L'Amleto e il Riccardo III portati in scena all'Elfo Puccini. È teatro, questo splendido gioco in cui trovano corpo e cittadinanza testo, suono, immagine, tempo e pure odore.
Giocare con Shakespeare. Lo hanno fatto e lo fanno in tanti. In inglese, poi, giocare e recitare si dicono con la stessa parola, to play. A teatro si gioca sovente lungo la linea di confine tra fedeltà e tradimento del testo. Due intenzioni, due attitudini, ma due gambe dello stesso corpo. In questo caso il corpo è quello di Michele Sinisi che nelle scorse settimane ha riportato in scena, nella sala Bauch dell’Elfo Puccini, due dei testi di Shakespeare. Prima Amleto e poi Riccardo III, entrambi in forma di monologo, entrambi su propria riscrittura e produzione Elsinor.
Seppure profondamente diversi, entrambi i lavori giocano - appunto - correndo lungo la linea di confine. Il primo, composito e con una voce moltiplicata riesce in qualche modo a tenersi nei pressi della fedeltà, l’altro (Riccardo/Now) scompone il testo del primo atto scena uno (lo trovate in fondo a questo articolo), lo tradisce fedelmente e lo ricompone con il collante dell’azione fisica esasperata.
In Amleto i personaggi sono sedie, letteralmente, e Sinisi ad esse si rivolge, una per volta, in cerchio, circondato. In Riccardo i personaggi sono le parole e i disegni tracciati e cancellati in continuazione con l’alcol sopra e sotto un tavolo di metallo.
Non ho nessuna intenzione di provare a spiegare i due lavori. Perché c’è chi lo ha già fatto bene (qui su Amleto Magda Poli e qui su Riccardo Agnese Comelli,) e perché non credo assolutamente di averne la possibilità, perché penso che essi siano essenzialmente azione: ora mimetica, ora metaforica, ora - assai raramente - didascalica.
È teatro che abita lo spazio, dialoga con esso senza negarlo. Il corpo di Sinisi lo occupa senza risparmiarsi. È teatro di voce e di suono. È teatro di odore anche: l’alcol e la vernice.
È esperienza. Ricca di quello che solo il testo, solo il suono, solo l’immagine da soli non potrebbero avere o dare. È teatro, questo splendido gioco in cui trovano corpo e cittadinanza testo, suono, immagine, tempo e pure odore. Tutto in questo momento. Now, appunto.
Made glorious summer by this sun of York;
And all the clouds that lour'd upon our house
In the deep bosom of the ocean buried.
Now are our brows bound with victorious wreaths;
Our bruised arms hung up for monuments;
Our stern alarums changed to merry meetings,
Our dreadful marches to delightful measures.
Grim-visaged war hath smooth'd his wrinkled front;
And now, instead of mounting barded steeds
To fright the souls of fearful adversaries,
He capers nimbly in a lady's chamber
To the lascivious pleasing of a lute.
But I, that am not shaped for sportive tricks,
Nor made to court an amorous looking-glass;
I, that am rudely stamp'd, and want love's majesty
To strut before a wanton ambling nymph;
I, that am curtail'd of this fair proportion,
Cheated of feature by dissembling nature,
Deformed, unfinish'd, sent before my time
Into this breathing world, scarce half made up,
And that so lamely and unfashionable
That dogs bark at me as I halt by them;
Why, I, in this weak piping time of peace,
Have no delight to pass away the time,
Unless to spy my shadow in the sun
And descant on mine own deformity:
And therefore, since I cannot prove a lover,
To entertain these fair well-spoken days,
I am determined to prove a villain
And hate the idle pleasures of these days.
Plots have I laid, inductions dangerous,
By drunken prophecies, libels and dreams,
To set my brother Clarence and the king
In deadly hate the one against the other:
And if King Edward be as true and just
As I am subtle, false and treacherous,
This day should Clarence closely be mew'd up,
About a prophecy, which says that 'G'
Of Edward's heirs the murderer shall be.
Dive, thoughts, down to my soul: here
Clarence comes.