fabrizio de andre e il suo immortale senso della liberta assoluta

A venti anni dalla scomparsa del grande cantautore, amici e lettori di Vorrei lo ricordano con aneddoti personali. Intervengono il regista Francesco Frongia e il musicista Lorenzo Monguzzi

 

Francesco Frongia

Sono l’ultimo figlio di una famiglia numerosa. Essere l’ultimo figlio ha dei vantaggi, uno di questi è che i dischi li compravano i miei fratelli più grandi. Certo questo influisce notevolmente sui gusti e sulle scelte musicali ma, col tempo, si impara a esercitare la propria opinione e il senso critico. 

Uno dei miei tanti fratelli non viveva con noi ma veniva spesso a trovarci. Il rapporto con lui è sempre stato particolare perché pur essendo il fratello maggiore non esercitava l’autorità tipica dei più grandi. C’era qualcosa che ci rendeva simili e le discussioni con lui sembravano tra pari nonostante la differenza di età.

A metà degli anni 70 regalare audio-cassette registrate dei dischi a cui ero più appassionato era il mio gesto preferito. Uno di questi dischi era “Storia di un impiegato” e io per fare bella figura con mio fratello avevo preparato una bella cassetta con tanto di copertina del disco che mi piaceva tanto. Mio fratello conosceva bene quel disco e velatamente mi aveva fatto capire che dal punto di vista della critica musicale dell’epoca il contenuto non era piaciuto tanto all’area della sinistra extraparlamentare a cui lui era vicino. 

Io rimasi perplesso cercando di capire che cosa non andasse bene nei contenuti, in gran parte oscuri per me poco più che tredicenne all’epoca. 

Quel disco continua a esercitare su di me un fascino particolare soprattutto per le atmosfere così diverse dal De Andrè classico con l’Introduzione in stile quasi morriconiano, il passaggio progressive di Sogno numero due, la malinconica e intima Verranno a chiederti del nostro amore che ancora mi strugge perché l’amore per me ha sempre un valore politico. Quel disco mi ha insegnato a non prendere per oro colato il giudizio del pensiero dominato solo da ragioni ideologiche, a fidarmi del mio istinto e a sviluppare il senso critico personale. Il disco è stato rivalutato solo negli anni ’90.

Voi non avete fermato il vento, gli avete fatto perdere tempo

 

 20190111 cassetta de andre

Lorenzo Monguzzi

Fabrizio De André era scritto sopra una cassetta, anzi oggi si dice musicassetta, dentro un raccoglitore in finta pelle che era finito in casa mia chissà da dove. Sotto il nome c’era scritto “Storia di un impiegato”, a tinte grigie, poco accattivanti. Io avrò avuto dodici anni e ogni tanto prendevo qualche cassetta dal raccoglitore e me l’ascoltavo. 

Quella con scritto “Fabrizio De André” non mi piaceva per niente, non capivo quel vocione che diceva un sacco di cose con un tono tra il rimprovero ed il rimpianto. Molto meglio quella con scritto “The best of the Beatles and Rolling Stone”, più allegra e vitale, o quella di Fausto Papetti che  almeno aveva la copertina con una donna nuda.

Per tanto tempo di Fabrizio de Andrè non ho saputo più niente, l’avevo messo insieme a quella schiera di artisti reduci dai sovversivi anni 70, pensavo fosse anche vecchissimo. In effetti ascoltando i primissimi dischi di De André viene da pensare che fosse molto più vecchio, sempre. Poi ho imparato a suonicchiare la chitarra, sono passato dall’altra parte, come diceva Jim Morrison, un altro che aveva nella voce tante cose cupe. 

Ho cominciato a cercare disperatamente canzoni abbastanza facili da suonare che fossero al contempo non troppo disgustose, ed ecco la folgorazione, il rapporto qualità-prezzo (per prezzo intendo la difficoltà di esecuzione) offerto dal buon Fabrizio era inarrivabile. 

E così ho capito, un pezzo per volta, una nota per volta, e sto ancora cercando di capire adesso. Si, perché nelle canzoni di De André ci sono tante cose da capire, ci sono mondi interi in cui calarsi e lo puoi fare solo a seconda della tua esperienza, non ti fa sconti. Ho capito che la musica è una cosa seria, è questione di vita o di morte, e chi la fa troppo facile sta mentendo, questo lo devo a lui e può anche sembrare poco, ma è tantissimo.

Poi ci sono tante altre cose che potrei raccontare, una volta sono anche andato a salutarlo dopo un concerto e gli ho dato una cassetta, nel senso di musicassetta, con scritto Mercanti di Liquore “In vino veritas”, spero che poi non l’abbia ascoltata perché faceva cagare. 

Ho suonato al grande concerto in suo onore al Carlo Felice di Genova, quando Celentano non si ricordava le parole de La guerra di Piero e si è preso una montagna di insulti, ho partecipato a tante iniziative a lui dedicate, poi mi sono stufato dei necrologi. 

Ma non voglio annoiare nessuno, l’esercizio del “quella volta che io e…” è pratica vanitosa e becera, ci vuole il senso della misura e una buona dose di umiltà, indovinate chi me lo ha insegnato?

 

 20190111 cassetta de andre 

 

La foto di Il nostro De André è del grande Guido Harari

 

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Gli autori di Vorrei
Antonio Cornacchia
Antonio CornacchiaWebsite: www.antoniocornacchia.com

Sono grafico e art director, curo campagne pubblicitarie e politiche, progetti grafici ed editoriali. Siti web per testate, istituzioni, aziende, enti non profit e professionisti.
Scrivo soprattutto di arti e cultura.

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