La Casa 139 è solo l'ultimo dei locali milanesi posti sotto attacco dalle autorità milanesi; una situazione sempre più preoccupante per chi ama la musica dal vivo

 

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ella notte tra venerdì 4 e sabato 5 marzo è stato posto sotto sequestro il Circolo Arci “La Casa 139”, locale che dal 2001 ha portato a Milano alcuni tra i nomi più importanti ed interessanti della musica indie italiana e mondiale, da Ginevra Di Marco ai Marta Sui Tubi, da Joanna Newsom ai Frames. Il motivo di questo provvedimento risiederebbe in alcune irregolarità nel tesseramento e nel rinnovo delle tessere, attività peraltro non normate in maniera del tutto chiara. Se questo fosse un caso isolato, in una città europea e orgogliosa della propria proposta culturale, cosa che Milano si vanta di essere, la notizia desterebbe poco scalpore: cose che possono accadere, dopotutto, e che possono risolversi con facilità.

 

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Il problema è che questa chiusura è solo l’ultima di una lunga serie, l’ennesimo caso che coinvolge locali che propongono musica dal vivo in città: è diventato ormai difficile tenere il conto dei luoghi musicali sequestrati, posti sotto indagine o costretti a chiudere. La lista comprende ormai ogni tipologia possibile di locale: si va da una discoteca come il Plastic a un centro sociale come il Cox, da un bar alternativo come l’Atomic a un Arci di periferia come il Bitte, da un club jazz come le Scimmie a un teatro come lo Smeraldo, fino a una grande arena come il PalaSharp. Ognuno dei casi proposti ha cause e modalità differenti, ma ciò che pare emergere è una volontà di fondo da parte dell’amministrazione comunale, cioè quella di rendere sempre più marginale la musica “non allineata”, cioè quella al di fuori dei circuiti maggiormente commerciali o tutt’al più della lirica (anche se pure qui le difficoltà non mancano), quella musica che porta con sé altro oltre alle note e ai testi, quella musica che è anche fonte di incontro, di socialità, di pensiero. Per farlo si usa ogni mezzo: dall’annonaria mandata a controllare e sequestrare la Casa 139 e il Plastic fino ai lavori per l’Expo, che languono ovunque ma che obbligano invece alla chiusura (non si sa se temporanea o definitiva) il PalaSharp. Tutto questo all’interno di una situazione già difficile per l’intero mondo della cultura, colpito dalla crisi dei consumi e dai tagli delle ultime finanziarie. Il risultato di tutto ciò non può che essere assolutamente negativo per chi vuole fare cultura a Milano, che invece di trovare appoggio è costretto a fronteggiare una sempre maggiore ostilità.

 

 

Abbiamo cercato di capire cosa pensa chi è coinvolto direttamente in questa sempre più difficile situazione, cioè chi si occupa della gestione dei locali e chi invece ci suona. Il primo sguardo è quello di Fabio Costanza di Via Audio, etichetta che ha organizzato diverse serate proprio alla Casa 139; il suo pensiero è abbastanza amaro per quanto riguarda lo status quo cittadino: “La chiusura de La Casa 139, realtà che conosciamo molto bene collaborandoci da diverso tempo, è simbolicamente devastante. Non è stato chiuso solo un circolo arci, ma piuttosto un'istituzione della musica e della cultura indipendente milanese.” E aggiunge: “Pensare che, oggi, una discoteca come l'Hollywood, balzata agli onori della cronaca per squillo e cocaina sia ancora aperta, mentre un palco attivo cinque sere alla settimana sigillato "preventivamente", ci porta a intravedere un preciso progetto politico ma soprattutto socio-culturale: zittire una città e la sua cittadinanza, premiare attività ricreative che di culturale non hanno niente.” Spostando invece l’attenzione sulla provincia, ci dice poi: “Dalla Brianza osserviamo con preoccupazione l'evolversi della situazione milanese: preoccupazione per una città metropolitana che frequentiamo, che ci influenza e che vorremmo diversa sotto diversi punti di vista. Fortunatamente in Brianza la situazione è diversa e, nel caso, saremmo più che pronti a difenderci.”

