Intervista al musicista Andrea Satta «Io nel ’68 non esistevo, nel ’77 ero piccolo. Oggi abbiamo il dovere di recuperare le cose più belle di quelle stagioni e avere tanta forza di sognare per cambiare il mondo, sì cambiarlo. Perché non si può dire che sogniamo di cambiare il mondo? Ci vogliamo tenere questo mondo di merda? Certo possiamo cambiarlo in meglio.
Qualche giorno fa il gruppo romano Têtes de Bois, eccezionalmente in duo con Andrea Satta voce e Angelo Pelini al piano, si è esibito presso l’associazione culturale “Respirare Sinapsi” della piccola cittadina di Oppido Lucano in provincia di Potenza. Una serata in cui Andrea ha anche raccontato della resistenza, dell’internamento del padre nel campo di Dachau, dell’anarchico Giovanni Passannante che attentò alla vita del re Umberto I, delle torture subite, del suo cervello conservato in formalina fino al 2007 per essere studiato e della sua sepoltura avvenuta nello stesso anno dopo un movimento di protesta di esponenti della cultura e del mondo politico. Il tutto raccontato nella “Canzone di Giovanni Passannante”. Una serata magica nella quale si è parlato della politica attuale, di una società in disfacimento, accompagnata da brani melanconici, ma emozionanti e coinvolgenti.
Come nasce questo amore per la poesia francese, Ferrè, Brassens, Baudelaire?
È una risposta che non si può dare. Ci sono situazioni in cui ti trovi a casa, ti capita un libro per caso quando sei adolescente, te ne innamori e poi fa parte di te. Magari poi la odi, poi la riami e ci ritorni. È il caso che delle volte sceglie per te.
Qual è il confine tra canzone e poesia, che tipo di rapporto c’è?
È un confine difficile da spiegare, da praticare, un tema dibattuto molto dagli esperti. Noi ci limitiamo ad amare la poesia e provare a metterla in musica o a cantarla per farla conoscere.
La canzone è anche poesia?
Può anche essere a volte poesia. La poesia è anche nei gesti, in un bambino che passa per strada, in piccole cose della vita che capitano tutti i giorni, nei dettagli, nella cura del tempo, nell’amore dedicato e in tante altre cose.
Voi siete nati come gruppo nel 1992 con un concerto su un camioncino a Campo dei Fiori a Roma. Cos’è cambiato in questi anni nei quali avete fatto di tutto? Avete suonato nelle fabbriche in solidarietà con gli operai che perdevano il lavoro, avete suonato per strada raccontando il Paese.
Lo vediamo tutti, il nostro Paese è cambiato. In buona parte è stato rincoglionito dalla TV, dall’onnipotenza dei mezzi di informazione, dalla solitudine, dalla sfiducia. Però conviene lavorare in prossimità dei rapporti umani che si hanno, costruire da quelli la possibilità di cambiare la società che non ci piace. L’unica opportunità che abbiamo è quella di costruire grandi movimenti di opinione, lavorare nei rapporti personali e costruire una realtà diversa, mostrandone la differenza.
La musica cosa può fare?
La musica ha potuto fermare le leggi razziali in America, la guerra in Vietnam, ha potuto creare movimenti di giustizia per i lavoratori. Ha già fatto tanto la musica, avessero fatto altrettanto le istituzioni e la politica, avremmo un mondo diverso, più bello, più umano.
Com’ è il vostro rapporto con gli altri musicisti italiani? Ci sono temi sui quali confluite?
Si certo, ci sono state iniziative di solidarietà nelle fabbriche occupate per difendere il lavoro, contro leggi che non ci piacevano e per tante altre cause umane. Penso che chi ha la possibilità di dire qualcosa a più persone, ha il dovere di farlo. Non si tratta di essere migliore degli altri, ma si tratta di una opportunità che abbiamo. Un microfono, un po’ di gente davanti a cui raccontare quello che pensiamo e riteniamo giusto.
Che rapporto avete con il mondo della produzione discografica? O siete un gruppo indipendente?
Sì siamo indipendenti nel cuore e nella testa, nessuno ci ha detto che disco dovevamo fare e quale canzone cantare o non cantare, la vera indipendenza è questa.
Qual è lo stato dell’arte della musica in Italia?
È molto fertile, ci sono tanti ragazzi che suonano benissimo, scrivono bei testi, magari tutto passo dentro un imbuto terribile che è quello della TV, che sceglie percorsi troppo semplificati. In realtà c’è una nuova generazione di cantanti che sta scrivendo cose interessanti e che fa fatica ad emergere. Però c’è un movimento di base molto bello e interessante.
Oggi c’è la rete che crea grandi spazi. Voi come gruppo che rapporto avete con il web?
La rete è una grande opportunità di libertà per tutti, anche noi la utilizziamo, pensiamo che sia un ottimo modo per arrivare a tante persone, diversamente sarebbe difficile raggiungerle.
Crede che la rete dia libertà?
