La ragione che spinge a capire come ha fatto Matera ad essere proclamata capitale europea della cultura peri il 2019 sta nel rispondere a questa domanda: perché Matera sì e Monza no?
MATERA.
A mio parere il caso di Matera rientra, sia pure su dimensioni micro, tra i cambiamenti e le eccezioni che vedono un territorio, prima depresso e costretto in un contesto negativo, fiorire e divenire un centro di attrazione. Al contrario di ciò che si verifica in altri territori, che dopo un periodo di fulgore decadono nella insignificanza.
Pensiamo ai paesi emergenti dal sottosviluppo, come Cina, India e Brasile; all’Irlanda, una volta tra i paesi più poveri d’Europa e ora tra i più ricchi, e al caso opposto dell’Argentina; al fiorire di Torino e al crollo di Detroit, pur essendo state investite ambedue dalla stessa rivoluzione tecnologica del settore automobilistico; alla vitalità di Milano e ai problemi di Roma; allo sviluppo di molti stati africani contrapposto all’inedia di altri. Le cause di questi cambiamenti epocali sono oggetto di studio, ma con risultati incerti. Ne ho parlato a suo tempo su questa rivista, commentando gli scritti di Angus Deaton ed Enrico Moretti.
Io non credo alla fatalità o al caso. Credo piuttosto al detto secondo cui le cose viaggiano sulle gambe degli uomini. E credo anche alla tesi della sociologa Margaret Mead, secondo cui le grandi cose nascono per lo più da piccoli gruppi. Ma credo anche che se intorno ai promotori non si crea una partecipazione collettiva, difficilmente esse si traducono in realtà.
Vediamo a questo punto come si è arrivati alla proclamazione di Matera come Capitale europea della cultura.
Oggi Matera è nota in tutto il mondo per i Sassi. Ma com’è altrettanto noto, fino ai tempi in cui Carlo Levi, confinato dal regime fascista in Lucania (terra di lupi, come si chiamava allora la Basilicata), i Sassi erano considerati una vergogna, abitazioni malsane dove gli uomini convivevano allo stato brado con gli animali.
Qualcosa è cambiato nel dopoguerra. Un cambiamento che ha portato alla inclusione di Matera, nel 1993, tra i beni patrimonio dell’umanità dell’Unesco.
Questo riconoscimento aveva radici lontane. Dopo la riforma agraria del 1948 Adriano Olivetti, imprenditore e umanista fondatore del Movimento di Comunità, coinvolse uomini di cultura locali, nazionali e internazionali con diverse competenze, scientifiche e umanistiche, in una operazione urbanistica che trasferiva una parte degli abitanti dei Sassi in un sistema di villaggi (“la Martella”) di concezione razionalista, prossimi alle terre assegnate dalla riforma, e nello stesso tempo risanava i Sassi per renderli civilmente fruibili dagli abitanti rimasti.
Altri personaggi gravitavano su Matera, vissuta come un topos dei problemi e dei valori del Sud: da meridionalisti come Manlio Rossi Doria a poeti impegnati nelle lotte civili del Sud come Rocco Scotellaro, al cui nome sembra aver voluto rendere omaggio Luchino Visconti con il film “Rocco e i suoi Fratelli”.
Nel 1965 Pier Paolo Pasolini scelse l’agro materano per il suo “Vangelo secondo Matteo”.
E’ ragionevole pensare che gente del luogo e visionari esterni abbiano insieme avvertito che i Sassi costituivano una realtà assoluta di vita e di lavoro integrati con l’ambiente naturale, consolidata e sempre vissuta nel corso dei millenni, di cui Matera è depositaria. E che fanno di Matera un riferimento diverso, unico rispetto all’identità di altre città.
Tutto ciò ha costituito il trampolino di lancio per la candidatura a capitale europea (sostanzialmente universale!) della cultura per il 2019.
Ma il percorso è stato lungo e accidentato: per arrivare a questo risultato nel 2019, si è partiti sin dal lontano 2009 con una proposta informale di candidatura. Si trattava poi di competere con città come Siena, Perugia, Ravenna, Lecce, Cagliari.
Si è puntato su quattro linee d’azione: 1) il coinvolgimento di tutte le istituzioni; 2) la creazione di una struttura eccellente, di livello internazionale, dal punto di vista sia culturale che gestionale; 3) la mobilitazione della cittadinanza; 4) l’acquisizione di sponsorship di dimensione nazionale.
In ogni contesto territoriale esistono rivalità e contrasti: In Basilicata sono tradizionali quelli tra il capoluogo della regione, Potenza, e Matera. Si è capito che la candidatura di Matera non doveva essere “contro” qualcuno o esclusiva. L’iniziativa ha quindi coinvolto tutti i livelli di governo, dalla Regione Basilicata, a Potenza, a tutti i comuni lucani, includendo anche frange delle regioni limitrofe, Campania e Puglia.
