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Intervista a Ezio Meroni sul libro che racconta la storia del figlio Alberto: «È lui che racconta dal suo punto di vista difficoltà, successi, incomprensioni ed emarginazioni». La sofferenza di ritornare su fatti, incontri ed episodi non sempre piacevoli «Ma era il prezzo da pagare, lo avevamo messo in conto»

“Scoprirsi Down” significa dover fare i conti con un mondo che ti guarda la mente piena di luoghi comuni e alcuni errori di fondo, “talvolta esplicitati, più spesso celati da un velo di ipocrisia buonista”, anche da parte di addetti ai lavori che ti considerano un poverino a cui concedere quello che ad altri non si concede. “Invece, ognuno, secondo le proprie potenzialità, può compiere dei progressi nella sfera cognitiva, relazionale, lavorativa o di autonomia” racconta Ezio Meroni, padre di Alberto “si tratta di individuare queste potenzialità e di impegnarsi a stimolarli e ad accompagnarli verso l’obiettivo. Senza illusioni, ma anche senza rassegnazione. Che è molto peggio!”

“Scoprirsi Down” è La storia di Alberto, raccontata da lui stesso, dalla nascita ad oggi, oggi che lavora in un ristorante dell’hinterland. Oggi che gioca a pallavolo in una squadra. Oggi che sogna di aprire un ristorante o B&b sul Lago di Garda. Il padre Ezio ci racconta come è nato questo libro, pubblicato da San Paolo Edizioni, e come sta aiutando molti a “scoprirsi diversi”.

Scrivere questo libro è stata una vostra idea o vi è stato proposto?

Un’idea nostra, di quando Alberto ha compiuto un anno. Alla nascita il pediatra ci aveva prospettato un futuro totalmente negativo. La realtà si era rivelata non facile, ma certamente meno complicata del previsto. La sera, dopo la prima candelina, io e Ornella ci siamo detti: “Sarebbe bello scrivere la nostra esperienza. Per il pediatra e per chi dovesse trovarsi ad affrontare il nostro cammino...”. Dopo oltre 20 anni, con la crescita di Alberto, il suo positivo percorso scolastico e l’inserimento nel mondo del lavoro, è maturata la decisione di scrivere la sua e la nostra storia. Con una novità essenziale: è lui che racconta dal suo punto di vista difficoltà, successi, incomprensioni ed emarginazioni.

La sofferenza di ritornare su fatti, incontri ed episodi non sempre piacevoli. Ma era il prezzo da pagare, lo avevamo messo in conto.

Timori e speranze mentre lo avete scritto?

Più che altro la fatica di mettersi a nudo di fronte a noi stessi, durante la stesura, e di fronte ai potenziali lettori. Soprattutto all’inizio questo ha comportato la sofferenza di ritornare su fatti, incontri ed episodi non sempre piacevoli. Ma era il prezzo da pagare, lo avevamo messo in conto. A noi è servito per verificare le scelte di coppia ed educative, speriamo che serva non solo a chi sta affrontando la disabilità, ma anche alle famiglie con figli normodotati e soprattutto a chi opera nella scuola e nelle associazioni.

La scelta della prima persona è originale e forte, come è nata e come avete proceduto nello scrivere a quattro mani?

È stato il passaggio decisivo. Per mesi ci siamo arrovellati sulla tecnica narrativa. La letteratura esistente proponeva l’esperienza dal punto di vista dei genitori o dei fratelli. In un primo momento siamo stati tentati di seguire questa strada poi abbiamo scelto il narratore interno. Sarebbe stato Alberto a raccontare la propria storia da quando era nella pancia della mamma. Ne è derivato l’uso di un lessico e una struttura sintattica semplice, essenziale, ma proprio per questo diretta, efficace e coinvolgente. E si è rivelato straordinariamente coinvolgente il cambio di prospettiva. Basta pensare all’amniocentesi. Un conto è viverla e narrarla da genitori, un altro è il racconto proposto dal feto...

 

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Cucina e pallavolo, due grandi passioni di Alberto. Proprio le passioni, che ruolo hanno in un cammino come quello da voi intrapreso?