Certo che dà libertà. Ti fa sapere se i ghiacciai si stanno sciogliendo al Polo sud, senza andarci, ti fa viaggiare nelle pianure dell’America meridionale, ti fa esplorare una foresta equatoriale, ti fa fare amicizia con persone che stanno dall’altra parte del mondo, ti mettono in comunicazione con il mondo. È uno strumento democratico, poi che nascano tanti contraccolpi negativi, succede in tutte le cose. Nella libertà c’è sempre qualcuno che potrebbe fare degli abusi.
Cosa significa essere oggi comunisti o anarchici?
Le nuove generazioni sono più anarchiche delle vecchie. Quelle che ci hanno preceduto ci hanno consegnato un mondo troppo artefatto. Penso agli scavi fatti in Basilicata per il petrolio, terra devastata che non potrà essere più recuperata per l’inquinamento delle acque. Che colpa ne hanno le nuove generazioni di questo regalo che è stato fatto a loro? Ogni metro quadro di verde che viene sottratto, non sarà più restituito. Qualcuno ha chiesto il permesso alle nuove generazioni per fare questo? No, lo ha fatto e basta. Tutto viene fatto per profitto, ci sono leggi fatte per essere raggirate, si vincono le lezioni sui piani regolatori, sulle speculazioni edilizie e nei nostri mari.
A 50 anni dal ’68 ed a 40 dal ’77, cosa rimane di quelle stagioni?
Io nel ’68 non esistevo, nel ’77 ero piccolo. Rimangono grandi stagioni di lotte e di libertà ed oggi abbiamo il dovere di credere e di recuperare le cose più belle di quelle stagioni e avere tanta forza di sognare per cambiare il mondo, sì cambiarlo, si può dire? Perché non si può dire che sogniamo di cambiare il mondo? Ci vogliamo tenere questo mondo di merda? Certo possiamo cambiarlo in meglio.
Avete inciso un album dal titolo “Avanti Pop”, com’è nato?
È un disco con canzoni sul lavoro, nasce nell’era Berlusconi, quando si diceva che gli operai non c’erano più. Noi siamo andati alla Fiat-Sata di Melfi ed abbiamo visto che gli operai c’erano. Nel turno di notte, allora e forse anche oggi, con mille operai non c’era un medico in servizio, queste cose bisogna raccontarle ed è quello che fa un artista, un cantante che ha una marcia in più. Bisogna raccontare i sacrifici fatti da questi operai che fanno due ore di viaggio in pullman e poi otto ore di lavoro in fabbrica e poi altre due ore di viaggio per tornare a casa.
Stiamo in questo club “Respirare Sinapsi” dove avete tenuto il concerto, vicino ad una gigantografia di Woody Guthrie, il quale ha raccontato di operai, di lotte per i diritti dei lavoratori.
Se facessimo meno della metà di quello che ha fatto il grande Woody nella sua vita, avremmo fatto tanto per cambiare il mondo.
Nel 2014 avete inciso “Extra” che è un omaggio a Leo Ferrè. Cosa ha rappresentato per voi questo artista?
Leo è un grandissimo artista, uno dei più grandi che ci sia stato nell’ultimo secolo, un poeta e un grandissimo musicista, un grande uomo libero, poco capito dalla sinistra italiana, quando era più forte. Ha vissuto in Toscana per molti anni, noi conosciamo la famiglia, siamo di casa, abbiamo avuto la possibilità di conoscere bene i suoi lavori, abbiamo avuto la possibilità di accedere ai suoi carteggi ed abbiamo preso l’impegno di inserire suoi pezzi nei nostri album e lo facciamo con grande cuore.
Quando uscirà il vostro prossimo lavoro?
Uscirà il prossimo anno, non ha ancora un titolo. Abbiamo quindici, sedici canzoni, dieci entreranno nel disco, ci stiamo lavorando. Non sarà acustico, sarà una sorpresa.
Perché stasera siete in duo?
Perché abbiamo deciso di andare al Bifest di Bari, questa era l’occasione giusta, siamo venuti in due, visto le distanze ridotte abbiamo approfittato per suonare ad Oppido Lucano e fare un passaggio in Basilicata.
Che rapporto avete con la Basilicata?
È una terra bellissima, il rapporto è anche bello, mia moglie è lucana. Questa Regione la conosco come le mie tasche, l’ho girata tutta in bici, conosco i profili delle montagne, la lunghezza dei fiumi, i colori dei prati. La amo follemente, spero che venga risparmiata dalle trivelle. Il rischio è quello di dare un po’ di soldi qui e là per devastarla essendo terra molto fragile.
Avete dedicato un album “Goodbike” alla bici, quale rapporto avete con questo mezzo?
Per venire ad Oppido, siamo partiti da Gravina in Puglia in bici, più di cinquanta Km. È un mezzo di grande libertà, felicità, di grande spazio, di una infanzia che non perdi. Con la bicicletta se viene usata in maniera graduale, si possono fare grandi cose.