 

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Una illustrazione di Davide Toffolo, disegnatore e musicista con Gli allegri ragazzi morti

 

Un’altra voce che abbiamo voluto sentire è invece quella di chi, in controtendenza rispetto a quanto accade e a ciò che le istituzioni stanno cercando di fare, ha da poco iniziato a proporre musica dal vivo in città, in una zona abbastanza difficile come quella di Rogoredo, per di più. Parliamo del circolo Arci Lo-Fi, attivo da dicembre e caratterizzato da una programmazione che dà spazio al rock meno “di moda”, dal punk al garage alla psichedelia. Corrado Montanaro, presidente del Circolo, ci ha parlato della scelta di aprire proprio oggi un locale per concerti e non solo: “La nostra è stata una scelta abbastanza irrazionale, ovvero non abbiamo mai pensato minimamente ai problemi in cui potevamo imbatterci e che si stanno evidenziando in questi giorni con la chiusura per esempio della Casa 139. Ciò che ci ha spinto ad aprire uno spazio come il Lo-Fi è la gran voglia di tutti i soci fondatori di voler proporre a una città come Milano un luogo dove potersi incontrare e socializzare ascoltando della musica non convenzionale. Abbiamo scelto di appartenere all'ARCI in quanto molti di noi provengono da quel mondo e ne condividono le politiche.” E ha voluto sottolineare un paio di cose: “Tengo a precisare che non vogliamo che la nostra associazione sia catalogata come un luogo solo per musica live. Si tengono anche altre iniziative che vanno dalla presentazione di libri, corsi, spettacoli teatrali e per bambini, insomma stiamo allargando il cerchio delle nostre attività. Purtroppo una città come Milano è carente sotto questo aspetto e neanche lontanamente al passo con le altre capitali europee e non riesco a capire come invece di capitalizzare queste risorse il Comune e i suoi organi di controllo facciano di tutto per debellarle.” Interrogato su una possibile soluzione ai tanti problemi di questo periodo, si è così espresso, dimostrando voglia di fare e un fondo di ottimismo: “Banalmente la prima cosa che mi viene in mente è che tante persone facciano la scelta che abbiamo fatto noi ovvero quella di aprire luoghi dove si faccia cultura di un certo tipo. Se siamo in tanti è più facile costruire un dialogo e avere più voce in capitolo con le autorità di competenza. Per quelle che esistono l'appello è di unire le forze condividendo gli stessi obiettivi. Io voglio credere che il vento possa cambiare.”

 

 

Per finire abbiamo interpellato un musicista, il cantautore Fabrizio Coppola, che ha sempre dato a Milano e alle sue contraddizioni un ruolo centrale nelle sue canzoni, per esempio “La Stupidità”, col suo video dedicato alla memoria di Abba, il ragazzo di colore ucciso dopo aver rubato un pacco di biscotti, oppure “La Città Che Muore”, il cui titolo pare descrivere perfettamente la realtà odierna. Ecco ciò che ha dichiarato, spronando tutti quanti alla partecipazione: “Mi sembra ormai evidente a tutti che quello che sta attuando la giunta Moratti è un piano studiato a tavolino che prevede la limitazione e il progressivo annientamento di ogni spazio culturale, ricreativo e aggregativo che si ponga al di fuori del loro diretto controllo. Si va dalla chiusura di un numero elevato di teatri a cavallo dello scorso Natale fino ai recenti fatti che riguardano piccoli club e associazioni. Tralasciando le ormai stanche considerazioni (ma non meno reali e urgenti dal punto di vista fattuale) sulla Milano capitale europea, sull’Expo e compagnia bella, mi sembra che la situazione abbia ormai raggiunto una gravità mai vista prima in città.” Che fare allora? “Penso che quella parte di Milano che non si riconosce in questa giunta abbia una sola possibilità: quella cioè di stringersi attorno a un movimento politico che deve essere il più ampio possibile, entrare al suo interno, cominciare a partecipare alla discussione in modo da diventarne parte attiva e determinante. Per me le scorse primarie hanno rappresentato una enorme delusione dal punto di vista della partecipazione (80.000 votanti circa): continuo a pensare che non c’è più tempo per il ‘tanto sono tutti uguali’ per il ‘tanto non cambia niente’ ecc. Non c’è più tempo prima di tutto perché non è assolutamente vero che ‘sono tutti uguali’, questo è solo ciò che il Giornale e Libero vogliono farci credere. In secondo luogo perché ne va delle nostre vite. Mi aspetto che Giuliano Pisapia e il suo staff si pongano al più presto come catalizzatori di una discussione sul rilancio della politica culturale della città che coinvolga il maggior numero di persone e che punti alla formalizzazione di un piano programmatico preciso – con il termine preciso intendo chi, cosa, come, quando: il perché, perlomeno quello, lo sappiamo tutti.”

Con la speranza che la città non muoia davvero, ci sentiamo di aggiungere.

Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi

Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con un paio di siti (Indie-Eye e Black Milk Mag) fino ad arrivare a Vorrei. Del domani non v'è certezza.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.