E’ stata costituita, nel 2014, la Fondazione Matera-Basilicata, con un comitato scientifico e una struttura operativa.
Della Fondazione sono stati chiamati a far parte la Regione, la Provincia e il Comune di Matera, il Rettore dell’Università della Basilicata, il Presidente della Camera di Commercio.
Per il Comitato Scientifico sono state scelte persone con curricula di livello internazionale: Doris Pack, già Presidente della Commissione Cultura e Istruzione del Parlamento Europeo; Robert Palmer, direttore delle manifestazioni di Glasgow e Bruxelles, precedenti capitali europee della cultura; Riccardo Luna, coordinatore dell'Innovation Advisory Board dell’Expo 2015 di Milano, esperto di sistemi digitali, collaboratore di Wired; Felice Limosani, esperto di design e digital storytelling, autore di installazioni al Louvre, a Palazzo Strozzi, a Barcellona, a Londra.
Ma la decisione più impegnativa riguardava il direttore responsabile della candidatura. La scelta cadde su Paolo Verri, il cui curriculum è caratterizzato da ruoli di grande responsabilità gestiti con successo, che vanno dalla direzione del Salone Internazionale del libro di Torino e della Fondazione Atrium avente come scopo la trasformazione della città di Torino, all’organizzazione delle XX Olimpiadi invernali, alla direzione del Comitato Italia per i festeggiamenti del 150esimo dell’Unità.
Alla preparazione della candidatura sono state chiamate a collaborare in diverse iniziative tutte le organizzazioni volontaristiche della città e degli altri comuni della provincia, sostanzialmente tutti i cittadini, in una logica inclusiva, ottenendo una risposta altamente motivata.
Su queste basi si è riusciti ad ottenere importanti sponsorship nazionali, come quelle di TIM, Intesa S. Paolo, ENEL, FS.
Il dossier con il quale Matera si è presentata al giudizio dei selezionatori è un documento di 120 pagine, che esordisce così: «I cittadini di Matera e della Basilicata, uomini e donne, anziani e bambini, candidano la città e la regione a Capitale europea della cultura, perché intendono aprirsi all’Europa e confrontarsi con gli abitanti culturali di tutto il continente e immaginare insieme a loro il futuro delle nostre comunità». Lo slogan è: “Open Future”. Il documento descrive poi con ricchezza di argomenti il progetto, caratterizzato dalla visione di una Matera dotata di una forte e unica identità, ma aperta al mondo, e da contenuti ambiziosi ma argomentati nella loro realizzabilità. Tra questi spiccano un “archivio degli archivi” denominato “I-DEA” (Istituto Demo-Etno-Antropologico), per «una grandissima esibizione sempre viva»; e una “Matera School of Design”, per valorizzare attività industriali e artigianali già presenti in Basilicata e nelle regioni limitrofe, promuovendone la proiezione internazionale. Sono programmate 5 grandi mostre, 50 produzioni originali, 1500 appuntamenti.
L’investimento complessivo delle istituzioni pubbliche che hanno promosso e consentito la realizzazione del progetto è di circa 50 milioni di euro.
MONZA
A questo punto veniamo a Monza. E’ evidente che la realtà di Matera è molto diversa da quella di Monza. Non so perché mi viene da dire, parafrasando Dante: «Modaetia mia, ben puoi esser contenta, di questa digression che non ti tocca, tu ricca, tu con pace, tu con senno».
Altri confronti potrebbero apparire più appropriati: ad esempio con il recupero della Reggia di Venaria Reale, ridotta in condizioni ben peggiori della Villa Reale e del Parco di Monza e molto meno significativa dal punto di vista storico; o il restauro dei giardini del castello Trauttmansdorff di Merano, con una storia di abbandono parallela a quella della Villa e del Parco di Monza (perché anch’essi monumento asburgico, affidati, all’inizio dello scorso secolo all’Associazione Combattenti e Reduci), prima ridotti ad orti in affitto e ora magnificamente restaurati, pluripremiati a livello internazionale e meta di visitatori da tutto il mondo.
Ma la sostanza è la stessa, e consiste nell’esistenza o meno di condizioni riconducibili al fattore umano, alle forme istituzionali a cui dà vita, alle èlites e al sentire della popolazione, all’apertura o chiusura verso l’esterno.
