto accogliente e rilassante in cui trovarsi a proprio agio. Così ho provato a immaginare di arredarle con mie opere e, piuttosto che con stili figurativi che non mi appartengono, intervenire con elementi minimali ed essenziali.
Gli stimoli nascono dall'idea di arredare?
Più che arredare, nel senso lato del dare piacere a chi entra in casa e provare a rendere confortevole la permanenza in essa. Lo spunto iniziale è nato quando ero in Liguria, possiamo dire per caso, giocando con il silicone, uno degli elementi che uso nel lavoro: ho provato a stenderlo su un pezzo di carta e a ricavare linee controllate. Il giochino è proseguito e si è arricchito con la ricerca di ulteriori variabili, tanto che la mia compagna di allora che aveva una predisposizione sensitiva per l'arte, essendo nata in una famiglia di artisti, mi ha incoraggiato a esplorare e a fare emergere la dote che aveva visto in me. C'è stata una ricerca continua di sperimentazione delle tecniche, sono partito dall'uso dei siliconi, materiali che mi sono sempre piaciuti e sono passato ad accostarli ai colori acrilici. In questo modo ho inserito un elemento moderno, come il silicone, nella tecnica dell'uso di materiali più convenzionali, come i colori acrilici, generando una mescolanza di legame tra elementi che non legano ma tuttavia insieme producono effetti sorprendenti.
Sono materiali difficili da usare?
I tempi di lavorazione sono veloci: il silicone ha un indurimento rapido. L'esperienza permette la manipolazione più efficace dell'elemento, il capire come, quanto e dove usarlo per raggiungere l'effetto desiderato. E' una continua ricerca.
Gianluca Limonta - Foto di Pino Timpani
Le tue prime opere hanno avuto impulso nell'idea di dare un senso allo spazio, possiamo dire così?
Si. I primi lavori, quelli che hai fotografato all'inizio, sono le sperimentazioni della mescolanza con i siliconi e hanno una piccola traccia di figurativo, linguaggio che non mi apparteneva e per questo mi sono spinto a ricercare qualcosa di diverso, come dicevo prima, a raggiungere uno stato espressivo di geometria e pulizia. Stiamo parlando del 2017. In quel periodo mi era capitato di visitare la mostra di Walter Valentini, un artista novantenne famoso per l'utilizzo delle carte. Questa visione è stata per me un riscontro a quanto mi sentivo di esprimere, perché non avevo mai considerato l'idea di intraprendere la pittura o l'arte delle installazioni. La mia passione fino ad allora erano gli scatti di fotografie artistiche. E' stato un qualcosa di inaspettato: a 50 anni è scattata, così, d'improvviso, una nuova passione. Solo qualche tempo prima non avrei immaginato.
In 583 giorni ho prodotto una mole di creazioni che generalmente un artista produce in 5-10 anni. Opere del tutto singolari, non riprodotte in serie o a stampo
Ci sei entrato, guardando le opere qui esposte, con un notevole impegno e determinazione?
Ho avuto la fortuna di ricevere incoraggiamento e motivazione dalle persone che avevo intorno e che vedevano i primi lavori. In particolare dalla mia compagna e dagli amici. In 583 giorni ho prodotto una mole di creazioni che generalmente un artista produce in 5-10 anni. Opere del tutto singolari, non riprodotte in serie o a stampo. Mi ci sono gettato a capofitto, lavorando in ogni momento disponibile, anche di notte. Studiando, sperimentando e facendo tesoro delle scoperte.
Ha esplorato un altro “mondo”?
Hai colto il concetto. Si, dedicandoci così tanto tempo, ci si sposta in un'altra dimensione, quello del proprio mondo interno, in cui la pratica creativa diviene anche terapeutica. Quando si entra in questo modo, ci si dimentica dell'esterno e a un certo punto si può arrivare in uno stato di coscienza estatico dove si può venire a contatto diretto con il linguaggio del nostro essere più profondo. Non cancello del tutto il presente, non sono a livello di chi si annulla completamente nell'arte. Bisogna dire che in questo tipo di percorso sono stato in parte aiutato dal risiedere in Liguria, territorio per me nuovo e un poco chiuso alle relazioni. Ci sono però anche delle ricadute non proprio soddisfacenti sul piano relazionale: l'arte è un sacrificio e richiede di concentrare gran parte del tempo disponibile nelle ricerche creative “quando ti chiama”, ma ha per conseguenza il sottrarne spazio alle relazioni con gli altri. Questo complica in parte l'esistenza sociale in generale e anche, purtroppo, nel livello amicale e parentale. Provo in ogni caso, pur nella diminuzione degli spazi relazionali, a mantenere forti i legami e gli affetti, sia con gli amici più cari che con le mie figlie.
