Il film che Claudio Casazza ha girato interamente nel carcere di Bollate seguendo per 12 mesi un gruppo di autori di reati sessuali
“Un altro me”, in anteprima, per immaginarsi non un “infame” per sempre. “Un altro me” è il titolo del film che Claudio Casazza ha girato interamente nel carcere di Bollate seguendo per 12 mesi un gruppo di autori di reati sessuali. Dalle oltre 200 ore di riprese, ne ha ricavato la pellicola che in anteprima mondiale aprirà la 57esima edizione del Festival dei Popoli, a Firenze, esattamente il 25 novembre. La Giornata Mondiale Contro la Violenza sulle donne.
Selezionato anche per il concorso internazionale, “Un altro me” vuole mostrare a tutti come lavora ormai da anni l'équipe del Trattamento Intensificato per autori di reati sessuali del CIPM coordinata dal criminologo Paolo Giulini. E' la prima, in Italia, che ha accettato la sfida, prendendosi cura di quei detenuti che in gergo carcerario sono gli “infami”, con ottimi riusultati. Solo 7 dei 250 seguiti ha compiuto nuovamente violenza.
L'obiettivo, spiega Giulini, è di “dimostrare che esiste un modo etico per proteggere la collettività e ridurre le vittime”, al regista Casazza è bastato assistere ad un incontro aperto di due ore tra i condannati e gli operatori che fanno parte del progetto per credere alle parole del noto criminologo e decidere di dare spazio e voce “all’incredibile materiale umano che avevo di fronte”.
Prodotto da GraffitiDoc, con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Piemonte Doc Film Fund, “Un altro me” ha conquistato anche il pieno sostegno di Gucci, partner del Festival dei Popoli per la serata di apertura, che ha pensato di proiettarlo davanti agli occhi di tutti i suoi dipendenti, privatamente, sia in Italia che all’Estero.
Grazie all'originale scelta del regista, la sua pellicola porta lo spettatore, chiunque esso sia, al centro della stanza, ma non solo, anche al centro del problema. Né voltato verso gli autori di reati sessuali, con sguardo di spietato rimprovero o di disprezzo, né dalla parte dell’istituzione.
L'obiettivo di Casazza è in equilibrio, perché l'obiettivo del suo film è l'equilibrio.
Solo da questa privilegiata postazione, resa possibile dal film e da chi ha appoggiato il progetto, è possibile affrontare temi come quello delle violenze sessuali, liberi da preconcetti e da condanne già pronte. Le immagini che il regista ha catturato e che affida “alla gente”, regalano l'opportunità di tornare a mettersi in discussione, proprio come hanno fatto i cosidetti “infami”, affrontando gli stereotipi su di sé e la realtà, rivalutando la relazione con l’altro e prendendo coscienza del proprio reato e del danno creato alle vittime.
Non esiste un “effetto speciale”, neanche nei più sperimentali studi cinematografici, per cancellare i pregiudizi degli spettatori: il segreto di Casazza sta nell'aver scelto di non sapere che tipo di reati avevano commesso i suoi protagonisti “per restare il più possibile aperto”. Ecco perchè “Un altro me” non rappresenta solo il “classico” dialogo a due tra condannati e terapeuti, magari già visto in qualche celebre film. Nel dialogo, stavolta, si inserisce anche lo stesso spettatore “perché ciascuno possa farsi delle domande – spiega il regista – e avere il proprio percorso di consapevolezza, traendone le considerazioni che vuole”.