Come ho cercato di mettere in luce in diversi articoli di questa rivista, Monza possiede valenze storiche, estetiche, economiche di primaria importanza: che vanno dall’essere stata una delle capitali del Regno Longobardo, proclamata intorno all’anno mille, come ricorda il suo stemma, “Sede del grande regno d’Italia”, colonna, insieme al Regno di Germania, del Sacro Romano Impero; all’essere depositaria della Corona Ferrea, cinta da decine di imperatori, da Carlo Magno a Carlo V a Napoleone; all’ospitare l’”Imperial Regia Villa e Parco di Monza” (come veniva definita nelle mappe dell’ottocento), una delle regge europee, asburgica. napoleonica e sabauda, più rilevanti dal punto di vista architettonico e paesaggistico. E inoltre, dell’essere stata all’avanguardia della prima rivoluzione industriale in Italia, ed essere tuttora un centro economico tra i più floridi e capaci d’innovazione.
Ma ripercorrendo i fattori che hanno consentito a Matera di vincere (cooperazione tra le istituzioni, vasta mobilitazione della popolazione, struttura organizzativa e culturale di dimensioni internazionali, sponsorship), mi sembra che Monza presenti gravi e persistenti punti di debolezza.
Per quanto riguarda le istituzioni, naturalmente la Lombardia è ben più complessa della Basilicata. Ma è significativo il fatto che, quando nel 1970 venne istituito l’ordinamento regionale, il primo presidente della Lombardia, Piero Bassetti, propose inascoltato di fare della Villa Reale di Monza la sede di rappresentanza della nuova istituzione. Le vicende di Monza dipendono comunque soprattutto dalla Regione Lombardia e da Milano. Ma Milano è una realtà fortemente acquisitiva, poco propensa a occuparsi di ciò che non è all’ombra della Madonnina. La Regione è del tutto dimentica di Monza e ondivaga per quanto riguarda soltanto la Villa Reale e il Parco. Periodicamente promuove importanti interventi per il loro recupero (LR 40/95, AdP del 2017, su cui mi soffermo più avanti), ma sempre in via subalterna alle esigenze dell’Autodromo. Quanto all’amministrazione cittadina, sembra paga di svolgere diligentemente l’ordinaria amministrazione indipendentemente dall’orientamento politico della giunta in carica, subendo o addirittura fregiandosi di interventi promossi da interessi esterni, spesso devastanti.
La società civile ed economica di Monza è molto dinamica, all’insegna, si potrebbe riassumere, del “primato del fare”. Ma le imprese, che costituiscono una potente combinazione tra dimensioni internazionali e artigianali, non appaiono molto interessate alla storia, alla cultura e all’estetica della città. Un esempio emblematico: la sede dell’associazione degli industriali, la prima fondata in Italia nel 1902 (ma da un paio d’anni incorporata in quella di Milano) fronteggia i pregevoli “Boschetti Reali”. Lo stato di abbandono di questa parte dei Giardini Reali è oggettivamente vergognoso ma, evidentemente, non per gl’imprenditori che frequentano l’associazione. L’unico atto di mecenatismo di rilievo compiuto negli ultimi decenni a Monza è stato il restauro del Museo del Duomo, uno dei gioielli di Monza di rilevanza internazionale, da parte della impresa famigliare Gaiani. La stessa famiglia ha contribuito al restauro dei dipinti quattrocenteschi degli Zavattari dedicati alla vita della Regina Teodolinda, nel Duomo di Monza, edificato nell’anno 1300. Non risulta molto altro.
L’associazionismo è a Monza molto vitale, orientato a una grande varietà di finalità assistenziali, sportive, culturali. Ma mi sembra che ognuna di queste associazioni sia concentrata, meritoriamente ma esclusivamente, sui propri obiettivi. Soprattutto le associazioni culturali sembrano poco propense a collaborare tra loro nell’interesse della città, tendendo ciascuna a coltivare il proprio orticello, in competizione con le altre per l’acquisizione di contributi pubblici.
Del resto, non mi sembra che la cittadinanza abbia una grande consapevolezza della potenziale importanza della propria città, un senso di appartenenza e di orgoglio che vada al di là di una visione vernacolare, poco incline agli apporti esterni.
Quanto sopra si riflette sulla possibilità di avviare iniziative di grande respiro, a differenza di ciò che avviene spesso in Italia, paese delle cento città, molte delle quali perseguono investimenti ed eventi degni di una capitale. Al contrario, sembra diffuso in Monza il timore che il chiamare persone eccellenti in ambito nazionale o globale, necessarie per realizzare grandi progetti, possa sottrarre spazio agli interessi locali. L’assenza di iniziative di alto respiro generate dalla città stessa tende alla fine a creare un circolo vizioso che espone ad iniziative “colonizzatrici” che riempiono il vuoto culturale della città, rispondenti ad interessi esterni, vendute e comprate dalla città come prestigiose, avulse dalla identità cittadina, spesso distruttive ed anche economicamente miserevoli o perdenti.