Sono in un sogno: in casa mi sono privato del divano e della televisione, il mio tempo è dedicato all'arte, senza concedere posto a diversivi e alienazioni
Quando hai esposto in pubblico la prima volta?
Nel 2018: ho fatto parte del Borgo dei pittori e del Club "le Arti si Incontrano", due associazioni di Santa Margherita e Chiavari, partecipando a una mostra collettiva itinerante nei cinque comuni del circondario, dove ho conosciuto Giovanna Poggi pittrice che da subito, come dice lei, ha visto la mia determinazione verso l’arte. Ora la mia produzione sta avendo un'evoluzione: la ricerca continua mi porta a essere sperimentatore incessante, introducendo nuovi materiali come per esempio la carta pregiata, la carta di cotone, la carta di lana, la carta riciclata ecc. Inserisco anche elementi come i metalli di recupero, provando a ridargli valore con il riuso nell'arte che poi è una filosofica condivisa da altri artisti. Il riscontro e l'apprezzamento di molte persone è anch'esso un ottimo stimolo a impegnarmi, appezzamento ritrovato anche qui nel territorio di Casatenovo, dove sono ritornato a vivere e in particolare da Danilo Momentè e che mi ha portato a realizzare il mio primo bronzo e mi segue per mano in questo lungo cammino. Ho voluto rappresentare una figura seduta, un omino che comunica nella postura un messaggio: se vivi un sogno, non ti sedere. E' lo stato d'animo che vivo attualmente. Sono in un sogno: in casa mi sono privato del divano e della televisione, il mio tempo è dedicato all'arte, senza concedere posto a diversivi e alienazioni.
Non ti piace il figurativo? Rembrandt non va bene?
Va benissimo. Mi piace, mi piacciono i quadri di Caravaggio, di Chagall e tanti altri, però non mi appartiene quell'arte.
Per le forme espressive?
Per l'espressività e per la capacità di esecuzione. Non penso nemmeno ad approcciarmi. Per ora. Però, ripeto, come sono partito dalla banale stesura di strati di silicone e ora sono arrivato al bronzo, non escludo nel futuro di cimentarmi. Non è una cosa che scegli. Lavoro molto con il nero. Nelle ultime opere mi sono scostato e ho iniziato a usare anche il bianco. Il colore porta con se una raffigurazione degli stati d'animo, il nero ha una valenza precisa, ma nel mio caso in realtà il suo uso è dettato, più che da una scelta intenzionale o razionale, da una relazione naturale interna con l'esterno, dal libero trasmettere dell'inconscio. Il nero è comunemente associato alla tristezza. Probabilmente in questo ultimo anno e mezzo non ero molto sereno e ora l'apertura verso il bianco, per quel poco che so, potrebbe significare il desiderio di uscire da quella situazione. Non sono così preparato per darne una spiegazione puntuale o scientifica.
Potrebbe essere la ricerca di una via di fuga del mondo interno?
Può essere. Il nero ha anche altri significati, a volte positivi, essendo l'insieme di tutti i colori. In una delle ultime opere ho concepito un'idea di unione: sono disposti nove fogli di carta nera e in ognuno emergono, accennati, tratti dei tre colori primari (blu, rosso e giallo) come a significare un cambiamento in corso e il ristabilirsi di un equilibrio che va dall'insieme di tutti i colori, il nero, verso i singoli colori, passando da quelli primari e arrivando a tracciare segno dopo segno i colori secondari, terziari e via via fino l'infinito. Il concetto di unione lo riprendo sempre più assiduamente nelle ultime opere che hanno come denominatore un progetto di insieme in cui vado a prendere il meglio dalle opere che creo, sacrificandone una parte, e ricomponendole in un pannello quadrato 100x100.
Perché sacrificare?