Alberto si è appassionato alla pallavolo quando aveva meno di cinque anni, il suo entusiasmo era contagioso: ha giocato a tennis, nuota come un pesce, è tifoso dell’Inter... ma la pallavolo è sempre stata nel suo cuore! L’incontro con il Consorzio Vero Volley è stato di fondamentale importanza e ora la domenica va in curva a tifare, fa l’assistant coach in formazioni giovanili Under 14 ed è un componente della squadra Special Olympics, nata dalla collaborazione tra il Consorzio Vero Volley e l’Associazione Silvia Tremolada di Monza. Sulla cucina avevamo invece qualche perplessità ma quando è arrivata la decisione tutta sua di frequentare l’Istituto Alberghiero Olivetti a Monza, è stato chiaro che quella era la sua strada. Lo abbiamo capito passo dopo passo, con gli stage, con l’attestato, con il tirocinio formativo. Oggi lavora a Hortus, un ristorante vegetariano e vegano di Cusano Milanino, il suo posto è in sala, tra i tavoli. Da qualche settimana ha iniziato il servizio di street food, dove ha chiesto di essere destinato per stare il più possibile a contatto con i clienti.

Che grado di conoscenza reale della sindrome di down constatate tra le persone?

Ognuno, secondo le proprie potenzialità, può compiere dei progressi nella sfera cognitiva, relazionale, lavorativa o di autonomia

Molto spesso superficiale, fondato sui soliti luoghi comuni e su alcuni errori di fondo, talvolta esplicitati, più spesso celati da un velo di ipocrisia buonista. Molti, talvolta anche genitori e addetti ai lavori, li considerano dei poverini a cui si concede quello che ad altri non si concerebbe. Molti ignorano che hanno desideri affettivi e sessuali assolutamente normali. Altre volte vengono catalogati per la sindrome o la patologia che ne caratterizza la disabilità, piuttosto che essere considerati come persone, uniche e irripetibile, come tutti. Spesso c’è rassegnazione rispetto alla loro capacità di apprendere, di comunicare di conquistarsi spazi di autonomia. Invece, ognuno, secondo le proprie potenzialità, può compiere dei progressi nella sfera cognitiva, relazionale, lavorativa o di autonomia. Si tratta di individuare queste potenzialità e di impegnarsi a stimolarli e ad accompagnarli verso l’obiettivo. Senza illusioni, ma anche senza rassegnazione. Che è molto peggio!

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Un episodio positivo tra tutti quelli riportati del libro che vogliamo citare?

La scelta della scuola superiore. Alberto aveva tutti “contro”. Lui era bravo in matematica, per tutti la soluzione era il diploma di ragioniere e poi un posto nello studio da commercialista dove la mamma aveva lavorato e che avrebbe nel frattempo aperto. Era il settembre del 2007, stavamo festeggiando l’anniversario di matrimonio in un ristorante e Alberto aveva appena cominciato la terza media. Mentre la mamma spingeva per la soluzione più ovvia della ragioneria, lui era tutto concentrato sull’attività del cameriere che stava sfilettando il pesce. Richiamato, con educata fermezza ha risposto alla mamma: “Te lo sogni che io venga a lavorare con te in ufficio. Io voglio fare il cuoco”. Abbiamo accettato la sua decisione ma richiamandolo alle sue responsabilità: “è una tua scelta. Devi impegnarti a portarla a termine, fino in fondo”.

Sa gestire le emozioni, sostenere un confronto, rispondere alle domande con personalità e autonomia. Anche questo serve per la sua crescita.

Che reazioni ha suscitato il libro, sia tra chi vi conosce, sia tra chi NON vi conosce? 

Indubbiamente un interesse attorno ad Alberto e a noi da parte del pubblico e della stampa che ha contribuito a diffondere la nostra esperienza. Anche sui social c’è interesse, moltissimi hanno commentato, alcuni ci hanno scritto le loro esperienze, altri ci hanno chiesto un incontro per un confronto oppure per avere materiale da inserire in uno studio o in una tesi. Alberto è anche chiamato a proporre la propria esperienza a gruppi di ragazzi in oratorio o nelle scuole, ci va da solo, si sente più libero. Significa che sa gestire le emozioni, sostenere un confronto, rispondere alle domande con personalità e autonomia. Anche questo serve per la sua crescita.

Il ristorante sul lago di Garda, sogno di Alberto, come si chiamerà? Cosa ci mangeremo?

Alberto sogna di subentrare alla nonna Bruna, che gestisce un bar a Lugana di Sirmione. Dice che vorrebbe aprire un ristorante o un B&b. È un sogno legittimo ma che noi affrontiamo con lo stesso metodo educativo adottato sin dalla sua nascita: niente sconti e un sano realismo. Un conto è essere bravi in cucina e in sala, un altro è gestire una struttura. Niente facili illusioni buoniste. Gli ripetiamo che deve fare ancora esperienza, crescere professionalmente e nel frattempo mettere da parte i soldi per la ristrutturazione del locale. Poi, come è sempre accaduto in tutti questi anni, verrà il momento in cui capiremo se e quando i tempi saranno maturi per questo passo.