E’ attualmente in corso di svolgimento una vicenda che illustra in modo esemplare la situazione, vicenda che può costituire una grande e storica opportunità di rilancio della identità e dell’immagine di Monza a livello internazionale, ma anche una grande minaccia. Si tratta dell’Accordo di programma siglato nel 2017 tra la Regione e i Comuni di Milano e Monza per la “Valorizzazione del Complesso Monumentale Villa Reale e Parco di Monza”. Come in altre occasioni precedenti, l’Accordo è nato come compensazione, si potrebbe dire come scarico di coscienza, per il contributo di ben15 milioni versati dalla Regione ai privati gestori dell’Autodromo per rendere ancora possibile lo svolgimento del Gran Premio di F1 nel triennio 2017/19.
La somma stanziata dalla Regione per Villa e Parco ammonta a ben 55 milioni di euro, sostanzialmente la stessa somma che ha consentito a Matera di diventare capitale europea della cultura! Di questa somma, 23 milioni sono destinati ad “interventi prioritari”, tassativamente specificati nell’Accordo. I 32 milioni residui sono destinati a un “Master Plan” da definire.
E’ evidente che con una somma di tale entità, integrabile con mecenatismi, crowdfunding e sponsorhip, il monumento potrebbe essere definitivamente e integralmente restaurato e restituito ai visitatori di tutto il mondo, 265 giorni all’anno.
Naturalmente il Master Plan dovrebbe essere affidato, con concorsi internazionali, a persone degne di stare sulle spalle dei giganti che hanno realizzato il monumento, Giuseppe Piermarini e Luigi Canonica, nonché a gestori culturali di altissima professionalità.
Ma le avvisaglie non sono di buon auspicio. Sia l’attuazione degli interventi prioritari che la gestazione del Master Plan si svolgono in una sorta di nebbia padana.
Tra gli interventi urgenti, si ha notizia della destinazione di 245 mila euro a un «progetto definitivo approvato, in attesa del rilascio dell’autorizzazione monumentale da parte della Sovrintendenza di Milano, per un recupero edilizio ex-ippodromo”» Si tratta del rudere di una piccola costruzione, forse destinata agli allibratori, che andrebbe piuttosto demolita come è stato felicemente fatto dell’ippodromo che devastava il Prato del Mirabello, cuore del Parco. Ovviamente questo assurdo spreco di risorse non è incluso tra gli “interventi prioritari” tassativamente indicati nell’AdP.
Quanto al Master Plan circolano alcuni nomi, scelti non si sa con quali criteri, e comunque al di fuori di un concorso internazionale di alto livello. Dagli scritti di possibili destinatari dell’incarico e dalle voci sull’Autodromo, che per sopravvivere avanzerebbe pretese sulle somme destinate al restauro del monumento, si può dedurre che quella che ho chiamato “la maledizione degli impianti sportivi nel Parco”, e altre conseguenti, continueranno ad incombere su Villa e Parco. E quindi su Monza.
Molte potrebbero essere le iniziative capaci di lanciare Monza tra le grandi mete mondiali: dall’inserimento della Villa Reale e del Parco tra i beni patrimonio dell’Umanità dell’Unesco; a un “History Telling” da rappresentare nell’avancorte della Villa, come avviene in molte città italiane ed europee; a un Festival centrato sui rapporti tra Italia ed Europa, che troverebbe in Monza una sede quanto mai appropriata. Con interventi urbanistici miranti a restituire alla città l’identità e l’attrattività perduta. Nicola Lagioia, scrittore di origini pugliesi e Direttore attuale del Salone Internazionale del libro di Torino, propone per Matera un centro di ricerche avanzate come il Santa Fè Institute nel New Mexico, allo scopo di assicurare un reale “open future” all’attrattività ottenuta con il ruolo di capitale europea della cultura nel 2019. Enrico Moretti, economista all’Università di Berkeley, avanza proposte analoghe per qualsiasi città che voglia emergere. Monza avrebbe bisogno più che mai di integrare il suo know how imprenditoriale con istituzioni culturali e scientifiche di altissimo livello. Un vero “supplemento d’anima”. Possiede tutte le condizioni strutturali per farlo.
Ma per le ragioni che ho sopra esposto, e che mi auguro errate, è molto difficile che grandi progetti possano trovare a Monza un terreno fertile. E’ più probabile che essa continui ad essere immaginata e appiattita globalmente come un borgo alle porte di Milano, sede casuale di un Autodromo.
Una piccola digressione finale: il 22 gennaio scorso Emmanuel Macron e Angela Merkel si sono incontrati ad Aquisgrana per rilanciare lo spirito europeo insidiato dai sovranismi dilaganti. Perché ad Aquisgrana? Perché Haachen è la sede ideale della corona del Regno di Germania, momentaneamente custodita a Vienna, così come Monza lo è concretamente di quella del Regno d’Italia. I due regni costituivano le colonne del Sacro Romano Impero, di ciò che oggi, con qualche integrazione, si chiama Europa. Perché non proporre il gemellaggio Aachen-Monza?