Vado a estrarre ciò che mi interessa. Quello che trovo più bello di ogni singola opera e ricomporlo in un quadro più complesso dove si fondono sinergicamente.
Gianluca si alza, si dirige verso un armadio ed estrae da uno dei cassetti un gruppo di fogli (ndr)
Ecco, ho i cassetti stracolmi di lavori, di progetti iniziati, sospesi e poi ripresi. Non si può dire che il lavoro che svolgo sia leggero, anzi, a volte è assai faticoso. Mi sveglio alle sei del mattino, il più delle volte lavoro a Milano e oltre a opere di imbiancatura e muratura, eseguo lavori di idraulica e altro. Eppure, quando torno a casa, in quello che è il mio laboratorio, scompare la stanchezza e posso trascorrere diverse ore a dedicarmi esclusivamente all'arte, dimenticandomi del tempo. Entro in una dimensione in cui le funzioni vitali passano in secondo piano. Per esempio posso sentire la necessità di magiare anche dopo mezzanotte.
Non è pericoloso per la salute?
No. Conservo la percezione del corpo, altrimenti sarei autolesionista. Ho raggiunto un ottimo equilibrio, una simbiosi tra corpo e mente. Nell'esposizione che sto facendo, potrebbe sembrare che sia dedito a tour de force estenuanti. Ma non è così. Durante il giorno eseguo un lavoro professionale apprezzato dai miei clienti. Il livello di impegno e alto, la corda è tirata quasi fino al limite, ma non lo supero mai. Anche perché nel lavoro professionale, che peraltro faccio con piacere e passione, trovo stimoli importanti che poi riporto nel mondo artistico. Le due attività si intrecciano l'una con l'altra, si danno una mano, vivono di reciprocità.
Hai trovato un equilibrio di compensazione?
Direi di si. Certo mi piacerebbe dedicarmi in modo esclusivo all'arte, perché, pur non essendo in contraddizione le due attività, quella professionale mi sottrae una quantità di tempo che preferirei dedicare all'arte. Mi riferisco a quel lato burocratico, il dover disbrigare preventivi e contabilità. Il processo creativo per me ha la finalità di donare piacere a se e agli altri. Ma è anche comunicazione, quindi non credo possa procedere senza relazioni con gli altri, chiudendosi in casa ed estraniandosi dal mondo. Mi aiuta molto l'aver scoperto un metodo, il pensiero laterale che applico quotidianamente.
Foto di Pino Timpani
Cos'è il pensiero laterale?
E' un approccio diverso ed efficace per affrontare i problemi: invece di vederli secondo uno schema sequenziale, li si inquadra cambiando angolazioni visuali.
Come lo hai scoperto?
Per caso. Leggendo un servizio, penso di Focus, ma non ricordo bene. Poi ho approfondito e acquistato il libri dell'autore, Edward de Bono. A dire il vero già mettevo in pratica alcuni concetti in modo inconsapevole. Dopo aver letto i libri è diventata una pratica metodologia fondamentale. Il concetto centrale, cioè di non vedere la realtà come se si fosse dentro una scatola chiusa, ma provare ad uscirne e guardarla dall'esterno con occhi diversi, è alla base di un nuovo e grande progetto a cui sto lavorando.
Che progetto è?
Sulla porta c'è una foto che riprende il prototipo della “Scatola”, appeso qui davanti a noi, riposizionato virtualmente in uno spazio aperto qui vicino. E' un progetto ambizioso di un'istallazione che ho intenzione di proporre all'Amministrazione e alla comunità di Casatenovo.
Dove si trova esattamente lo spazio per l'installazione?
Poche centinaia di metri più avanti. Il terreno è visibile dalla strada provinciale.Il prato si trova scendendo verso Lesmo, in corrispondenza del ristorante Sanmauro. E' una superficie di alcune centinaia di metri quadrati, mi pare la location più naturale per “La Scatola”. Oltre al limite della fascia boschiva si estende un vasto territorio agricolo. E' un paesaggio molto bello.
Di chi è la proprietà del terreno?
Dovrebbero essere i proprietari della Simmenthal.
Agire in un luogo solitario, vergine, non toccato, delle volte anche trascurato, non può che valorizzarlo. La “Scatola” è un progetto specifico per quel determinato luogo
Ho capito. Lo spazio che descrivi si estende in un vasto territorio in cui coesistono il Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone e il Parco dei Colli Briantei. Da diversi anni ci siamo adoperati, come associazioni ambientaliste locali, per dagli unitarietà e vincoli di preservazione più forti. In particolare a Casatenovo si è spesa molto l'Associazione Valle Nava, fondata tra gli altri da Alfio Sironi che è uno dei soci fondatori della nostra rivista, Vorrei. L'idea di installare la scatola mi pare suggestiva, come se si volesse liberare il concetto di pensiero laterale nella natura ancora non compromessa dall'urbanizzazione. Sbaglio?
No. Agire in un luogo solitario, vergine, non toccato, delle volte anche trascurato, non può che valorizzarlo. La “Scatola” è un progetto specifico per quel determinato luogo ed è stimolo per la creatività e la percezione sensoriale di ognuno di noi che la vede. Non è nient’altro che una scatola, ma nello stesso tempo il suo aspetto banale, la semplicità della sua forma, viaggia in parallelo con la complessità dell’esperienza. Quest’ultima è difatti duplice. Se immaginiamo di essere chiusi in una scatola, lì dentro la nostra visione del mondo è unica e la conoscenza resta vincolata al solo contenuto dell'involucro. Se però la apriamo e usciamo, vediamo le cose da un’altra angolazione e ne osserviamo probabilmente un numero maggiore. Qual è dunque il fine? Pensare fuori dalla “Scatola”. Cambiare abitudini. Osservare i problemi in maniera differente. La “Scatola” può essere quindi interpretata come espressione fisica dell’essenza di una “Scatola” che si apre nell’ambiente in cui viene posizionata e dove lo spazio interno e luogo circostante si fondono in una struttura che, oltre a valorizzare un luogo abbandonato, indaga e fa indagare su quanto accade intorno a noi e dentro di noi, ogni citta dovrebbe avere la propria scatola.
La "Scatola" - Foto di Pino Timpani
Che dimensione ha questa installazione?
Cinque metri per cinque.
Hai un'idea di quanto costi?
Credo intorno alle otto\dieci mila euro: in qualità di artista non pretendo nulla, il mio vuole essere un dono al territorio. Mi basta che sia riconosciuto e con questo la mia esperienza artistica, che ho provato a narrare in questa intervista, diventi un patrimonio utile alla comunità. Il costo è dunque materiale: il legno, ho previsto l'uso di lamellare e il montaggio che va eseguito per forza con una gru. Sono circa 5 mila euro di legno; più di mille euro per la gru: si può montare un solo lato a terra ma tutti gli altri vanno costruiti e poi assemblati sul posto; infine il rimanete costo va alla verniciatura del legno e alla messa in opera.
Perché proprio il legno e non altri materiali?
E' l'elemento naturale che più si integra al luogo e al concetto dell'opera. Il colore rosso caldo vuole dare un segnale forte e si sposa perfettamente con il verde naturale e il blu del cielo. Vorrei chiudere questa intervista ringraziando in particolare Bri per tutto quello che mi ha dato. Se ora esiste un artista in me è grazie a lei. Un ringraziamento di cuore va anche verso tutte le persone che mi sono vicine e credono in me. Ho riscontrato in questi miei primi passi da artista che l’arte ha una forza immensa: ti mette a contatto con persone davvero speciali. L’arte e dentro in ognuno di noi, qualsiasi arte sia, dobbiamo solo avere il desiderio di liberarla
Chi è Gianluca Limonta
Nasce a Lecco il 26 ottobre 1968.
Artigiano per passione, opera nel settore edile della ristrutturazione d’interni.
Da sempre appassionato di fotografia, lavora agli inizi della sua carriera nella ricerca e nella sperimentazione delle peculiarità delle istantanee, utilizzando carte pregiate per dar valore aggiunto al risultato finale.
Il passaggio alla pittura è dietro l’angolo. Le varie sperimentazioni lo incuriosiscono al punto da iniziare a manipolare la materia direttamente con le sue mani.
Tra il 2017 e il 2018 si dedica completamente alle sue creazioni, giungendo a realizzare un numero straordinario di opere, tutte accomunate dalla ricerca di supporti particolari e tecniche originali.
Lavora nel suo studio a Casatenovo, sede della prima personale dell’artista a partire dal 28 giugno 2019.